sabato 31 maggio 2014

Un panino con la mortadella

                                                        
    (E' invitante, vero? Comunque quella che state per leggere è una storia vera, ascoltata dalla viva voce della protagonista)

   Giaceva lì inerte, priva di vita ed aveva solo sedici anni!
   Marica era sana, una ragazza in fiore che all’improvviso aveva visto scivolar via le sue forze e le sue aspirazioni, quando il “cancro” le aveva fagocitato i suoi globuli rossi. Lunghi ed estenuanti tentativi per combattere la “Leucemia”, la cui parola atterrisce. Nulla … neanche il trapianto di midollo la salvò dalla “Mietitrice”, soddisfatta di raccogliere un’altra vittima.
   Il gelo della morte si sprigionava da Marica che riceveva l’ultima benedizione dal Vescovo, suo zio, quando d’improvviso fu proiettata fuori dal suo corpo. Si sentì sospinta da due strane entità celestiali e raggiunse la vetta di un monte: una cima ovattata folgorante, situata in un mondo fiabesco, fatto di pace e di soavità indescrivibili.
   Marica udì una voce possente e dolce, misteriosa e beata che le parlò: “Devi tornare indietro!” disse quella voce senza volto. “Non è ancora giunto il tuo tempo. La terra ti attende.”
   Marica si riscosse e a stento mormorò: “ Io non ho forze, sono molto stanca. Lasciami qui!”
   “Ti porteranno gli angeli.” rispose la Voce. “Va in pace.” E la sorressero amorevolmente, ripercorrendo il ritorno.
   Marica scivolò nuovamente nel suo corpo e comprese la realtà: lei era morta per i presenti che piangevano il suo distacco visibile. In un attimo vide i suoi amati genitori (quanto le dispiaceva), tutti i suoi cari e gli adorati amici; si stupì nel vedere anche il suo ex fidanzatino in lacrime.
   ‘Ipocrita,’ pensò. ‘E’ stato lui a lasciarmi.’
   Stavano per deporre il coperchio sulla bara e lei rischiava di essere chiusa viva in quella prigione per sempre. Non aveva neanche le forze, le sue funzioni erano paralizzate e non poteva comunicare con i presenti che continuavano a vederla morta e immobile. Gli addetti alle pompe funebri, composti e impettiti nel loro lugubre abito nero, erano ai lati del feretro, mentre Marica sentiva il cuore scoppiarle nel petto, si fece forza e mosse un dito.
   “Un momento!” urlò lo zio Vescovo, che non aveva ancora lasciato il suo posto e continuava a guardarla addolorato. “Mia nipote è viva!”
   Si avvicinò un parente medico che la osservò incredulo, la tastò e le ascoltò il cuore.
   Marica finalmente spalancò gli occhi ed esclamò: “Datemi un panino con la mortadella!”
   Fu uno sconvolgimento generale, un’esplosione di gioia, uno stupore misto a sbigottimento. Il padre di lei tremante e inebetito si catapultò sulla figlia stringendola a sé e a stento singhiozzò: “Tutto quello che vuoi, figlia mia! Sei resuscitata! Dio ti ringrazio!”
   Marica ha continuato la sua vita nell’assoluta normalità, avendo molti amori, un’esistenza realizzata professionalmente e un’incredibile vitalità. Di quell’esperienza soprannaturale conserva un dolce ricordo e la certezza che “Lui” c’è, come c’è il mondo divino, luogo di bellezza e di pace; ma dentro di sé perdura ancora una paura, la “paura” dei luoghi chiusi: non è più entrata in un ascensore.   


venerdì 23 maggio 2014

Duplice ossessione

                              

   Elena era cresciuta e non si piaceva. Tutti dicevano di lei che era bellissima, ma con un carattere riottoso. Difficile starle accanto. Il malumore l'accompagnava, come anche l'insoddisfazione. Non le piaceva nulla di suo, ma ciò che apparteneva agli altri era per lei sempre migliore. Ed era per questo che le rodeva il cuore. Non era cresciuta interiormente: era rimasta allo stadio infantile, a quando apprezzava la bambola di sua sorella e la desiderava strappandogliela di mano, eppure le bambole erano simili. E la situazione non cambiò anche durante la giovinezza; la collanina, le scarpe, il golf, ogni cosa di sua sorella le piaceva, anche facendo acquisti simili desiderava ciò che indossava la sorella. Quando giunse l'amore, s'innamorò del fidanzato della sorella e poiché la situazione era delicata, preferì trasferirsi altrove. La vita, così generosa con lei sia per l'aspetto fisico che per le capacità intellettive, non fu vissuta allo stesso modo.
   "Devi farti curare.", le disse un giorno una collega di lavoro che le era anche amica ed era dispiaciuta di cogliere quello sguardo carico di rabbia.
   "Io non ho bisogno di cure." rispose Elena "Mi manca la comprensione."
   "Vieni con me!" rispose quella collega "Ti porto in un posto speciale."
   Acconsentì e si trovò in una realtà che mai avrebbe immaginato, certo si conoscono determinate verità, ma solo per sentito dire e non per contatto diretto. Un centro per disabili, giovani, tanti giovani. Chi in carrozzella, chi senza ma con andatura anchilosante, chi con una fissità sul volto e uno strano sorriso, chi si muoveva con movimenti irregolari e chi non riusciva a tenersi fermo, chi emetteva suoni gutturali e chi aveva una fisicità non propriamente umana. Ma tutti con una luce, strano a dirsi, serena, una luce lontana dal desiderio inconcepibile, una luce che non aveva nulla dell'insoddisfazione.
   Ma come, si disse lei, loro avrebbero mille motivi per essere insofferenti dentro e non lo sono, loro amano la vita così come l'hanno ricevuta. Forse si è felici quando non si comprende? Ecco, convenne, il cervello umano meno comprende meglio è.
   "No!" le rispose l'amica quando seppe. "Si desidera ciò che non ci appartiene. Quando esaudiscono sempre i nostri desideri: il rifiuto, il rimprovero sferzante unito alla dolcezza formano l'individuo."
   E allora lei andò indietro nel tempo, a quando i suoi capricci erano esauditi, a quando le dicevano che era la più bella e la più brava e a quando era riservato un trattamento diverso a sua sorella: lei godeva di favoritismi e la sorella no. Ma perché? Doveva saperne di più, doveva comprendere.
   "Tu me lo devi dire, mamma, perché mi concedevi tutto e a Monica no? Perché io ero coccolata e Monica sempre rimproverata aspramente? Ora ricordo il suo viso rigato di lacrime. Ma rammento anche come lei ostentasse sicurezza e soddisfazione, quasi una risposta al mio sguardo compiaciuto d'essere la privilegiata."
   "Tu sei mia figlia, Monica non lo è." rispose la madre.
   "Che vuol dire, siamo così simili, somigliamo tanto al papà."
   "Tuo padre aveva una relazione con mia sorella che morì di parto, io vi ho cresciute insieme, ma non ho mai perdonato."
   "Il tuo odio ha fatto di me una persona infelice."
   I meccanismi della vita, quando si ottiene si finisce per essere insoddisfatti, mentre la mancanza d'attenzione e la durezza temprano lo spirito.
   Che stupidità, si disse Giulia, mai letto un libro più banale, e poi chi gioisce e riceve affetto è infelice, ma valli a capire questi scrittori e noi che acquistiamo le loro scemenze; prese il libro e lo sbatté contro il muro; meno male che Gianluca non era uno scrittore di quel genere e stava per incontrarlo. L'aveva conosciuto alla presentazione del suo ultimo libro ed erano entrati subito in sintonia, era uno importante, vendeva centomila e passa copie, aveva un nome e appena pubblicava un libro, andava a ruba: la gente acquistava a scatola chiusa. 
   Gettò lo sguardo sul libro miseramente finito sul pavimento e vide la foto di Gianluca che spuntava dall'interno, non vi aveva fatto caso prima. Caspita, si disse, ma è lui, gli farò delle domande per comprendere il senso del libro sciocco che ho appena terminato. Non ricevette delle adeguate risposte: lui tergiversava e cercava di cambiare argomento, ma non solo tentava di essere fastidiosamente ironico, quasi a voler mettere in dubbio le sue qualità di lettrice. Giulia s'irritò e cominciò a insospettirsi, le avevano detto che tanti scrittori di successo, quando pubblicano con una certa consuetudine, hanno uno staff preposto che dopo aver preso visione del canovaccio sviluppano la storia; egli sicuramente non aveva neanche letto l'ultima stesura. Cosa fa il successo, una volta ottenuto è come una rendita in omne tempus.
   Giulia era, anch'essa, una scrittrice ma anonima, aveva provato a inviare i suoi manoscritti, le rispondevano che per pubblicarli avrebbe dovuto comprarsi le copie. Figuriamoci, pagare il proprio lavoro; meglio restare in ombra e continuare a coltivare la sua passione. Un giorno lesse un brano del suo ultimo lavoro a Gianluca, col quale oramai aveva intrecciato una relazione, e lui le chiese di entrare a far parte del suo staff.
   "Sai, si tratta di revisionare i miei lavori, di apportare qualche modifica o di elaborarla; servono varie riletture esterne. Tu hai stoffa da vendere e stando da noi potresti migliorare la tecnica di scrittura e imparare quegli accorgimenti necessari affinché un libro diventi appetibile."
   Giulia accettò e cominciò a collaborare. Gianluca consegnava la bozza e i collaboratori la perfezionavano, lui neanche la rileggeva e il lavoro ultimato finiva alle stampe come lei aveva supposto. La cosa non le andava giù, perché doveva prendersi il merito che non gli spettava?
   Nuova presentazione dell'ultimo libro di Gianluca Fortori dal titolo inquietante: "Duplice ossessione". Un folto pubblico occupava le poltroncine in plexiglass all'aperto di quella piazza rinomata, dopo i convenevoli e la recensione accattivante del critico di turno, una voce si levò dal pubblico: "Ci spieghi, signor Fortori, l'epilogo della storia e nel sesto capitolo perché quel flashback così inusuale?"
   "Duplice ossessione" fece flop e Giulia perse un probabile fidanzato.

sabato 17 maggio 2014

Riflessioni di lettura

                                   

   Se avete voglia di rilassarvi, di staccare la spina e di non arrovellarvi troppo questo è il libro che fa per voi: potete leggere e sospendere, rispondere al telefono, approntare un pranzetto, ricevere amici e riprendere al momento giusto la lettura perchè la storia sarà ancora con voi. Si legge speditamente e riguarda quella faccia conosciuta e rivelata di quella società che, pur nascondendosi, viene alla ribalta quando la situazione degenera. La violenza domestica è un tema spesso trattato e Sveva Casati Modigliani lo fa con la scorrevolezza tipica che la contraddistingue, la sua narrativa entra nel quotidiano per sbirciare storie familiari di tutti i giorni. 
   Una coppia sposata, due figli; lui un tipo che non fa mancar nulla alla moglie e ai figli: bella casa, auto di lusso, vita agiata, vacanze e gioielli, sarebbe un quadretto perfetto se il lui della storia, belloccio d'aspetto, non fosse afflitto dalla patologia del possesso, un uomo aggressivo che lentamente spegne la solarità della moglie, totalmente dipendente da lui. Lei ha un nome fuori dal comune, Magia; ha lasciato il suo bel paesino arroccato sui monti, paesino dove si respira aria di tradizioni e di serenità, per entrare a far parte della vita cittadina agiata. Lavora per il marito come contabile occupandosi delle sue attività, ma non ha un conto in banca, non ha un compenso, la casa di proprietà non le appartiene, possiede solo i suoi figli che non può amare liberamente: lui, Paolo, è geloso anche di loro. Magia aveva in precedenza al paese un fidanzato che l'amava e la rispettava, ma lei sognava l'amore vero, quello travolgente, in Paolo crede di aver trovato quell'amore che inizialmente si rivela passionale e magico: Paolo sa come conquistare una donna. I genitori di Magia cercano di ostacolare quel matrimonio, essi avevano visto giusto, avevano letto nei suoi occhi la brama patologica del possesso, anche la sorella aveva cercato di dissuaderla. Lei cerca di portare avanti quel matrimonio, a volte si ribella e minaccia di lasciarlo, lui ha un atteggiamento di comprensione, dice di aver timore di perderla: ogni volta le chiede perdono e promette che non sarà più aggressivo. In più occasioni la picchia furiosamente e i segni tangibili delle percosse sono visibili a tutti, ma lei inventa storie, non vuole che si sappia. Alla fine stanca ingerisce molti ansiolitici, vuole farla finita, è a un passo dalla morte; sarà il ricovero in ospedale a farle prendere una posizione, a farla rinsavire, a farle avere il coraggio di fronteggiare suo marito. 
   La storia termina con un finale inaspettato che non mi sento di giustificare, l'uomo in questione andava curato e punito ma in maniera diversa, secondo il mio punto di vista. Non posso svelarvi l'epilogo e non affrettatevi a trarre conclusioni alle quali siamo ormai abituati, la moglie magica sarà liberata dalle violenze e donerà una nuova vita ai figli, salvandoli dalle sofferenze, e lui? Lo saprete leggendo il libro: anche la narrativa leggera è interessante! 

giovedì 8 maggio 2014

Riflessioni di lettura

                                 


  Il titolo di questo libro è un bigliettino da visita sul tema portante del romanzo stesso: le ceneri rappresentano la distruzione, ciò che resta della combustione e in questo caso una vita cancellata, un passato doloroso che vive come una ferita nel cuore di chi resta, infatti la combustione arde nel ricordo e nell’anima. Elisabeth Gille, autrice di questo bellissimo libro, è la figlia minore della scrittrice Irène Némirosky, che in più occasioni ho avuto l’onore di presentare con le mie impressioni di lettura. E se da una madre eccelsa abbiamo gustato i suoi capolavori letterari, altrettanto in Elisabeth troveremo note armoniche di scrittura, un affresco descrittivo emozionante. In fin dei conti, “Un paesaggio di ceneri” è il proseguimento del capolavoro “Suite Francese” scritto dalla Némirovsky prima di essere deportata ad Auschwitz e se nel primo è narrata l’occupazione nazista in Francia, nel secondo libro la storia prosegue anche dopo la guerra.
   Il romanzo comincia con un NO categorico, un rifiuto che echeggia nel silenzio di un collegio: il clima lugubre sconvolge mentre le suore tentano di spogliare una bimba, Léa, dai suoi abiti di lusso e le strappano la bambola che stringe spasmodicamente a sé. L’operazione si rivela difficile, ma l’attenzione di Léa si sposta sulla camerata e su di una bambina dai grandi occhi azzurri, Bénédicte più grande di lei di due anni, ospite di quel collegio, sarà proprio lei ad occuparsi della nuova arrivata a insegnarle le regole di sopravvivenza: siamo in piano conflitto e i genitori affidano le loro figlie alle suore. Léa non comprende quel distacco e attenderà il padre per molto tempo; parlerà della sua esistenza gloriosa, del suo benessere: in fin dei conti lei ha solo cinque anni e si trova immersa in una dimensione che non le appartiene. La sua amica del cuore l’aiuterà a sopravvivere e la proteggerà in varie situazioni anche quando lasceranno quel collegio e diverranno quasi sorelle: il padre e la madre di Bénédicte adotteranno Léa, quando si renderanno conto che i genitori della bambina non faranno più ritorno essendo stati deportati ad Auschwitz. La protagonista proverà il dolore di essere stata abbandonata dalla sua famiglia che se avesse voluto, a parer suo, avrebbe potuto rifugiarsi in America; lei porterà nel cuore per sempre la ferita dell’abbandono e sarà una creatura fragile che cercherà consolazione nelle ferite procuratesi ad alcune parti del corpo. Smetterà di cercare i genitori, quando comprenderà gli orrori della guerra perpetrati nei confronti degli ebrei; vedrà filmati raccapriccianti sui lager e sulle cataste umane finite nei forni crematori. E a questo dolore devastante si aggiungerà nell’epilogo quello della perdita della sua amica del cuore.
   Elisabéth Gille, nel reale, al tempo della seconda guerra mondiale, essendo figlia di genitori ebrei, scappò con sua sorella maggiore aiutata da una tata e visse inizialmente in vari collegi. Le due sorelle potettero contare su di una rendita di tremila franchi al mese che l’editore della loro madre mise a disposizione attingendo dai diritti d’autore del famoso libro “David Golder”, pubblicato dalla Némirovsky a soli trent’anni. Le due sorelle con questi soldi vissero e studiarono e la figlia maggiore dopo cinquant’anni ricopiò il manoscritto “Suite Francese” e lo dette alle stampe, manoscritto che le fu affidato dal padre prima di essere arrestato; il copioso quaderno era custodito in una pesante valigia che trascinava assieme alla sorella minore. Elisabéth dovette rinunciare alla sua bambola per quella valigia, ecco perché in questo romanzo si fa accenno nella parte iniziale a una bambola strappata e gettata nel fuoco: il crepitio delle braci è il dolore della perdita non solo dell’oggetto ma di quei genitori massacrati ingiustamente. Essi si erano convertiti al cattolicesimo, ma la Francia che apprezzava la scrittrice non aiutò la donna e non le concesse mai la cittadinanza. Quel paesaggio di ceneri avrebbe potuto essere un prato verdeggiante.

venerdì 2 maggio 2014

Nuove opportunità

                      

   Nascono nuove opportunità di lavoro e si cercano nuove idee che un tempo non sarebbero state prese in considerazione, tutto pur di sopravvivere alla crisi fagocitante che vorrebbe impoverire tutti noi. Del resto è anche giusto che ci sia un rinnovamento e che ci si adegui alle richieste di mercato, richieste che non avrebbero avuto voce se la situazione fosse stata sempre uguale. Strano a dirsi, ma la crisi porta maggiormente alla luce quelle esigenze che riguardano il nostro stile di vita, stile a volte necessario per sopravvivere. 
   Esuliamo un po' dal problema e pensiamo a tutte le scoperte scientifiche, tecniche e altro ancora, esse sono il frutto di precedenti rivelazioni o errori che hanno dato la possibilità di mettere a punto quanto sia più idoneo alla nostra esistenza, a quelle esigenze che corrono con i tempi in cui viviamo. Lo stesso dicasi per il lavoro, mancando lo stesso, ci s'ingegna in lavori diversi che poi sarebbero il frutto di una rielaborazione dei precedenti, tutto per offrire un servizio che va incontro alle nuove richieste.
   Ora prendiamo ad esempio il lavoro di una baby sitter, una tata a domicilio che si occupa dei bambini in assenza dei genitori affinché essi abbiano l'opportunità di recarsi al lavoro o di svolgere quelle necessità che con i bambini piccoli non potrebbero in quanto quest'ultimi sarebbero d'intralcio. Poi vi sono gli asili nido per i piccolissimi, questi centri sono un valido aiuto per le mamme lavoratrici, ma ogni aula contiene un certo numero di bambini e non sempre le puericultrici riescono a svolgere tranquillamente il loro lavoro: più bambini più confusione. Se consideriamo la tata a domicilio, è vero che il bambino resta nel suo habitat con i suoi punti di riferimento, ma è anche vero che non socializza e non interagisce con i suoi coetanei, cosa davvero stimolante. 
   A tale proposito è nata da qualche tempo una figura di baby sitter con una collocazione diversa, la tata in questione riceve nel suo domicilio, è una mamma che mette a disposizione la sua competenza occupandosi di tre o massimo cinque bambini e offre un'opportunità alla mamma lavoratrice di potersi recare al lavoro. Le mamme baby sitter frequentano un corso presso la Regione con la super visione di una coordinatrice ed arrivano a guadagnare stipendi abbastanza elevati. Il nuovo servizio di asilo a domicilio è pensato dal Ministero delle Pari Opportunità e per cui il Governo ha stanziato circa dieci milioni di euro. Queste tate che si occupano dei bambini nel loro domicilio, si chiamano "Tagesmutter", termine tedesco che letteralmente vuol dire "mamme di giorno" e le stesse organizzano un calendario che concilia i propri orari con quelli delle mamme lavoratrici.
   Idee nuove per nuove opportunità: oggi non dobbiamo rimanere ancorati ai vecchi lavori, ma dobbiamo evolverci a seconda delle nuove esigenze, oggi più che mai dobbiamo essere creativi. 
   E come disse un Grande: "Il fine giustifica i mezzi" ma in senso buono!