venerdì 19 febbraio 2016

Enigma

       
                                                                   


   Edmondo era davanti alla sua tazza da latte colorata di caffè nero, sicuramente molto più caffè che latte: gli serviva per ridestarsi dal torpore mattutino che all’alba annebbiava la sua mente. Conduceva quel ritmo ormai da cinque anni con levatacce alle cinque del mattino: lavorava in una cittadina diversa dalla sua e per raggiungere quella destinazione ci impiegava due ore. Ma lui se lo teneva stretto quel lavoro, con i tempi che correvano, un’occupazione era una conquista che non a tutti capitava.  
   Entrò in bagno e fece scorrere l’acqua calda dal soffione per riscaldare la cabina doccia, l’acqua sul corpo aveva un che di magico, una vera sferzata corroborante. Era pronto, vestito di tutto punto, l’abito gessato gli piaceva in particolar modo e quella mattina lo indossò con maggior soddisfazione. Avrebbe dovuto incontrare il suo capo area che chissà… gli avrebbe comunicato quella promozione agognata che gli avrebbe permesso di trasferirsi in una sede più vicina alla sua città e, soprattutto, avrebbe ricevuto l’aumento di stipendio a lungo atteso. Sonia, la sua amata Sonia, non vedeva l’ora di stabilirsi da lui e di convolare a nozze, desiderava un figlio e solo con un margine di soldi in più i loro progetti sarebbero divenuti realtà.
   Scese le scale velocemente, l’ascensore era bloccato al primo piano, era leggermente in ritardo sulla sua tabella di marcia: la ricerca della cravatta gli aveva fatto perdere cinque minuti preziosi. Si aprì la porta della signora del terzo piano, una simpatica vecchietta che all’età di novant’anni, vivendo da sola, gli chiedeva a volte dei piccoli favori che ricambiava con prelibatezze culinarie preparate con le sue mani.
  “Mi scusi, signor Edmondo, so che ha fretta, ma la prego può versare questo danaro sul mio conto?” gli chiese, porgendogli una busta.
   “Certamente, cara Luisa. Non si preoccupi, è il mio lavoro. Buona giornata!” aggiunse, accelerando il passo e sorridendo tra sé teneramente: quella vecchina gli ricordava la sua compianta nonna che gli aveva voluto bene più di un figlio, facendo le veci dei genitori quando l’avevano abbandonato da piccolo per rincorrere i loro ideali.
   Era a metà giornata di lavoro, faceva il consulente investimenti, allorquando si ricordò del denaro di Luisa, lo estrasse dalla tasca e si apprestò a compiere l’operazione di versamento. La somma era abbastanza considerevole, più delle altre volte, e pensò che il figlio della vecchina avesse concesso alla madre una somma maggiore di denaro per far fronte a un periodo più lungo. Altre volte aveva ottemperato all’accredito sul conto della signora: lui era delegato dalla stessa; non si era sentito di rifiutarle quella cortesia, non gli costava nulla: era come farlo alla sua adorabile nonna.
   Mise la ricevuta del versamento in tasca e si diresse allegramente all’ufficio del capo che lo attendeva, mentre mentalmente si augurava di ricevere la sospirata promozione. Lavorava in quella banca da svariato tempo e si era distinto per professionalità, correttezza e puntualità, nonché onestà e passione. Egli credeva in quel lavoro che aveva amato da subito e nonostante non si sentisse gratificato dal lato economico, sperava in un miglioramento. Il più delle volte si tratteneva in banca sino a tarda sera per non avere arretrati e per programmare il lavoro del giorno successivo, ma anche per studiarsi tutte le circolari. Giungeva a casa molto tardi e stanco, durante la settimana quasi non aveva vita sociale, solo nel weekend incontrava la fidanzata e, fortuitamente, la cara condomina Luisa.
   “Molto zelante e puntuale!” esordì il funzionario che era in compagnia di alcuni finanzieri “Prego s’accomodi! Lei è una persona capace e meritevole, ha sempre svolto bene il suo lavoro, i clienti sono soddisfatti. Peccato, lei abbia provveduto a illeciti versamenti.”
   “Non capisco”rispose Edmondo disorientato.
   “Non c’è nulla da capire. Lei è in arresto per riciclaggio di denaro sporco!”
   All’improvviso la vita di Edmondo cambiò, si ritrovò agli arresti domiciliari in attesa di processo e sospeso dal lavoro con possibilità di revoca e licenziamento. Sonia era scomparsa e si faceva negare al telefono; lui riceveva solo la visita di un'affezionata amica che neanche per un attimo aveva dubitato di lui.
   “Ce la farai Edmondo!” gli diceva “Io ti difenderò!”
   Lara era un avvocato, alle prime armi, il cui aspetto sprovveduto e candido, purtroppo, non faceva presagire un’arringa incisiva e professionale. La ragazza invece era determinata e desiderava tirar fuori dall’impiccio l’innocente amico.
    La discreta vecchietta, che aveva cacciato Edmondo in quell’equivoco, si era trasferita e Lara avrebbe voluto interrogarla. La giovane non si scoraggiò e, poiché “il diavolo fa le pentole e non i coperchi”, riuscì a farsi rivelare l’indirizzo del figlio della nonnina dal giovane custode del palazzo: i portieri sono informati, basta una qualunque esigenza per essere a conoscenza dei recapiti dei parenti più prossimi .
  Ormai era appostata davanti all’abitazione di Emilio, il figlio di Luisa, era divenuta la sua ombra: Lara sperava che lui l’avrebbe condotta alla nuova casa della madre e così fu. Una mattina vide Emilio uscire da un’abitazione in periferia, nella quale era entrato, al braccio della madre; essi entrarono nell’auto e si allontanarono; lei aspettò con calma che ritornassero. Li vide giungere, infatti, dopo un paio d’ore; Emilio parcheggiò e scaricò dall’auto buste di vettovaglie e, dopo aver aiutato la madre a rientrare in casa, ripartì. Lara attese nuovamente e citofonò a Luisa, spacciandosi per una lettrice del contatore dell’acqua.
   “Venga, credo sia sul balcone della cucina. Sa, abito da poco qui, mio figlio ha voluto che mi trasferissi per via dello smog!”
   “Ha fatto bene! Era in città prima?”
   “In pieno centro, peccato… lì conoscevo un giovane tanto gentile. Come vorrei dargli il mio nuovo indirizzo, non ho il suo numero di cellulare.”
    Lara con il suo savoir faire fece scrivere una lettera che avrebbe consegnato lei stessa al ragazzo in questione: dopo un giro di domande fece intendere che lei abitava da quelle parti e che non le sarebbe costato nulla, farlo.
   Edmondo leggeva e rileggeva la lettera e giunse alla conclusione che la cara Luisa ignorava ogni cosa e che sicuramente il figlio si serviva della madre per depositare denaro sporco, frutto di illeciti raggiri.
   “Lara, dobbiamo avvertire la polizia, non devi appostarti più. Questa lettera li convincerà.”
   “No, ci penserò io!”
   Era notte fonda e Edmondo dopo aver indossato un lungo impermeabile e calato sulla fronte una visiera di un vecchio cappello di suo nonno, uscì dal portone di casa per recarsi da Luisa. Era stanco di quell’equivoco che aveva mutato la sua vita, voleva parlare con la signora, voleva convincerla a deporre in suo favore: a quell’ora il figlio non poteva nuocere e Lara per quanto avesse svolto delle ottime indagini, ora stava tirando troppo la corda e lui temeva che le accadesse qualcosa di spiacevole.
   Suonò il campanello, pigiò nuovamente, nulla, stava per andar via quando la porta lentamente si spalancò; l’interno della casa era immerso nel buio, solo una striscia luminosa si rifletteva sul pavimento e Edmondo entrando percorse quel fascio di luce e quasi inciampò sul corpo di una persona. Il giovane atterrito cercò un interruttore e con sangue freddo scostò il lenzuolo che era stato posto sul volto del corpo esanime. Che orrore, che macabra scoperta! Era Luisa cianotica e ormai deceduta che riportava ecchimosi sulla faccia e profonde striature bluastre sul collo. Si fece coraggio e rimise ogni cosa al suo posto: doveva andar via, doveva mettersi in salvo, forse l’assassino era ancora in quella casa, forse…
   Una botta in testa e il giovane smise di pensare, cadde e batté la tempia sullo spigolo di un vecchio cassettone.
    “Oh, signora Luisa, allora, è viva? Ho preso uno spavento!”
    “Caro ragazzo, siamo entrambi nello stesso posto.”
     Edmondo si guardò intorno e vide un mondo pregno di luce e soavità delicata, un profumo mai avvertito giunse a lui e i colori, i colori di quel luogo avevano qualcosa di magico.
     “Ma dove siamo, Luisa?”
     “Abbiamo lasciato la terra entrambi per lo stesso motivo.”
     “Siamo morti? Ma se mi sento così bene!”
     “Io sono morta, lei è in uno stato di transizione.”
     Edmondo vide il suo corpo che giaceva immobile e scorse il suo capo-aerea che conversava con Emilio, chi l’avrebbe detto, pensò.
     “E’ fatta! Ci siamo tolti questo sciocco dai piedi. Lo accuseranno della morte di tua madre che aveva scoperto ogni cosa e non ci vorrà nulla a fare due più due. Tutto secondo i nostri piani. Facciamo quella telefonata anonima alla polizia. Smetteranno, ora, d’indagare e potremo goderci i nostri soldi all’estero!”
   Ma Lara, sopraggiunta poco prima, era nascosta e registrò quella conversazione.
     Stesso abito gessato, stesso piglio giulivo, era cambiata solo la locazione e il ruolo, Edmondo ora era un “Q di quadro” in Direzione che aveva affidato all’avvocato Lara l’ufficio legale. L’amicizia fra i due giovani si era tramutata in amore e puntualmente si recavano assieme al cimitero per deporre fiori alla cara Luisa, vittima e artefice della loro felice unione. 


          

lunedì 8 febbraio 2016

Verso la libertà

            

   Avvoltoi neri, come la pece, stavano divorando la sua materia grigia, fagocitavano i pensieri, fieri di quel pasto fresco. La sua vita bruciata sull’altare della quotidianità divenuta, ormai, spettro lontano. Fanciulla perbene del tempo che fu, cresciuta con sani valori purtroppo sepolti.
   Era partita dal suo distante paese, rischiando la vita: la sua povera famiglia non aveva i mezzi per il sostentamento e il fratellino ammalato richiedeva cure,  doveva andare;  con la sua volontà e determinazione avrebbe lavorato per dare ossigeno a loro e cure mediche a Igor.
   S’imbarcò su quel natante della speranza, affrontando il viaggio estenuante, stipata assieme ad altri come bestie; giorni di navigazione fra flutti impetuosi e insidiosi, rischiando il naufragio. Luba approdò, fra varie peripezie, sporca e disidratata; toccò la terra straniera e tutto il resto non contava. La attendeva un amico conosciuto al suo paese, un tipo cordiale e gentile che si era offerto di trovarle un lavoro e una sistemazione in incognita. Buone prospettive e inserimento in un paese straniero, in quella nazione che spesso aveva guardato con interesse attraverso il video di una vicina più danarosa.
   Il giorno dello sbarco fu accompagnata in un posto sperduto in collina, un casolare dalle persiane rosse circondato da alberi di frutta; un suggestivo paesaggio che acquietò l’ansiosa Luba: temeva di non risultare gradita ai signori, ai datori di lavoro, per via della sua mancata conoscenza della lingua. Il volto ameno del caro amico, che le rivolgeva sorrisi rassicuranti, la confortò. La bella Luba dalla pelle di luna e occhi cristallini come il mare entrò timidamente e fu fatta accomodare in una stanza spoglia e disadorna, dalle pareti grezze macchiate di sudiciume incrostato. Un’unica finestra con una cancellata richiamò l’attenzione di Luba che, restando in piedi, sbirciò con preoccupazione la porta chiusa a chiave dal di fuori: nel silenzio aveva udito il cigolio della serratura e anche lo scalpiccio dei passi che si allontanavano.
   Le ore passavano e dal sole splendente fece capolino la luna, la stanza divenne buia e lei ebbe paura, allora cominciò a urlare per richiamare l’attenzione. Era seduta per terra, non c’erano sedie in quella stanza, le mancavano le forze e si sdraiò sfinita: era a digiuno, non mangiava dalla sera della partenza.  Sentì aprire la porta e vide un rozzo uomo dal passo sicuro che, senza rivolgerle la parola, le piombò addosso fulmineo, mentre il suo degno compare la immobilizzava, serrandole la bocca con un cerotto. Fu violentata crudelmente e bestialmente in tutte le posizioni, mentre lacrime di dolore sgorgavano copiose dai suoi occhi puri. La mattina dopo fu trascinata a forza in un’altra camera e l’uomo becero sogghignando, tuonò:
   “Tu sei cosa mia, io ti faccio lavorare e tu vivi!” 
   Giorno e sera con uomini diversi, la violenza continuò non più nella stanza spoglia, ma in una camera con il letto a baldacchino, sinché un pomeriggio in cui, per distrazione la porta d’entrata era rimasta incustodita, Luba corse fuori a perdifiato e con il fiatone in gola giunse sull’orlo del dirupo di quell’incantevole collina.  Il cuore furiosamente le rimbalzò nel petto obnubilandole la mente, una voce interiore divenne sempre più insistente.    
   “Spogliati solo per te e vai verso la libertà!”, e si lasciò andare.  

mercoledì 3 febbraio 2016

Affittopoli e non solo


                    



Oggi un breve comunicato, lo prendo pari- pari dalla mia pagina facebook, anch'io sono su facebook; non volevo, non ci credevo, lo snobbavo e poi visto l'afflusso anche di persone di un certo calibro mentale, sono entrata nel giro. Questo è accaduto un paio d'anni fa, dapprima a rilento con un certo distacco, uno gettare lo sguardo quando mi andava, ora da quando posseggo uno smartphone, un regalo, le comunicazioni in presa diretta mi giungono tramite telefonino, il brr-brr è lì, costante, non smette; se volessi, potrei mettere il silenziatore e non mi disturberebbe, se disturbo diverrebbe in talune circostanze. Leggo, quindi, quando posso e se ritengo utile rispondo. I nostri blog restano una bella vetrina di qualità, un posto per amanti di un certo tipo di prodotto, un posto dove diamo spazio all'informazione di qualità e a quegli scritti interessanti che non si trovano neanche sui libri al primo posto delle vendite: sui blog faccio letture di pregio. Ora tornando al discorso comunicato su facebook, ho puntato il dito sulle truffe, sui dolori e difficoltà di gente provata dalla miseria che prima non gli apparteneva, su quel lucrare tipico dei codardi parassiti.

                                           

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Affittopoli, città degli affitti facili, aggiungo io, e sappiamo di cosa sto parlando. Come sappiamo che c'è chi, non possedendo i soldi per l'affitto, e qui si parla di affitti spropositati, finisce per non farcela e viene sfrattato e si ritrova sotto i ponti o sulle panchine di una stazione, se le panchine sono libere. Mentre chi ha denaro, chi è un professionista di un certo calibro, può occupare un appartamento in una zona di prestigio e versare un piccolo obolo. Ma si sa siamo una nazione degli ECCESSI: noi facciamo le cose in grande, o tutto o niente. Noi doniamo ai ricchi e togliamo ai poveri, il modello Robin Hood è per noi superato. Pensate che per avvallare quest'idea, una Onlus ritirava prodotti ortofrutticoli a costo zero da aziende che donano alle associazioni umanitarie e anziché distribuire quei prodotti alle associazioni, li vendeva a utile pieno, nel senso che era tutto guadagno, quattro milioni d'euro complessivi. 
Lucrare sui dolori, lucrare sulle miserie, lucrare sulle difficoltà: BEH, CHI RIESCE A FARE QUESTO NON E' DEGNO D'APPARTENERE A QUESTO MONDO! Un momento, un momento: è degno di trovarsi nel mondo dei pusillanimi dalle ore contate, spero! E anche non fossero contate, la ruota gira!