martedì 30 dicembre 2014

BUON ANNO!

           



   Ci siamo: manca poco all'addio del 2014 e come ogni anno tiriamo le somme sull'andamento che ci ha visti partecipi. Sarebbe superfluo menzionare tutti i disastri, gli scandali, i percorsi politici, le promesse ventilate, la povertà dilagante, gli omicidi efferati, in due parole le brutture di questa società. Sarebbe superfluo in quanto tutti noi ne siamo a conoscenza e siamo stanchi, molto stanchi, per di più non facciamo in tempo a rilassarci che apprendiamo tragedie che straziano l'anima.
   Ma l'anno trascorso è stato solo questo? No! La vita è anche impegno dei volontari al servizio dei tanti bisognosi, impegno dei medici nei luoghi dove la morte appare all'improvviso, impegno dei tanti ricercatori, impegno di chi dona la sua vita all'altro nel tentativo di recuperarlo, impegno di chi tenta il tutto per tutto per aiutare chi soffre e impegno di chi fa il possibile per cambiare questo sfascio sociale: anche chi si batte per un solo ideale, si mette al nostro servizio.
   Vi auguro un nuovo anno più concreto, più partecipe, più onesto; in due parole più tutto o quasi e soprattutto un 2015 in salute: diversamente la vita prenderebbe risvolti diversi.
                       
                                                                 A TUTTI!
                                                   
                                       
           

sabato 20 dicembre 2014

Ma dire mai.

     

   Trattare un argomento d'attualità, vorrebbe dire, almeno per me, ripercorrere un sentiero doloroso: viviamo in un clima che di buono non ha quasi più nulla. Rubiamo, ammazziamo, lucriamo sui dolori, ditemi Voi se c'è qualcosa che possa essere affrontata senza incappare in questo sfacelo di valori e disumanità? Sinceramente non ricordo un periodo peggiore, ma è proprio così? 
      Gli anni settanta sono stati caratterizzati da stragi e rivolte, i famigerati "Anni di Piombo" e non solo, anche la crisi non dette tregua, scioperi dei metalmeccanici e di altre classi operaie, il periodo di ripresa precedente, ossia degli anni sessanta, attraversò un vero declino e cominciò così a farsi strada, almeno credo, il debito pubblico. All'epoca dei fatti io c'ero, ma non ricordo di aver vissuto momenti di angoscia e di sconforto, come non ricordo la famigerata crisi. Forse ero troppo giovane per aver assimilato il dramma della popolazione, come anche il terrore di un nuovo attentato: ce ne furono in varie città d'Italia e poi l'exploit delle Brigate Rosse che sequestrarono e uccisero Moro. 
      Credo che anche allora non si vivessero momenti felici, il terrorismo dilagava nel nostro Paese e non solo quello, non si navigava certamente nel benessere. Ma allora cosa c'è di diverso da quei giorni ai tempi odierni? Per me, c'è la consapevolezza attuale degli avvenimenti, il fatto che la saggezza della maturità mi porta a comprendere molte più cose di prima e poi anche perché sono seriamente preoccupata per la classe giovanile che non avendo prospettive non ha futuro. Comunque non è solo questione di lavoro e di denaro, trovo che la società attuale sia più cruenta del passato: si consumano più delitti familiari e il terrorismo al quale siamo ora abituati, ha un comportamento diverso dagli anni settanta, ora si fanno stragi di bambini in massa, all'epoca morivano anche innocenti nelle stragi, ma ora c'è proprio un accanimento verso le categorie sociali più indifese. 
   Oggi apprendere notizie è divenuto un tormento, accendere il televisore e sintonizzarsi sul canale che sta trasmettendo un notiziario, vuol dire provocare un blocco allo stomaco e allontanare il piatto, che tra l'altro non si trova dietro l'angolo o giunge a casa per donazione di qualche magnanimo vicino. Certamente mi si potrebbe dire che non vale la pena accendere la tv, bisogna dialogare, ma anche facendo conversazione si finisce inevitabilmente per parlare della quotidianità che non è sempre personale, non vorremmo essere tacciati d'insensibilità verso gli avvenimenti esterni, anche perché l'informazione è cultura.
   Cosa dovremmo fare, ignorare, cercare di sdrammatizzare, pensare al nostro recinto, oppure rimandare ai momenti di pausa l'informazione? In qualunque modo ci comportiamo, siamo talmente pregni di ciò che ci circonda che anche se fingiamo di non pensarci, portiamo stampato in faccia il clima che si respira; e dire che manca poco al Natale, simbolo per antonomasia di un'atmosfera conviviale aggregante.
   Non volevo ripercorrere un sentiero doloroso e ne sono scivolata ugualmente, difficile è costruirsi un limbo speciale, lontano da tutto e da tutti: con i mezzi attuali verrebbero a scovarci anche lì. Ma come la storia c'insegna i cambiamenti sono dietro l'angolo, ecco quella che, maturità a parte, non ho perso, è la speranza che ci sia una svolta sociale, politica e umana; anche se qualcuno pensa che non vedremo sorgere un nuovo sole, per me anche un solo piccolissimo raggio darà vita all'astro tanto atteso.  
   E con questi presupposti Vi auguro "BUON NATALE"  

venerdì 12 dicembre 2014

Sciocco buonismo!

                        

   Stiamo attraversando momenti difficili intricati da scandali, crisi dilagante con povertà anche del ceto medio e giovani disperatamente senza occupazione. Omicidi-suicidi: famiglie su famiglie annientate dal loro stesso sangue parentale. Calamità naturali che trovano appagamento su zone prive di manutenzione e 'di messa in sicurezza'; che altro ci potrà accadere? 
   Siamo alle soglie del Natale, ma mai come quest'anno avverto un senso di apatia e di distacco dallo spirito della festa. So bene che così non va bene, abbiamo bisogno di sentirci rianimati da quello spirito, le famiglie ne hanno bisogno per tornare a credere di più in loro stesse e per inculcare quei valori che stanno scomparendo a causa di una serie di motivazioni che non sempre sono imputabili al disastro politico. Il cittadino è abituato a scrollarsi di dosso le sue responsabilità, ma se fosse stato più onesto e più operativo forse non ci troveremmo in questa situazione. 
   I politici, lo sappiamo bene, sono corrotti: è il potere a scatenare il desiderio dello sfruttamento per i propri fini, ma il cittadino ha coadiuvato beneficiando di quell'abuso, come dire non vedo perché ne traggo beneficio. Mi spiego meglio, cerco di farlo nel mio piccolo. 
   Potrei citare una serie di esempi, ma ne voglio fare alcuni. E' in vigore la raccolta differenziata, i vantaggi sono notevoli se la raccolta viene eseguita con attenzione, ebbene tale raccolta funziona là dove vi sono i giorni stabiliti, ma nei comuni più estesi esistono dei contenitori appositi che non tutti sfruttano perché continuano a utilizzare il vecchio cassonetto ove gettano ogni sorta di schifezza anche inquinante: tipo medicinali, batterie e quant'altro. 
   Uffici della Regione, del Comune e della Sanità, sin dai tempi memorabili gli impiegati si assentano per sbrigare le loro faccende e tornare sul posto di lavoro quando fa loro comodo, ma non basta anche la furbata del cartellino timbrato da qualcun'altro per quei posti di lavoro che rilevano l'orario d'entrata. E che dire di tutti quei cittadini che imbrattano la loro città e le insudiciano con scritte che costano quattrini nella rimozione, per non parlare poi di quegli automobilisti che lanciano la loro immondizia dai finestrini. Ma non basta, i controlli sanitari: l'Italia è la nazione che fa più controlli rispetto alle altre nazioni, eppure nonostante ciò il produttore riesce a raggirare quei controlli che tra l'altro non possono avvenire a tappeto, e se un campo riceve sostanze altamente inquinanti i contadini che sanno, fanno finta di nulla e continuano la coltivazione mettendo in circolazione prodotti che fra le sostanze dannose contengono anche la famigerata diossina. E poi, e poi, anni e anni di mancati pagamenti di tasse che se fossero state versate non avrebbero consentito il rincaro che ora sta affossando gli italiani già poveri di loro, forse  gli stessi italiani che hanno beneficiato un tempo della mancanza di ricevuta, che si doveva fare per risparmiare. Ma la situazione continua a tutto andare e anche se ci dicono che dobbiamo farci rilasciare lo scontrino, gli esercenti che non lo rilasciano sono ancora numerosi. 
 L'italiano è noto per la sua furbizia, per la sua mancanza d'onestà, sin dai tempi degli antichi romani, ed è noto anche per la sua trascuratezza, "tanto lo farà qualcun'altro, oppure chi mi vede?" e l'italiano ha l'abitudine di parlare, straparlare ma di non agire, oppure di criticare sminuendo ogni cosa. Il Natale è alle porte spero, non posso non sperare: che ci rimane?, dicevo spero che venga fuori un tipo così forte da riportare l'onestà e la bellezza dei sentimenti, un tipo energico che ci faccia amare la nostra terra col rispetto del fare. Il cittadino va educato e il politico? Beh, il tipo che io intendo dovrà cambiare il sistema e dovrà essere molto, molto severo: il buonismo non porta da nessuna parte! 

venerdì 5 dicembre 2014

Strana coicidenza

                    
   

   "Suvvia, cosa ti costa? Dopo lo accompagni al teatro, del resto danno una bella rappresentazione. Io non ci posso andare, Sandrina ha il morbillo, mio marito ha il turno in ospedale e la tata non può fermarsi. Ti prego,  vacci tu!"
   "Va bene! Guarda, avevo un altro programma per stasera, una rilassante e divertente partitina al burraco con il solito gruppetto d'amiche. Ma... come faccio a dirti di no?" convenne rassegnata, Lucia. 
   Lo prelevò dall'aeroporto e lo condusse all'albergo per una rinfrescatina. Che tipo informale, pensò! Anche decisamente poco attraente. Tanto meglio, si disse. Non voleva complicazioni sentimentali e lei veniva fuori da una storia che ancora le bruciava. Erano trascorsi tre anni, eppure quella ferita nel cuore non si rimarginava. Forse erano gli uomini sbagliati che venivano a cercarla, dopo il matrimonio naufragato, solo delusioni e persone inizialmente esemplari che si rivelavano, poi, dei gran mascalzoni. La vita da single aveva meno complicazioni, il sesso... aveva chiuso anche con quello: c'era il lavoro, un bel lavoro di prestigio, tante gratificazioni. Gli uomini, per carità! Stop, croce: non voleva più sentirne parlare. 
  "Faccio in un attimo." disse lui ed entrò nell'Hall dell'albergo. Era una persona importante che prendeva il posto del precedente presidente. "Possiamo andare!" Lucia si sorprese: non aveva fatto in tempo a isolarsi mentalmente che già il tipo era tornato in macchina.Efficiente, molto efficiente, pensò! 
   Era in programmazione "l'Avaro di Moliére", interessante commedia e la compagnia teatrale era anche d'eccezione, quindi si prospettava una serata tutt'altro che tediosa: lei amava in particolar modo quell'autore che sapeva interpretare al meglio la psicologia dei personaggi.
   Lasciarono il teatro entusiasti e in preda ad una disquisizione sull'avidità umana e sulle nefaste conseguenze. Lui si rivelò un abile conversatore, l'ottima dialettica lo rendeva affascinante e desiderabile. Scomparve l'aspetto ordinario, il viso inespressivo nascosto da due occhialoni alla Woody Allen, passarono in secondo piano la sua statura e il fisico mingherlino: lui emanava un sex appeal irresistibile. 
   Lucia, sta attenta, non ci cascare, disse fra sé. Ma non seppe dirgli di no, quando lui le chiese di continuare la serata da qualche altra parte. Era tardi e non sapeva dove condurlo, passò dinanzi a casa sua e parcheggiò l'auto. In ascensore lei già lo desiderava, dimenticò i buoni propositi e gli lanciò sguardi invitanti. Entrarono in casa e appena chiusa la porta, lei si stupì quando lui le chiese informazioni sul dipinto di un autore sconosciuto che spiccava sulla parete d'entrata.
   Ma come? Lui non affretta i tempi, è un gentiluomo! Diceva a se stessa. Aveva la capacità di pensare e di non perdere di vista la realtà.
   Il presidente volle fare il giro della casa. Che strano interesse! Non poté fare a meno di riflettere Lucia. Lui si soffermò sui ninnoli, sulla disposizione del mobilio, notò la precisione di lei, indugiò in cucina affascinato dal nuovo modello di microonde, del quale le chiese le caratteristiche e le varie cotture. Lucia cominciò a spazientirsi e meditava di passare al contrattacco. Se lui non prende l'iniziativa, lo faccio io! Pensò
   Notò, poi, una strana espressione sul volto di lui quando posò lo sguardo sulla foto del suo ex marito. "Che c'è, lo conosce?" chiese Lucia. "Conosce il mio ex marito?"
   "Non dovrei dirlo, ma lo conosco molto bene. Mi manca tanto!" esclamò svenevole e amareggiato.
   Che delusione! Aveva mandato in malore il suo matrimonio quando scoprì la duplice sessualità del caro coniuge e ora le capitava il suo amante! E dire che aveva avuto sensi di colpa, il suo ex aveva anche negato.
   "Signor Presidente, si è fatto tardi, domani c'è consiglio d'amministrazione. La riaccompagno!" e spalancò la porta indicando l'uscita con una leggerezza nel cuore.
   
   
   

mercoledì 26 novembre 2014

Solo un paio di scarpe

   

   Il buio la circondava, la opprimeva; quella stupida convention le aveva allontanato il suo uomo. Era talmente abituata a coricarsi con lui che le sembrava insolito essere da sola; tra l'altro aveva paura del silenzio della casa: si affacciavano nella mente strani racconti, parole ascoltate e captate durante le visite alle zie single per vocazione o per mancanza d'amore.
   Un sibilo, un tramestio, ma cosa andava a pensare, persino il suo respiro le pareva qualcosa di sospetto; decise di accendere la tv, ma avrebbe dovuto cercarsi il telecomando e collegare prima la spina che sistematicamente staccava ogni mattina. Scese dal letto e si mise alla ricerca dell'oggetto sospirato, rivoltò le lenzuola, guardò sulla poltrona in damasco che aveva acquistato dall'antiquario. Che bella, pensò, bella e di valore, faceva sempre dei buoni affari: con il suo fiuto da intenditrice riusciva a portarsi a casa oggetti di qualità e a un prezzo conveniente.
   Oramai che era in piedi si chinò per terra e guardò sotto il letto, quanta polvere, allora la domestica non puliva le parti nascoste, si disse. Pazienza doveva cercare lo stesso, temeva che fosse andato a finire fra i piedini delle reti dei materassi. Prese una torcia e scrutò, s'infilò sotto il letto quando vide due scarpe più in là, erano da uomo: attraverso lo spiraglio di luce individuava solo quelle. Oddio allora non aveva fantasticato, non si era lasciata trasportare dalla paura sciocca della casa vuota: lì c'era un uomo che l'avrebbe presa, malmenata e poi stuprata, magari sarebbe pure morta ammazzata dalla bieca spietatezza dell'uomo senza volto al quale, per ora, gli attribuiva solo un paio di scarpe.
   Scarpe di qualità, di stile inglese e di bella fattura, sicuramente un prodotto artigianale: quello sconosciuto si era intrufolato in casa sua non per estorcerle denaro, ma con il preciso scopo di farla soffrire e poi violentarla. Ma cosa gli aveva fatto? Quindi lo conosceva, un attimo... forse un suo paziente esasperato dai rapporti stanchi con la moglie, ma certo quel tipo che non riusciva ad avere un amplesso decente: era un frustrato che aveva in testa il tarlo della competizione da quando la sua donna gli aveva detto che il suo ex faceva meglio l'amore. Eppure credeva di averlo guarito da quel complesso. Un giorno era tornato da lei felice: la notte prima era stata un successo e sua moglie gli aveva dato un dieci e lode. Ma allora non era vero, si era inventato tutto per non continuare la terapia con lei, sessuologa per vocazione. Aveva scelto quella professione sin dal primo anno d'università, quando vide, attraverso la fessura della porta, sua madre che piangeva e suo padre che le diceva di non valere nulla come donna, urlandole: "Sei una frigida!"
   Rimase lì sotto immobile con le sue congetture e non discostava lo sguardo da quel paio di scarpe, ma come mai non si muovevano, erano sempre nella stessa posizione, oh signor che faccio ora, si disse? Perché Umberto l'aveva lasciata in casa da sola, perché non le aveva chiesto di andare con lui? Del resto la convention capitava nel fine settimana e lei non apriva lo studio, a volte, neanche di venerdì pomeriggio. Forse il suo uomo aveva inventato tutto per farsi un weekend con la sua amante, magari una ragazza giovane che aveva conosciuto in ateneo, lui era un docente fra i più giovani e stimati, ed era anche un uomo di fascino che aveva rivolto gli occhi su di lei innamorata persa del professore già da un bel tempo. Sto invecchiando, pensò, ho quarant'anni e comincio a notare qualche segno d'espressione, il mio corpo non è più turgido come quello di una ragazza e Umberto se non mi ama più, sta notando i miei cambiamenti. Però quelle scarpe sono sempre lì, che faccio, devo prendere una decisione, si disse: non posso restare qua sotto in eterno, tra l'altro sono anche stanca e comincio ad aver freddo.
   Si guardò attorno e vide una piccola asta, ma si era quella che le era sfuggita qualche giorno prima, mentre cercava di recuperare una gonna posizionata nella parte alta del guardaroba. Le piaceva indossare gonne, a Umberto piacevano le sue gambe, diceva che si era innamorato prima di quelle. Umberto, Umberto, dove sei, perché hai deciso di tradirmi? Mi avrai sulla coscienza!
   "Amore, sono tornato, c'è uno sciopero all'aeroporto. Ma guarda, ho lasciato qui le mie scarpe preferite!"

lunedì 24 novembre 2014

Ammirazione

         
 

   Il fascino è solo nell'esteriorità? Moltissime volte è stato affrontato quest'argomento, ma nonostante il già detto oggi mi va di scrivere sull'interiorità, sul fascino che conquista per ragioni diverse dall'aspetto esteriore destinato a deteriorarsi.
 
   Il fascino della cultura, di una professione di spicco, del talento, della parola, del carattere, dell'umorismo, dell'ironia, sono doti eccelse che non temono il trascorrere del tempo anzi, migliorano con la saggezza dell'esperienza. Ecco... il corpo invecchia, ma la mente se ben custodita acquisisce più bellezza.
 

   La cultura si apprende per forza di cose e s'impara anche per vocazione: occorre conoscere erudizioni per far parte di un mondo civilizzato, l'alfabetismo è sempre più un ricordo, uno scomodo ricordo. La cultura di base serve a sopravvivere e non possiede fascino, mentre la cultura profonda acquisita per passione e impegno ammalia e attrae se l'acculturato possiede anche il dono dell'umiltà: è insopportabile l'ostentazione sotto forma di esibizionismo.
 

   Il fascino della professione, di quelle professioni di tutto rispetto e anche di quelle degne di nota con quell'aura luminosa avvolgente. Immaginiamo un direttore d'orchestra sul podio di un teatro, anche fosse un uomo insignificante, lì con la bacchetta in mano, durante la guida e la coordinazione dei musicisti, acquista il fascino dell'atmosfera e del prestigio. E che dire di un chirurgo durante una lezione d'anatomia chirurgica, anch'egli attrae per l'abilità delle sue mani che delicatamente sezionano e aprono orizzonti affascinanti per gli allievi e futuri medici.
 

   L'arte oratoria incatena le folle, le attrae;  pensiamo a un abile presentatore che sia di piazza o televisivo, sfruttando le sue doti comunicative affascina più del suo aspetto. Sono abili oratori i paladini, si fa per dire, della giustizia: un'arringa avvincente non passa inosservata, un'oratoria se ben costruita anche essendo a braccio ha il potere di concentrare l'attenzione, non sull'aspetto dell'oratore ma sull'abilità che giunge dalla sua capacità interiore.


   L'umorismo e l'ironia vanno a braccetto e sono doti che conquistano gli ascoltatori, difficile restare indifferente a quell'umorismo di classe condito da gradevole ironia. Ma non solo anche gli scrittori adoperano l'ironia per affondare la penna in situazioni delicate: il velato condito da locuzioni piacevoli ha più effetto della cruda verità.
 

   Il talento è una dote naturale, chi lo possiede ha di suo un fascino irresistibile quando il talento è ben sfruttato. L'osservatore conquistato dal talento avrà occhi solo per quella capacità unica e speciale. Ma al talento serve la passione, l'impegno costante, affinché il suo talento dia frutti: le doti naturali vanno coltivate e non lasciate perire dall'inerzia deleteria.
 

   Ci si può innamorare di una persona che sprigiona fascino dalla sua interiorità? Certamente si e quel sentimento perdura se l'aspetto interiore ha un valore aggiunto, quello della modestia. Ma quando la consapevolezza d'essere superiori si vanta dei propri meriti, umiliando chi ha occhi per quella superiorità, il sentimento è destinato a soccombere e l'ammirazione a trasformarsi in dispregio.
 

   Interiorità, ossia aspetto interiore, non appare a prima acchito, ma quando si manifesta a chi sente particolare attrazione per quel genere d'aspetto è qualcosa di magico al quale è difficile resistere. Se poi dovessero incontrarsi le affinità elettive, secondo Johann Goethe, vi sarebbe il connubio perfetto: corpo e anima.

giovedì 13 novembre 2014

Un tuffo nel cuore

                   

   E' una mattinata buia, la pioggia insistente tamburella sui vetri sempre più grondanti d'acqua. Il rumore dapprima sordo diviene poi insistente e l'atmosfera domestica pare amalgamarsi con quella esterna, creando una piacevole sensazione di rilassamento. E' il momento per pensare, per isolarsi da ogni cosa; è il momento per lasciare spazio alle riflessioni, ai ricordi; è il momento per sciogliere le briglie a quei neuroni stanchi di ricevere impulsi, a volte, dettati dalle regole. E tutto rimbalza, si ripercuote, trasporta, apre porte chiuse dal tempo mostrando un mondo che ora appare incantevole, un mondo che si vorrebbe riavere ma che all'epoca non entusiasmava: si ha la capacità di sentirsi inadeguati con quel desiderio di voler vivere una diversità che non ci appartiene. Un tuffo nel passato, quindi, in quel passato dal quale si voleva fuggire e che ora si mostra con occhi diversi, gli occhi della lucidità nata dall'esperienza.
   Perché non sappiamo cogliere il presente come un fiore odoroso? Perché non siamo in grado di vivere in pienezza quei momenti irripetibili nati con noi e dei quali ne perdiamo l'importanza a causa della nostra immaturità o voglia di crescere, di fare esperienze e di voler dimostrare che siamo autonomi e molto più bravi di chi ha già fatto quel percorso da noi intrapreso. Non sempre quel presente è permeato di bellezza, di sentimenti autentici, di amore assoluto e incondizionato, ma quando questi sentimenti veri li riceviamo in abbondanza e li sentiamo come un peso, allora è che non siamo stati in grado di dar valore a quei momenti lontani e irripetibili.
   Da dove nascono queste considerazioni? Forse da una constatazione che il mondo si ripropone sempre uguale e che nonostante cambi la musica, gli stimoli, tutto torna e forse vorremmo che fossero risparmiati dalle stesse riflessioni e ripensamenti le persone care che poi vivranno la nostalgia del tempo andato, proprio come capita adesso a noi. Difficile farlo comprendere in quanto anche noi al tempo eravamo riluttanti all'ascolto e avevamo occhi oltre il nostro confine: il nostro recinto, in definitiva, era per noi privo di bellezza. Ma la saggezza è frutto sempre di esperienze accumulate, di tempo su tempo che scorre lentamente e che vede andar via quelle persone alle quali vorremmo dire: "E' come dicevi tu. Ora so che è proprio come tante volte mi avevi spiegato. Adoro ciò che mi apparteneva. Era adorabile l'esistenza con te!" Solo per un attimo si vorrebbe calpestare quel recinto per accarezzarne l'erba, la nostra erba da prato rustico, un po' spartano, ma con tanta clorofilla che ossigenava il cuore.   
   La pioggia ha smesso di tamburellare sui vetri, il cielo si sta rischiarando e il sole filtra attraverso le persiane spalancate, anche la mente si sta rischiarando, i neuroni hanno vagato e ritornano a fare il loro dovere, quello della consapevolezza delle cose, lasciando da parte i rimuginamenti e la malinconia, cattiva compagna d'inizio giornata. I pensieri ora  si fanno più dolci e lasciano spazio alle attenuanti della formazione e del desiderio di voler staccare quel lembo di sinapsi emozionale. Se la vita si ripete, una ragione deve esserci, e in natura è altrettanto: la maturità è un processo lento!       

martedì 4 novembre 2014

Riflessioni di lettura

Ripropongo questo romanzo di un autore annoverato fra i massimi scrittori del novecento.              


                               
   

   Lo scrittore ungherese Sàndor Màrai, annoverato fra i grandi maestri della narrativa mitteleuropea, disapprovava il sistema politico del suo paese e per libera scelta girovagò da uno stato all'altro. Inizialmente si trasferì in Germania e in Francia, in seguito, con l'avvento del comunismo nella sua terra, si stabilì dapprima in Italia, presso Napoli, e, poi, definitivamente negli Stati Uniti dove ottenne la cittadinanza. I suoi libri furono banditi dall'Ungheria per molti anni e tornano oggi ad avere il giusto riconoscimento.
    Il romanzo "Le braci" scritto nel 1942 è stato pubblicato dall'Adelphi nel 1998 e tratta il tema della passione umana che continua ad ardere come le braci sotto la cenere. Nel titolo di questo romanzo è racchiuso il filo portante della storia, una vicenda che porterà il lettore sino alla fine in un crescendo di tensioni.
   
   La storia ruota attorno ad un vecchio generale, Henrik, che vive in un castello ungherese in compagnia della sua vecchia tata, l'unica sopravvissuta negli anni; la sua balia lo conosce meglio di chiunque altro e continua a vivere come se il suo compito non fosse ancora terminato. L'altro personaggio è Konrad, amico d'infanzia del generale, entrambi covano nel cuore una brace che non si spegne, un segreto mai affrontato: la passione per la stessa donna, moglie del generale. Essi dopo aver tanto vissuto insieme il periodo giovanile e condiviso emozioni, crescita e vari percorsi, si separano improvvisamente per un periodo lunghissimo e  si ritroveranno dopo quarantuno anni per un confronto sulla memoria, come se fossero vissuti in attesa di quel momento. Un incontro, quindi, necessario: le braci della passione non si sono ancora spente ed esigono un chiarimento.
   “Non credi anche tu che il significato della vita sia semplicemente la passione che un giorno invade il nostro cuore, la nostra anima e il nostro corpo e che, qualunque cosa accada, continua a bruciare in eterno, fino alla morte? E non credi che non saremo vissuti invano, poiché abbiamo provato questa passione? E a questo punto mi chiedo: la passione è veramente così profonda, così malvagia, così grandiosa, così inumana?"
     Il generale ripercorre minuziosamente attimo per attimo i momenti che hanno preceduto l'allontanamento inspiegabile del suo amico. Narra che tutto cominciò durante una battuta di caccia in cui scoprì di esserne il bersaglio e che proprio Konrad, l'amico fidato, avrebbe voluto ucciderlo. Successivamente all'accaduto un'altra rivelazione fece sprofondare Henrik nello sconcerto totale: la presunta infedeltà della cara moglie Krisztina che divideva con lui anche i pensieri del suo diario personale, una persona al di sopra di ogni sospetto per trasparenza e moralità. Le risposte che al tempo avrebbe voluto, non ebbero voce: l'amico partì per l'Oriente e lui, per i pensieri angosciosi che lo affliggevano, preferì trasferirsi lo stesso giorno nel suo casino di caccia che divenne l'abitazione permanente. La moglie continuò a vivere da sola nel castello dove morì dopo un decennio, ma non lo cercò mai; lui arroccato nel suo risentimento fece altrettanto. 
   Il romanzo, dopo aver introdotto il lettore nella vicenda, è incentrato tutto sull'incontro: un monologo di Henrik che rivolge domande all'amico, il quale con il suo tacito assenso fornirà quel chiarimento atteso.
   
   Màrai è un fiume in piena di parole che sgorgano dalla sua penna come una cascata inarrestabile: i particolari e le ricche sfumature rendono la narrazione pregevole; pagine e pagine ruotano intorno allo stesso concetto incatenando il lettore senza mai stancarlo. 

domenica 26 ottobre 2014

I pro e i contro del progresso

   Calabria: frode fiscale nella gestione dei rifiuti. Indagati assessore all'ambiente e commissario             

   L'uomo, crea, propone, invoglia, e quella creazione una volta sul mercato diviene di dominio pubblico: tutti ne fanno uso. Vi sono gli esperti che nel tempo valutano la tal innovazione e ne confermano i vantaggi; allora la gente si abitua, mette da parte il passato e dà risalto alla nuova creazione che diviene parte integrante del vivere quotidiano. Le nuove idee abbracciano ogni campo, e ci mancherebbe altro: non si può prediligere un settore o una fascia d'età.
   Prendiamo ad esempio gli spray con propellente oramai vietato, questi spray hanno facilitato la vita degli esseri umani; ogni cosa veniva diffusa nell'aria sotto forma di spray che assieme al prodotto scelto diffondeva anche quei propellenti velenosi per l'ambiente, prodotti chimici che raggiungendo l'atmosfera hanno danneggiato la fascia d'ozono. Le fabbriche emettevano sostanze inquinanti, oramai vietate, le auto producevano scarichi velenosi, le illuminazioni delle città altrettanto, e gli elettrodomestici nel tempo hanno rilasciato dei gas nocivi per l'ambiente; ricordo lo strato nerastro dietro il mio frigorifero e sulla parete retrostante il vecchio televisore a tubo catodico. Poi le vernici non a norma, le costruzioni realizzate con manufatti in cemento amianto, ossia l'eternit, e l'alimentazione? Non siamo stati risparmiati neanche su quella, ogni sorta di prodotto, di coltivazione portava con sé un corredo di schifezze utili solo alla crescita rapida del tal prodotto, uso il tempo passato perché il sistema è cambiato, almeno dovrebbe essere, come anche i controlli sanitari. L'attuale competenza ha scoperchiato pentoloni che bollivano intrugli avvelenati per la gente ignara che nel tempo ha contratto ogni sorta di malattia a volte incurabile.
   Il progresso, il cambiamento, l'innovazione avrebbero dovuto donare una migliore qualità della vita e invece se da un alto hanno facilitato l'esistenza umana, dall'altro lato hanno contribuito a innescare un meccanismo di frode a tutto campo. Ora le costruzioni edilizie hanno regole severe: hanno varie classificazioni di sicurezza e di abitabilità e l'amianto è solo un triste ricordo, per di più si utilizzano le energie rinnovabili che non inquinano l'ambiente e hanno costi decisamente bassi, quindi un giusto equilibrio per tutti. Le fabbriche dovrebbero essere tutte dotate di depuratori e non emettere gas velenosi per l'ambiente, la vicenda dell'Ilva ne è un esempio. Il cibo, quasi tutto il cibo, dovrebbe essere corredato da un'etichetta di rintracciabilità del prodotto, con la speranza che quelle attestazioni siano attendibili.
   Ho usato il condizionale perché ancora oggi le etichette non compaiono su tutti i prodotti alimentari e se vi sono, l'interpretazione non è facile. Ho usato il condizionale anche per le fabbriche, perché ancora oggi tanti stabilimenti non sono a norma, come non lo sono completamente le costruzioni. All'Aquila, nonostante il terremoto di qualche anno fa che, in riguardo alle tecniche di costruzioni, prevede delle regole speciali  antisismiche, i recenti manufatti abitativi consegnati agli aquilani mostrano già segni di deperibilità e tra l'altro non sono antisismiche.
   Regole, sanzioni, controlli eppure l'uomo trova ogni mezzo per peggiorare l'ambiente con annessi e connessi, ma ciò che mi fa veramente irritare è: "Dove sono coloro che dovrebbero controllare, prima di rilasciare un qualsivoglia permesso a tutto campo? Perché se ne parla sempre dopo? Il progresso che benefici ha?"
   E come sempre siamo qui a raccontarne i danni!

sabato 18 ottobre 2014

Impressioni di lettura

                                      La locanda delle occasioni perdute                     

                   
     Tutti noi vorremmo esistesse un posto appartato dove far riemergere il nostro passato, un posto in cui le occasioni perdute si ripresentano sotto forma di una veste insolita da scegliere o rifiutare. Un ristorante, un menu che non prevede la lista delle pietanze, ma quella delle nostre occasioni perdute, quelle che non abbiamo saputo cogliere. Un’idea geniale quella di Antonella Boralevi, scrittrice, conduttrice e autrice di programmi televisivi, un’idea che conquista sin dalle prime pagine di questo romanzo scritto con sapiente coinvolgimento, in definitiva un libro che si legge tutto d’un fiato.
   La protagonista, Mirella, è una donna che porta con sé molti interrogativi, una persona schiva alla ricerca della felicità che i punti oscuri della sua vita non le hanno permesso di ottenere. Mirella è in contrasto anche col suo nome, avrebbe voluto chiamarsi Cosima, secondo lei, nome più autorevole che forse le avrebbe fatto guadagnare il rispetto e la forza di fare la scelta giusta. Mirella è per lei sinonimo di debolezza, di personalità scialba; un nome, in definitiva, troppo melenso per ricevere attenzione. E con quel marchio di un nome sciocco, sin dall’infanzia ha vissuto situazioni di disagio e di condizionamenti che non la lasceranno anche da adulta, portandola sulla strada delle scelte subite, come se fosse il suo nome privo di carattere a prendere il sopravvento.
   Mirella è figlia unica di una coppia di genitori molto belli che curano il loro aspetto e la loro vita mondana dimenticandosi della figlia, la quale vive spiandoli e desiderando quelle coccole che tutti i bambini aspettano. L’educazione della piccola è affidata a una istitutrice tedesca che la segue nel suo percorso formativo; in seguito sarà la nonna a occuparsi di lei: i genitori si allontano spesso e amano viaggiare .
   Mirella avrebbe voluto essere abbracciata dalla madre e dal padre del quale è innamorata, e per entrare nella vita dei suoi genitori li spia di nascosto attraverso una porta semiaccostata: una stanza matrimoniale ha i suoi segreti che non saranno più tali per la piccolina di solo sei anni. A sedici anni perderà i genitori che periranno in un incidente d’auto e al capezzale del padre, che si trova fra la vita e la morte, Mirella non ha il coraggio di esternare tutto il suo amore a quel genitore che venera più d’ogni cosa.
   Il percorso di studi intrapreso si rivela quello non appropriato alle sue inclinazioni e non giungerà mai al traguardo della laurea. All’età di soli ventidue anni si ritrova anche sposa di un giovane che vedeva in lei, non la donna della sua vita ma la madre futura dei suoi figli: decadendo questa possibilità da parte di lei, il matrimonio s’interrompe. Mirella all’inizio della sua vita coniugale, durante una festa, conosce il vero piacere sessuale con un ragazzo occasionale del quale volutamente perderà le tracce: non lo cercherà più e cestinerà il suo numero telefonico, forse fra le tante avrebbe potuto essere lui l’occasione perduta?
   Mirella ha ora più di quarant'anni, l’età in cui la vita è ancora da vivere, le scelte giuste potrebbero farle ottenere la felicità rincorsa e dare risposte agli interrogativi  sempre presenti. E quale migliore opportunità, l’intimità di un locale parigino dall’ambiente retro ove si materializzano le occasioni perdute e danno vita a una disamina del passato, ad una sorta di catarsi che, scavando in se stessa, la porta a far chiarezza:  l’occasione presente foriera di felicità è da cogliere, gettando alle spalle il passato ancora ingombrante. 
   Le Mirelle sono tante, potremmo essere noi: a tutti capita di pensare se avessimo preso quel treno, se avessimo colto quell’opportunità, se fossimo stati diversi. Ecco questo è un libro che potrebbe riguardare anche noi con i nostri sogni, i nostri rimpianti, le nostre opportunità perdute!

lunedì 13 ottobre 2014

Riflessioni di lettura

                         
   

   Un tempo i matrimoni si combinavano e le famiglie approvavano l’unione ancor prima che i giovani avessero la possibilità di esprimere il loro parere. Una famiglia ricca vedeva di buon occhio un rapporto con una famiglia dello stesso rango, era impensabile che un giovane benestante si unisse in matrimonio a una ragazza di estrazione inferiore. Ma il protagonista del romanzo contravviene alle regole e rompendo il fidanzamento con la sua promessa sposa, una giovane grassa e ricca, preferisce sposarsi con la ragazza della piccola borghesia che egli ama e che lo contraccambia. La loro unione sarà fondata sul sentimento inossidabile che supererà molte traversie e resterà intatto sino alla fine. Una vicenda che attraversa trent’anni di vita francese e che va dal periodo precedente alla prima guerra mondiale sino alla seconda guerra mondiale in atto, ossia all’occupazione della Francia da parte dei tedeschi.
   I doni della vita, mi soffermo sul titolo del romanzo e da cui scaturisce il filo conduttore della storia: l’unico dono che conta è l’amore, quel sentimento autentico che lotta e combatte sino alla fine e dà la forza necessaria per vincere le battaglie. E di battaglie ne hanno da superare i due protagonisti della vicenda: subito dopo il matrimonio scoppia la prima guerra mondiale e lui partirà per compiere il suo dovere come soldato al servizio della patria, tornerà dopo quattro anni. Nel mentre sua moglie sarà costretta a vivere presso i suoceri con il frutto del loro amore, il piccolo Guy, la convivenza non sarà facile: il nonno, il capostipite di quella famiglia non ha mai accettato le nozze del nipote. La vita riprenderà il suo corso al termine della guerra, i due protagonisti potranno riunirsi e crescere il loro bimbo che diventerà un giovane volenteroso e di belle speranze, ma anch’egli come suo padre si distaccherà dalla giovane sposa e sarà impegnato nella guerra, il secondo conflitto mondiale.
   In questo libro ritroviamo il talento di una scrittrice che abbiamo imparato a conoscere e che mentre scriveva “Suite Francese” in parallelo portava avanti la storia de “I doni della vita”, una sorta di anticipazione su quelli che sarebbero stati i destini dell’umanità. Lei scrisse la storia mentre i fatti accadevano: era, infatti, la seconda metà del 1940, piena occupazione tedesca dopo l’armistizio. Il romanzo fu pubblicato nel 1941 a puntate ma non con il nome dell’autrice, essendo ebrea doveva cautelarsi, solo nel 1947 fu pubblicato l’intero romanzo e si conobbe il nome della scrittrice quando ormai lei era già morta, cinque anni prima, nel campo di concentramento nazista.  
   Una volta preso il libro tra le mani, dopo le prime righe, l’unico desiderio è quello di continuare a immergersi nella lettura, respirarne i passaggi, gli sviluppi, l’armonia lessicale e le bellissime metafore. La storia avvince per le grandi capacità narrative che non deludono neanche questa volta. E come potrebbe, se l’autrice è lei Irène Némirovsky, la scrittrice che sapeva dipingere con le parole perché creava affreschi di vita tangibile per il lettore e perché sapeva entrare nell’anima del personaggio, descrivendone profondamente stati d’animo e pensieri.
   Gli scrittori del passato propongono storie che per i lettori attuali potrebbero sembrare obsolete sia per gli argomenti superati, sia per la forma lessicale, non è il caso della Némirovsky: in lei vi è una freschezza di pensiero che non teme il decorrere del tempo. 

martedì 7 ottobre 2014

Aggressività

                             

   Che sta succedendo alle famiglie? Ogni giorno ci comunicano notizie di uccisioni familiari, coniugi che massacrano la propria moglie o convivente e figli piccini che assistono all'omicidio efferato, bimbi che a volte subiscono la stessa sorte. Anche prima, vari decenni fa, la situazione economica non era agevole: imperversava la miseria e la vita era affrontata con rinunce e sacrifici. Cosa è cambiato nell'animo umano? Forse ora è più fragile, o invece è lasciato solo? Oppure riceve sollecitazioni sbagliate e istigatrici?
   Tanti anni fa la povera gente si arrangiava come poteva: non aveva conosciuto il benessere e viveva di quelle risorse sufficienti a garantirle la sopravvivenza. Oggi non si accetta più il disagio perché veniamo da tempi floridi e tornare indietro non è facile: non siamo ancora abbastanza temprati alle rinunce e all'accettazione di una vita spartana. 
   E' vero anche che tanti stanno sperimentando un nuovo modo di vivere, più attento, più oculato, ma è difficile rinunciare a ciò che appartiene alla massa e che è divenuto uno status symbol moderno. Si potrebbe pensare di uscire di casa senza il proprio cellulare, oramai uno smartpfone che ha la possibilità di connettersi, di orientarsi lungo le strade, di caricare foto ed inviarle, e tanto altro. Ma il telefonino, oltre a tutto a ciò, fa parte di noi, ci identifica quasi e essendo raggiungibili, siamo sempre in contatto con il mondo e forse ci sentiamo meno soli. Il male di questa società è anche la solitudine che cerchiamo di allontanare correndo sul web e per via satellitare. I rapporti umani non sono più gli stessi: ci isoliamo e rimuginiamo sui nostri problemi, e senza una valvola di sfogo finiamo per metabolizzare negativamente, non cercando soluzioni alternative; la mancanza di rapporti umani, inevitabilmente, ci porta nel magma dell'infelicità.
   L'attuale società sta seminando disastri in ogni campo, il clima di sfiducia indebolisce gli animi e al tempo stesso li muta in esseri poveri di sentimenti. Arrivano all'onor di cronaca i gialli, i misteri, i casi irrisolti e ciò che spaventa è la fame di notizie truci con particolari agghiaccianti, come se la gente si consolasse in questo modo dei suoi mali. Il fatto che ora certe notizie siano da tg, fa capire il clima greve in cui si vive e il progressivo inasprirsi delle serie televisive, girate tra menti criminali e obitori, crea quasi un effetto emulativo. 
   Per decenni si è coltivato un buonismo oltre misura, inesistente, perché si viveva in anni di relativo benessere e di pace, ora pare che l'intento pedagogico miri a tener sveglia l'aggressività. Fondamentalmente l'essere umano è buono, ma la sua naturale inclinazione è disturbata dalle tensioni che si creano nella società corrotta. La società impone delle regole affinché l'aggressività presente a causa dei contrasti non provochi danni, ma al tempo stesso l'energia distruttiva repressa produce frustrazione. Forse questo spiegherebbe quei raptus improvvisi, o ancora è tutto il sistema inefficiente e corrotto a causare squilibri che falciano le famiglie? 
   Che sarà di questa generazione cresciuta a spot adescatori, notizie agghiaccianti e disumane? Che sarà di quei bimbi spettatori della barbara uccisione dei loro stessi genitori? Come riusciranno a metabolizzare la perdita, lo strappo doloroso? Come affronteranno la loro vita futura da adulti, quando le domande emergeranno impietose, saranno essi capaci di darsi risposte esaurienti che li faranno seguire la strada della bellezza della vita? Questa è una situazione sulla quale riflettere! 
   Dall'altra parte abbiamo equipe d'esperti che seguono queste creature sfortunate e non solo: esse sono affidate alle loro famiglie d'appartenenza che si adoperano per la loro ripresa e inserimento nella futura società da costruire. 

mercoledì 1 ottobre 2014

Radici

                      

   Un tempo lei desiderava evadere dalla sua realtà per andare incontro a nuovi orizzonti, nuove culture, nuovi stili di vita. Non le importava delle sue radici che tra l'altro le stavano strette: troppe responsabilità e catene, aveva voglia di sciogliere quelle catene. Gli affetti richiedono impegno che mal si combina con i propri impegni, l'importante era per lei trasferirsi con la nuova famiglia che aveva creato.
    E si vedeva proiettata in una nuova dimensione, lontana dal mondo che da sempre le era appartenuto; quel mondo privo di interesse, oramai era sempre lo stesso, con i suoi difetti e le sue precarietà e il suo discutibile modus vivendi così lontano dalle sue aspettative. Non era una campanilista e se doveva sparare a zero contro la sua città, lo faceva senza remore alcune, avrebbe voluto essere nata altrove.
   L'idea di migrazione trovò maggiore conferma, quando per la prima volta conobbe un posto tanto lontano dal suo, dove la vita era completamente diversa. Quella città era ben tenuta, in ogni angolo regnavano ordine e pulizia, i cittadini ben educati con quel parlare sciolto dall'inflessione melodiosa, nulla avevano a che vedere con quegli zoticoni del suo quartiere così degradato. Ma perché, si diceva, era dovuta nascere proprio lì, quasi si vergognava a dire il luogo d'appartenenza: finivano per pensare che anche lei fosse zoticona e incivile. Eppure non erano tutti così i suoi concittadini, vi erano fior di menti con culture elevate, raffinati professionisti, tanti avevano dato lustro al luogo e non solo; ma purtroppo gli era stata appiccicata l'etichetta della cafoneria e chissà perché finivano per parlare solo di quelli che denigravano il luogo. Si era convinta che doveva andarsene, avrebbe convinto il marito a fare richiesta di trasferimento, i suoi figli dovevano crescere altrove.
   Un giorno una parente, che da tempo viveva dove avrebbe voluto trasferirsi lei, venne in vacanza nella sua terra che amava tanto e della quale sentiva una profonda nostalgia. "Ah, come avrei voluto aver fatto un incontro diverso." disse quella parente. "Ma a cosa ti riferisci, zia carissima?"  "Al fatto che ho sposato un uomo freddo e privo di umanità, mentre da noi siamo così uniti, ci rispettiamo e ci vogliamo bene. Per noi la famiglia è importante, mentre per la gente del posto, dove vivo, ognuno va dove vuole, e non si amano, non si rispettano. Rispettano le città, ma non i loro focolari." rispose la zia.
   Passò del tempo e lei aveva abbandonato le sue idee di migrazione, tutte le volte che tornava dalle vacanze, amava ancor di più le sue radici e ne coglieva aspetti che prima non notava. La cafoneria di alcuni divenne per lei  folclore puro, la parlata locale non propriamente aggraziata fu quel vernacolo, nobile lingua, da conservare come testimonianza di venti secoli di storia. E il degrado della città lo vide come un momento di negligenza amministrativa da superare: un tempo, le diceva sua madre, quel posto era un salotto perbene e rispettato. E poi il calore della sua gente, la loro disponibilità, la familiarità, i valori ancora presenti, in due parole erano le sue radici e tutto il resto non aveva importanza.

lunedì 22 settembre 2014

Divagazioni

                        

   Le proposte letterarie sono in caduta non accidentale e la lettura viaggia di pari passo: le preferenze vertono su altri campi. Del resto, che i lettori fossero diminuiti, non è una notizia da prima pagina: conosciamo già il problema e se ne parla per cercare di smuovere l'interesse del pubblico distante. Da cosa nasce questa crisi libraria? Mi verrebbe da pensare che essendoci meno moneta, acquistare un libro vorrebbe dire fare a meno di qualcosa di più utiile, mi verrebbe da pensare, dicevo, e forse potrebbe essere per alcune categorie. Ma la lettura è già da tempo che non rientra nei normali interessi, è vero che tanti giovani leggono e affollano le sale di lettura delle più importanti librerie, ma è pur vero che tanti altri giovani amano scritture veloci e letture velocità della luce come i loro pensieri che, non ricevendo cibo intellettuale, finiscono per impoverirsi in un solito e monotono linguaggio low cost, tanto per usare un eufemismo straniero.
   Sul web comunque esistono pagine di scrittura che danno spazio a chi invece ama ancora scrivere e leggere e sempre sul web chi sceglie di leggere tali pagine è ben felice di potersi informare o disquisire sui vari argomenti proposti, o anche leggere narrazioni pubblicate a costo zero.
   Ebbene da un po' anche il web, riservato alla lettura di un certo tipo, pare in "caduta non accidentale" e le proposte letterarie sembrano non suscitare il precedente interesse. Con ciò non voglio dire che i miei scritti rientrino in quelli da non essere trascurati, figuriamoci: non mi ritengo all'altezza dei vari critici che lo fanno per mestiere, infatti le mie sono impressioni di lettura. Ma vi sono fior di critici che, ugualmente, non ricevono l'interesse di un tempo.
   Allora bisogna cambiare registro? Bisogna per forza parlare di argomenti diversi dalle proposte letterarie per ricevere partecipazione? Ognuno ha la sua inclinazione o passione e cerca di esternarla come può, del resto se non ci fossero le comunicazioni letterarie, chi continua a brancolare nel buio, quando decide di acquistare un libro, non saprebbe cosa comprare o finirebbe per prenderne uno accattivante per la copertina o per la prefazione.
   Il mio è solo uno sfogo, non ci fate caso. Forse oggi, non sapendo che pesci pigliare per riempire questa pagina, ho preferito pescare da me.
   A voi la parola e che sia libera dalla retorica del caso!
   Buon inizio di settimana a tutti!

lunedì 15 settembre 2014

Impressioni di lettura

                                     L' ultimo molo

  " L'ultimo molo" di Helena Marques è un libro che giaceva da qualche tempo sulla mia scrivania, i libri si acquistano, altri si ricevono e capita che prima di essere letti passi del tempo. Sono contenta di averlo scoperto e di essermi immersa nella lettura di una storia passata che narra di una famiglia di origini italiane, i Villa, trasferitasi a Madera per volontà del nonno del personaggio chiave della vicenda. 
   L'autrice, dapprima giornalista e poi scrittrice, pur raccontando una storia imperniata sull'amore e sui sentimenti, non scivola nel melenso e ci presenta una saga famigliare che abbraccia quasi un secolo. Tutto parte da un diario di bordo ritrovato in un cassetto di una scrivania ricevuta in dono da una parente, Carlota; una scrivania che era appartenuta a Raquel, nonna della donatrice, una scrivania risalente a duecento anni prima: Raquel l'aveva ereditata da suo nonno. 
   La narratrice di questa storia si aggira per le camere della casa e osserva i ritratti dell'epoca, è pervasa dal silenzio delle camere oramai in uno stato d'abbandono e si sofferma a pensare a come doveva essere stata la vita fra quelle mura, allo sfarzo che aveva conosciuto. Carlota  le aveva narrato le storie di quella famiglia che, poi, era anche la sua d'origine; tutto era finito nel dimenticatoio, sino al ritrovamento del diario appartenuto al protagonista, Marcos, medico chirurgo su navi da guerra con destinazione Mozambico, con il compito di impedire il traffico degli schiavi. 
   A Madera la vita scorreva ordinatamente nell'ultimo quarto del diciannovesimo secolo, gli isolani erano lontani dagli avvenimenti che si succedevano nelle altri parti del mondo ed erano come in attesa che qualche evento giungesse da fuori a rompere quella monotonia, quello scandire del tempo sempre uguale. Ecco perché Marcos, nonostante amasse sua moglie Raquel che gli aveva dato due figli, spesso si offriva volontario come medico di bordo e la moglie fedelmente lo attendeva; una Penelope fiera di appartenere al suo uomo che amava. 
   In questa saga troviamo storie di altre donne facenti parte della famiglia: la zia Costanza che trascorrerà la sua vita in ricordo dell'unico amore, un marito che le aveva taciuto di essere già sposato, un uomo che nel giro di breve tempo non rivedrà più. Quella storia di bigamia divenne l'argomento preferito durante le conversazioni da salotto, poi cadde nell'oblio e Costanza visse con la tristezza stampata sul volto, ma con la fierezza di aver conosciuto l'amore e di essere scampata a quei matrimoni combinati dell'epoca. 
   Un'altra donna di nome Catarina Isabel fa parte della schiera di donne di questa saga, lei è un medico e al tempo della sua decisione di studiare medicina i suoi progetti avevano sconvolto la città, era stata infatti una donna ardita e ferma, grande amica di Benedita, figlia di Raquel e Marcos. Catarina era una ribelle che dovette imporsi per conquistarsi un posto in ospedale e per i turni di servizio, ma ebbe la sventura di ammalarsi di cancro e di seguire la sua malattia passo, passo; giunse alla morte con la consapevolezza di chi sa. 
   Al tempo vi erano anche le signorine attempate, quelle che non hanno età, coloro che per aver accudito i genitori sino alla loro morte o per una verginità persa in circostanze taciute, finivano per trascorrere la loro vita senza marito; queste erano Maria Vaz e  Marta, vecchie cugine votate a una vita austera e monacale, vecchie signorine che comparivano a casa dei parenti in tarda mattinata con la speranza di ricevere un invito a pranzo. 
   Fra tutte spicca la figura di Raquel, moglie del bel medico chirurgo, donna raffinata e paziente, amante della natura, della conduzione della casa e dell'educazione dei suoi due figli, un maschio e una femmina di nome Benedicta, così somigliante alla madre. Raquel era un irriverente con libertà di spirito e indipendenza d'opinione alimentata dal nonno che si era occupato della sua educazione, essendone morti i genitori. Raquel era agile nel ragionamento e notevole nelle lingue, passava ore a capire La Divina Commedia sulla quale faceva molte domande; ma ciò che brillava in lei era quella gioia interiore che le dava la capacità di essere felice d'ogni cosa. Era anche attraente e in vent'anni di matrimonio, nonostante il grande amore che univa la coppia, visse un rapporto tiepido che mutò in un giorno di dicembre, quando il suo Marcos tornò dopo un lungo viaggio; scoprì quella notte il piacere carnale, coinvolgendo il suo uomo che l'adorò come non mai. Tutta la famiglia s'accorse di quel legame più saldo e così romantico. Raquel successivamente diverrà un mito per tutti e aleggerà su quella famiglia in una sacralità rispettosa: lei morrà di parto nel mettere al mondo Clara, frutto di quella notte d'amore, e morrà in terra lontana in quanto nell'ultimo viaggio del suo uomo, lascerà la casa di Madera per seguire il marito che l'adorerà sino alla fine dei suoi giorni. 
   Marcos troverà conforto nella crescita della bambina che sarà seguita da una balia conosciuta in Guyana, in quel periodo felice con la moglie, una balia che porterà con sé a Madera; e troverà conforto nel lavoro sull'isola come medico in ambulatorio: egli non partirà più, nonostante gli inviti a farlo.  Marcos non si risposerà, ma riceverà dedizione amorevole da una vedova che conoscerà dopo sei anni dalla morte di sua moglie. 
   Altri personaggi ruotano attorno a questa storia, personaggi importanti vissuti alla fine dell'ottocento a Madera, isola portoghese bagnata da uno splendido mare e accarezzata da una natura rigogliosa; gente dalle origini italiane, persone coraggiose e fragili ma dotate di grande sentimento. Tre generazioni che si avvicendano in una saga familiare narrata con semplicità e forza, e con tanta seducente bellezza. 

venerdì 12 settembre 2014

Fiction

                    

   Le storie familiari in Tv riscuotono molto successo: quando vanno in onda milioni di telespettatori restano incollati al video. Vi siete mai chiesti il perché? Quelle storie potrebbero riguardare un po' tutti, quindi è come se sbirciassimo dal buco della serratura le vicende della porta accanto o del piano di sopra, ancor di più del tal dei tali che vediamo passare, ma che non abbiamo l'opportunità di conoscere a fondo. Siamo un popolo di curiosi, ciò che più ci mette in desiderata aspettativa è quel morboso interesse per i fatti altrui, quei fatti che ci tacciono per mancata conoscenza diretta o per discrezione. 
   Dio, quanto ci manda in visibilio origliare attraverso le mura, sentire quelle parole che a volte sono urlate, altre sussurrate; peccato non possedere il dono dell'ubiquità o di una vista a raggi laser, pensate un po' che tempo fa vendevano strumenti capaci di vedere attraverso le pareti. E poi ci piace anche il passa parola, quelle notizie esclusive che  non teniamo per noi, figuriamoci! Le diffondiamo e strada facendo, esse si gonfiano di particolari inesistenti per poi giungere alla fonte con una realtà diversa. 
   Ma le storie familiari trasmesse, quando sono di qualità, possiedono anche un messaggio, una morale, sono un po' come le favole che nacquero in età remota per gli adulti e non per i bambini. Al tempo quando scendeva la sera, la gente si radunava nelle stalle e nei fienili e attraverso figure simboliche ricorrenti esternava le proprie ansie interiori e le concrete paure. Non dimentichiamoci che dovevano combattere per la sopravvivenza e subivano attacchi da parte di animali selvatici, e non da ultima incombeva la minaccia della miseria e della carestia. 
   Le storie attuali sono indirizzate a un pubblico più evoluto culturalmente rispetto a quello del passato e se incuriosiscono per le vicende personali, sono utili come confronto con la nostra realtà: ci portano a trarre spunti  e a relazionarci con i personaggi della storia.
    Lo stesso messaggio ci giunge da una sana lettura, in una dimensione scelta dalla nostra capacità d'interpretazione. 
   Spesso è così: per riflettere su di noi, dobbiamo prima riflettere sul nostro prossimo!