martedì 20 ottobre 2015

Conoscenza casuale

                                                              

   

   Devo correre: ho il controllo annuale senologico, prima incombenza il pagamento del ticket con relativa attesa d'innumerevoli presenti e poi sosta obbligata in sala d’aspetto del reparto. Entro con circospezione guardandomi intorno e mi scelgo un posto a sedere in zona angolare che mi dà un senso di ampiezza, detesto gli spazi ristretti, mi soffocano e mi alimentano maggiormente le mie preoccupazioni. L’ambiente è surriscaldato, come buona parte degli ospedali, e mi sfilo il soprabitino che ripiego ordinatamente sulla poltroncina alla mia destra, cerco delle riviste da leggere e ne scorgo una, non è interessante, ma non posso oziare guardando per aria, mi rimprovero di aver dimenticato il libro di lettura a casa, se non avessi perso tempo nella ricerca dell’impegnativa medica, avrei avuto quel romanzo di Pavese fra le mani.
   Ho da poco aperto la pagina del quotidiano locale e mi soffermo su di una notizia, la leggo con attenzione, odo un rumore di passi ed alzo lo sguardo, incontro occhi femminili vivi e sorridenti. Ci salutiamo con cortesia, come se ci conoscessimo da tempo e noto che la mia vicina di sedia si accomoda allegramente e mi rivolge la parola con semplicità e familiarità. Mi piacciono le persone così spontanee che cercano il dialogo: la conversazione anche con persone mai viste prima, è per me gradevole e serve ad ammazzare l’attesa. Inevitabilmente il dialogo scivola sul motivo che ci ha condotto in quel luogo e sull’importanza della prevenzione, poi si affronta anche il piccolo lato doloroso della mammografia: farsi spiaccicare una parte del corpo non è una passeggiata!
   La mia vicina, nonostante l’età non giovanissima, anche se le avrei dato almeno dieci anni in meno, mi confessa di avere ancora quella parte tonda e turgida non sciupata da allattamenti. Le chiedo: “Per libera scelta?” mi risponde che non ce n’è stato bisogno, non ha voluto avere figli per idiosincrasia alla maternità. L’espansiva signora mi narra di aver fatto parte dell’epoca dell’emancipazione femminile e nonostante si fosse sposata giovanissima subito dopo il diploma, ha voluto perseguire la carriera per affermarsi e un figlio avrebbe rappresentato un intralcio, uno stress quotidiano e sicuramente il suo matrimonio non sarebbe stato così idilliaco: dopo più di trent’anni lei e suo marito tubano ancora come due fidanzatini. E poi aggiunge che tante coppie con figli si separano, mentre loro sono ancora in armonia e il marito non le aveva mai chiesto, durante il periodo fertile, di dargli un figlio,tra l’altro quando le era capitato di restare incinta, aveva abortito con il  beneplacito del consorte.
   La osservo e mi soffermo a pensare sul fatto che tante coppie con problemi di sterilità o altro, si sottopongono a cure mediche o all’inseminazione, procreazione assistita, e per ultima spiaggia l’adozione, difficile per le lungaggini burocratiche, mentre questa nuova conoscente ha rinunciato di sua sponte e non per problemi economici o di salute.  Ognuno è libero delle proprie scelte, certamente, ma fin quando un adulto vorrà essere un fanciullo non assumendosi le proprie responsabilità? Poi potremmo scivolare in un altro genere di discorso in riguardo alla procreazione: le incertezze del futuro, la società e i mille pericoli, le problematiche varie e alla fine ritrovarsi, dopo tanto affanno, ad aver speso le proprie energie per figli immeritevoli che nonostante gli sforzi compiuti, da adulti si ritorcono contro i genitori o li ignorano irrimediabilmente. Ma la vita è così, la gioia di un figlio comporta dei rischi e delle rinunce, credo che il desiderio di essere genitore sia insito in noi ed esplode in un certo periodo della vita, ma che sia quello giusto per seguirne la crescita con sprint e mentalità al passo con i tempi: un figlio ha bisogno di un genitore o non di una figura attempata che fatica a stargli dietro.  
   I tempi cambiano, ma per alcuni aspetti cambiano in peggio e le colpe non sono mai da una sola parte, soprattutto per coloro che possono e rinunciano per partito preso! 

  

sabato 10 ottobre 2015

Riflessioni di lettura

                                                        
                                                                            
                                      
                                                                      
  

   Il titolo di un libro è come un incipit adescatore: invoglia, seduce e stuzzica, poi entra in gioco il nome dello scrittore, della casa editrice, in questo caso non vi sono domande da porsi: l’autrice non ha bisogno di presentazioni e di quest’ultima creazione narrativa se n’è parlato. Nonostante ciò il titolo del libro mi ha incuriosita e mi ponevo delle domande, anche sapendo che avrei letto una saga familiare. E allora mi immaginavo che le ciliegie fossero gli avvenimenti felici appartenenti alla famiglia in questione, il cappello come grande paniere di dolcezze, di amori, di conquiste a lieto fine. Poi sono stata introdotta alla storia dalla splendida prefazione di Pierluigi Battista e apprendo che il “cappello pieno di ciliegie” era il copricapo di Caterina, l’arcavola di Oriana, che vive le sue peripezie nel settecento toscano alla vigilia della Rivoluzione Francese. E da qui parte il romanzo, una storia a ritroso che abbraccia circa due secoli, una ricerca nel tempo andato che, per la mole di lavoro, costò alla Fallaci dieci anni di fatica e sempre con lo stesso interrogativo: “Se non fosse andato/a, se non avesse preso quella decisione, se non ci fosse stato quell’evento, "IO non sarei nata?”
   Ed è tutto qui: siamo quello che siamo attraverso i cromosomi che s’intrecciano, i geni che riceviamo, per cui se un tale avo si fosse unito con un’altra persona, le nostre caratteristiche non sarebbero le stesse. Ma la storia di Oriana che scava nel tempo che fu, è un vero trattato di storia che un libro scolastico non ci racconta e il tutto legato alla famiglia Fallaci che ne ha fatto parte.
    Il romanzo, oltre che essere un’opera storica ricca di dettagli e dovizie di particolari impensabili, persino il numero dei componenti dei reggimenti che parteciparono alle varie guerre e rivolte, poi date, descrizioni degli armamenti e luoghi, parla, anche, di scienze e medicina dell’epoca, architettura, storia dell’arte, ricette culinarie. Scopriremo così abitudini e gusti, le origini di ciò che ci è giunto in eredità e cosa più triste sarà l’impatto con la crudeltà umana unita alla sete di potere che va oltre qualunque pensiero logico. Siamo abituati alle nefaste notizie d’ogni giorno, ai necrologi, alle barbarie più turpi, ma ciò che sconforta è leggere che le stesse atrocità essendo state perpetrate in passato quando la cultura era di pochi, continua a essere emulata anche oggi. In più riprese, Oriana dice, quando entra in prima persona nel personaggio familiare più crudo, avrei voluto non essere nata. Nel settecento vigevano leggi assurde e oppressive, l’Italia era una nazione ambita dall’Austria, dalla Francia e ne subì i vari governi, le varie occupazioni; ma dominava anche il potere della Chiesa feroce come un aguzzino spietato e corrotto.
   Tornando al titolo del libro, Caterina è l’arcavola trasgressiva che nel lontano settecento va al mercato con un cappello pieno di ciliegie per farsi riconoscere da Carlo, prossimo coniuge; Caterina sfida quell’epoca in cui le donne popolane non potevano indossare copricapi, ma lei ha nelle sue vene il sangue eretico di Ildebranda che fu martirizzata per aver consumato un cosciotto d’agnello durante la Quaresima. Caterina non ha timore delle spietate leggi dell’epoca e al mercato ci va anche per smerciare “tubi di decenza”, mutande femminili copiate da quelle della Regina di Francia. Nel settecento alla donna non era concessa nessuna frivolezza, trine, pizzi, nastri, fiocchi e la donna non doveva saper leggere e scrivere, meno sapeva meglio era, dicevano i più. Caterina, desiderosa di istruzione, sposa Carlo anche perché sa leggere e possiede alcuni libri importanti. Caterina detesta Napoleone e combatte per i suoi ideali, impara a leggere e a scrivere velocemente e vive un matrimonio d’amore che, se inizialmente nasce come un incontro voluto, dopo diverrà un’unione ricca di sentimento che continuerà fino alla fine dei giorni fra mille peripezie.
   Carlo fa il contadino, per meglio dire è un esperto di viticultura che avrebbe dovuto trasferirsi in Virginia per portare la sue conoscenze vinicole: all’epoca il vino toscano era già rinomato e lui riceve un’importante offerta di lavoro, ma per una casualità, che a leggerla ora parrebbe una sciocchezza, ritorna alla sua terra toscana. Oriana dice che se il suo arcavolo Carlo si fosse trasferito negli Stati Uniti, avrebbe sposato un’altra donna e lei non sarebbe nata.
   Il filo conduttore del romanzo è la cassapanca che di generazione, in generazione giunge a Oriana, cassapanca che all’interno contiene tanti pezzetti di storia sulla quale lei indagherà: consulterà archivi, si recherà in America, in Inghilterra e nelle ricerche riceverà l’aiuto dovuto; attraverso il baule, custode di frammenti di storia, Oriana potrà ricostruire la storia che le appartiene.
   Dicono che con i cromosomi ereditiamo anche i geni caratteriali ed è così, sappiamo quanto Oriana sia stata in vita una donna combattiva, amante della verità e della giustizia, una donna che sovvertiva le regole, ebbene la famiglia Fallaci era anch’essa combattiva e quasi tutti gli appartenenti portavano avanti i loro ideali a costo della vita.
   Questa non è una saga come tante e si spiega la corposità del libro che partendo da Caterina, nel lontano 1750, narra le vicende degli antenati ribelli succedutisi nell’arco di due secoli. Francesco Launaro che si ribella sgozzando venti algerini per vendicare il padre rapito vent’anni prima da pirati barbareschi: al tempo vigeva la spietata legge del mare e lui per questo scopo combatterà con il fuoco in corpo divenendo un abilissimo marinaio. Le barche erano a vela e la navigazione, quando sopraggiungeva una tempesta, era affidata alla perizia e alla forza umana.  Francesco conoscerà una bellissima antenata di Oriana, Montserrat, nata da uno stupro perpetrato da un nobile che sposa segretamente la vittima dell’abuso ma non vive mai con lei, essendo una cameriera. Il duca Grimaldi, questi era il nobile, pur occupandosi economicamente della figlia non vorrà mai conoscerla fino alla fine dei suoi giorni e quando la madre di Montserrat muore per il “mal dolent”, lei parte alla volta di Genova per conoscere il padre; il tentativo fallisce e lei s’imbarca a Livorno, dove incontra Francesco Launaro dalla bellezza intrigante, i due si sposeranno, nonostante i vent’anni di differenza, e la loro vita sarà costellata da gioie e anche da dolori che porteranno alla pazzia Montserrat.
   Giovanni e Teresa sono anch’essi arcavoli che si ribellano vivendo una notte clandestina d’amore dalla quale nascerà Giobatta che si ribella imparando a leggere e a scrivere, ma non solo diverrà uno scultore abile nelle incisioni, uno scalpellino come pochi. Giovanni è un antenato estremamente povero,per cui  conosceremo la cruda miseria del periodo, quella miseria che lo porterà ad arruolarsi nelle truppe napoleoniche e combatterà senza un addestramento; sofferenze e dolori lo tempreranno e come lui anche altri del periodo combattevano senza competenza, vestiti inizialmente dei loro stracci. Giobatta, bellissimo ragazzo, figlio di Giovanni, s’innamorerà di una ragazza goffa più grande di lui, entrambi parteciperanno alle rivolte popolari, ribelli anch’essi, condividono ideali ed esploderà l’amore che li vedrà sposi, ma la loro storia sarà molto travagliata e avrà un finale tragico.
   La saga si conclude con la storia di Anastasìa che non ha un certificato di nascita e non avrà neanche quello della sua morte suicida all’età di 40 anni, una donna bellissima e combattiva, una maliarda dalle intense avventure fra Italia e America dove giunge dopo aver affidato alla ruota il frutto del suo amore illegittimo: una bimba, Giacoma nonna di Oriana. Giacoma, il cui padre non se ne fa menzione essendo un politico troppo in vista, Giacoma dall’aspetto sgraziato, per un’atroce casualità, perderà un occhio che ne accentuerà la bruttezza.
   Il mal dolent era nei cromosomi e di generazione in generazione giunge anche ad Oriana che sapendo di dover morire, affida il suo manoscritto al nipote che ne curerà la pubblicazione.
    Ci sarebbe ancora tanto da scrivere su questo romanzo che meriterebbe una seconda lettura, infatti Oriana a più riprese si rivolge al lettore dicendo: “Ti ricordi?” e interviene sintetizzando i passaggi precedenti per rinfrescare la memoria; è come se in alcuni punti la narrazione assumesse un tono colloquiale, pur conservando la bellezza espositiva pregna di passione, frutto del grande talento di una Donna, contestata e tanto amata, una giornalista e scrittrice di grande Maestria.

















lunedì 5 ottobre 2015

Sorriso benefico

   Risultati immagini per sorriso di un bambino

   I drammi umani si tingono di sangue e di dolore per le incapacità dell'uomo, per le sue disattenzioni e per le sue nefandezze. 
   La nostra quotidianità corre con il dolore e quand'anche non ci appartenesse direttamente, sarebbe comunque un dolore che diviene nostro e che ci fa riflettere, e ci spegne quella normalità che è meravigliosa quando gli equilibri coesistono. 
   "Ciò che non distrugge, fortifica", ha detto un Grande Pensatore, e in effetti è così: dopo si è temprati a qualunque avvenimento e si ha la capacità di combattere per restare a galla nel mondo avverso dominato dai malfattori che hanno sporcato la bellezza della normalità. 
   Ma chi sa ora ne sa di più, ed è in quel di più che riponiamo le speranze. Occorreranno anni su anni per rimediare, comunque sia se ne parla, si cerca l'antidoto, la terapia d'urto, si cerca la via per un domani migliore.
  La vita attraversa cicli: la storia ci racconta e questa storia che lasceremo ai posteri non è da meno di altre pagine di storia che non avremmo voluto leggere. 
   Il sorriso innocente di un bambino vale milioni di incoraggiamenti che danno forza per scrivere pagine di vita migliore.