giovedì 29 dicembre 2011

Notte di capodanno

              

   C'era stata una nevicata che aveva imbiancato ogni cosa, il battente della finestra era incastrato, occorreva uscire fuori per scostare la neve, ma anche la porta non scorreva, pareva sigillata. La legna stava per terminare, tutta la notte le braci erano arse nel caminetto e Poldo non l'aveva spente: sua moglie era febbricitante nel letto sistemato lì in soggiorno. Valeria e Massimo, i due figli adolescenti, si erano addormentati sul divano, mentre lui era rimasto a vigilare e a pensare. 
   Aveva avuto una vita ricca: non gli era mancato mai nulla, un lavoro fiorente e una bella famiglia che ora apprezzava. S'era dato ai bagordi, allo sperpero e concedeva fin troppo ai figli che crescendo senza freni avevano creduto che la vita fosse facile. Sua moglie di origini umili, gli ricordava che non sempre la ruota gira nel verso giusto e che un buon genitore deve anche saper negare. Lui, Poldo, che strano nome sembrava uscito da una favola, era un tipo che non accettava consigli: la vita doveva essere godereccia per essere felice. Quanto lo annoiava quella moglie previdente e saggia, finiva per sfogare la monotonia di casa nel privè di un amico, poker e belle donne. 
   "Papà, per questo natale mi regali il nuovo modello Nokia, tutte le mie amiche ce l'hanno. "
   "Papà, il motorino dell'anno scorso è passato di moda, per natale mi regali l'ultimo nato."
   Richieste solo richieste, lui era per i figli una fabbrica di soldi. Perché non aveva dato retta a sua moglie, perché aveva sempre speso tutto senza pensare al domani? 
   Guardava sua moglie, com'era bella e pura, nulla a che vedere con le balorde di quel locale privato, lui non si meritava quella fortuna ed ora la vita gli presentava il conto: aveva perso il lavoro e la sua preziosa compagna forse non ce l'avrebbe fatta, la febbre non calava ormai da una settimana. Pensieri, su pensieri, riflessioni che mai l'avevano sfiorato, ora lo stavano avvilendo. 
   Era la notte di San Silvestro, in lontananza il cielo era tornato scuro: i bagliori dei botti erano cessati. Lui aveva dovuto improvvisare una parca cena di fine anno, in casa non c'erano provviste: non aveva provveduto e s'era inventato la scusa che non sapeva dell'arrivo della burrasca ed invece ne era informato, e non solo gli ultimi soldi li aveva spesi in frivolezze per se stesso. Irresponsabile e immaturo, ecco cos'era, ora lo riconosceva; allora pianse, lo fece di nascosto e s'inginocchiò dinanzi alla grotta che sua moglie ogni anno allestiva e chiese perdono, in cambio avrebbe mutato vita se sua moglie fosse guarita, con lei ce l'avrebbe fatta e non solo, lui l'amava.
   Era la mattina di capodanno, il sole splendeva nel cielo, la neve cominciava a sciogliersi e Poldo poté aprire l'uscio, almeno avrebbe recuperato la legna che era sotto il porticato. Entrò in casa con le braccia cariche e con gioia vide sua moglie seduta al letto, i figli gli sorridevano augurandogli "buon anno", non mostravano malumore e non chiedevano dove fosse la strenna che lui ogni anno lasciava davanti al caminetto. Cosa era successo, non riusciva a spiegarselo, poi si ricordò della sua promessa e comprese che quella era la vera felicità; a tutto il resto avrebbe trovato una soluzione, era ancora in tempo per rimediare.   

                                                              BUON
                           
                                                                  A TUTTI!
                                     

venerdì 23 dicembre 2011

AUGURI

  
                                     

    AUGURO UN SERENO E FELICE NATALE A TUTTI VOI, AMICI NOTI, NUOVI AMICI E VIANDANTI OCCASIONALI. A CHIUNQUE PASSERA' DI QUI AUSPICO DI TRASCORRERE       MOMENTI LIETI CHE PORTINO LUCE E SPERANZA PER LA NASCITA DI UN MONDO MIGLIORE. SARA' UNA COSTRUZIONE LENTA, MA STRAORDINARIA: 
DOPO UN PERCORSO DIFFICILE, CIO' CHE SCATURISCE, E' SEMPRE MIGLIORE.

                                                       "BUON NATALE A TUTTI"

mercoledì 14 dicembre 2011

Romanzo


                      


   Lo sguardo di Osvaldo si soffermò sul mare che s’intravedeva attraverso la finestra, su quelle acque azzurre che luccicavano per i bagliori del sole, e fu in quel momento che gli balenò il nome da dare alla piccola.
   “Flora," rivelò lui "quando sono venuto da te la prima volta e le successive, ciò che mi ha colpito di questa casa è l’azzurro del mare che sembra entrare attraverso i vetri. Io sono nato in questo paese, ho trascorso anche la mia infanzia, ma con la mia famiglia abitavo al lato nord e di là si scorgono solo le case; vedevo il mare in estate, quando mi accompagnavano i miei genitori, mentre qui lo si ammira tutto l’anno, ecco perché questo posto mi affascina tanto! Bene, la bambina si chiamerà ‘Azzurra’, come il nostro mare. Che ne pensi cara?”
 “Come vuoi tu,” replicò Flora “se ti rende felice questa scelta, lo sono anch’io!”

   Questo piccolo brano l'ho estrapolato dal mio secondo romanzo, "Un addio senza ritorno", che giace in un cassetto ormai da tempo, mi capita di rileggerlo e di apportare nuove modifiche: è come se la mia precedente scrittura avesse bisogno di diverse rielaborazioni. 
   Sicuramente nel tempo si diviene più esigenti, un po' per la pratica, un po' per la maturità che va di pari passo con il tempo che scorre, e allora si ha voglia di crescere e di guardare oltre con un'ottica nuova.
   Avrei potuto proporvi un altro brano: il romanzo è abbastanza corposo e abbraccia quasi un secolo di una storia familiare, una saga che consta di due protagonisti principali, uno consequenziale all'altro e tutto ci riporta al capofamiglia in questione, militare retto e ferreo, che esercita la sua disciplina anche all'interno delle mura domestiche. 
   Il romanzo traccia la vita non solo dell'ufficiale ma anche dei personaggi che gli ruotano intorno, moglie, figli, parenti: tutto si riconduce a lui che segnerà il destino dei suoi cari e del secondo protagonista principale a cui il titolo del romanzo è dedicato.

giovedì 8 dicembre 2011

L'amore rende l'uomo eterno?


                                                        
     

   Sono catturata da questo titolo, che leggo con interesse, e rifletto sulla profondità del suo valore.
   L’uomo in quanto creatura mortale, lascerà il suo corpo, materia corruttibile, mentre l’essenza interiore, l’anima, si staccherà dal suo corpo e troverà la sua collocazione attraverso la purificazione della stessa. Della creatura umana non resterà traccia e questo è imprescindibile, ma della stessa resteranno le sue orme, il suo operato, il suo vissuto.
   Cosa rende eterno l’uomo sulla terra? Se guardiamo ai grandi della storia, le loro imprese sono testimonianza della loro esistenza, sia che abbiano operato nel bene o nel male di loro restano tracce memorabili. Come non fermarsi dinanzi ad un dipinto che racconta la maestria del suo esecutore? Come non ammirare un’opera architettonica che nei tempi sancisce la grandiosità dell’artista? Come non riconoscere l’immortalità di uno scrittore o di un poeta, attraverso il suo scritto che per i posteri sarà oggetto di lettura e di studio?
   Non soltanto l’arte rende l’uomo memorabile, ci sono anche altre imprese che restano negli annali e rendono eterno nella memoria il suo esecutore.
   Ma l’amore, perché dovrebbe donare eternità all’uomo? Domanda che a prima vista sembrerebbe non avere una risposta soddisfacente, invece analizzando la frase con attenzione, ci sarebbe, a mio avviso, un’interpretazione che forse potrebbe essere ritenuta accettabile.
   L’amore è un seme che ancora tanti spandono generosamente, sembrerebbe un paradosso in tempi in cui impera la malvagità, l’opportunismo, la criminalità, invece l’amore vero, quello puro e generoso, esiste ancora oggi e radicando, sviluppa altri nobili sentimenti più duraturi delle querce centenarie. L’albero dell’amore non è corruttibile, essendo etereo non muore e non conosce intemperie; è così prosperoso che continuerà a diffondersi e a germogliare nei cuori, e si rinnoverà in eterno.
   L’uomo, che semina amore, farà parte dell’albero immortale le cui verdi fronde saranno colme di frutti copiosi che porteranno nutrimento ai nuovi cuori.  

lunedì 5 dicembre 2011

Segnalazione


Per coloro che transitano da queste parti
e vorrebbero leggermi,
segnalo un mio racconto qui.
Buon inizio settimanale a tutti.
annamaria

giovedì 1 dicembre 2011

Adolescenza


Vi sono giorni in cui si cerca l’idea, un incipit che faccia fluire le parole, ciò che conta è dare vita ai propri pensieri, vederli materia viva che appaghi e plachi quel desiderio di scrittura.

Mentre batto i tasti in questa ricerca, scatta in me un ricordo che si fa strada, è un ricordo lontano, forse banale, ma ora così importante.

Ero un’acerba ragazzina con tanta voglia di crescere, di vedere il mio corpo con le stesse fattezze delle signore adulte: loro per me erano il raggiungimento dell’importanza, del ruolo considerato. Scrutavo i miei cambiamenti ed avevo una strana inquietudine, non stavo bene nel mio guscio, attendevo come una crisalide di lasciare il bozzolo per spiccare il volo ed avere voce. Ero stanca di udire: “Sei solo una bambina, dopo capirai!” Quante volte quel reiteramento amorevole era stato pronunciato, sottolineato, accentuato; l’unica certezza che avevo, era quella di dover crescere per acquisire prestigio e voce, “voce in capitolo”.

I genitori, i parenti e gli amici di famiglia erano sempre solidali fra loro, complici di un mondo che non mi apparteneva ed io ne spiavo con desiderio il loro conversare, i loro sorrisi, il loro raccontarsi in segreto: c’era un confine invalicabile ed era lì che sarei voluta entrare. Desideravo essere protagonista fra gli adulti, per ricevere maggiori attenzioni da chi poco mi considerava: per loro il mio pensiero non suscitava interesse. A volte coglievo dei sorrisi di accondiscendenza circostanziale ed era quella che più mi faceva soffrire, sembrava volessero dirmi – lasciaci in pace! Non ero una bambina, mi urtava quella parola, allora spiavo il mio volto e facevo delle smorfie; occhietti furbi, pose femminili da conquistatrice, tutto scaturiva dalle movenze che avevo imparato dagli adulti osservandoli, e intanto l’insofferenza cresceva.

“Zia, quando avrò anch’io il seno?” chiesi una mattina a colei che molto spesso ci faceva visita. “Arriverà il tuo tempo, come per tutte.”mi rispose sorridendomi. Io credevo, invece, che sarei rimasta sempre piatta e che la natura si fosse dimenticata di me.

Com'è difficile quel passaggio, quell’essere né da una parte, né dall’altra; quel sentirsi inadeguati nel proprio corpo, quella tempesta che sconvolge e non ti porta in nessun luogo, lasciandoti in mare aperto senza un approdo. L’attesa è così, è una sofferenza, è un tempo che non scorre come fosse addormentato su morbidi guanciali; poi all’improvviso, come una folata inattesa, passano le ore, i giorni, gli anni e ci si volge indietro, facendo considerazioni con il presente. In seguito le situazioni saranno diverse e di altra natura, ma anche le passate esperienze avevano il loro peso: tutto è in rapporto all’età. I problemi adolescenziali sono ugualmente significativi e non vanno mai ignorati: da essi dipende l’adulto del domani!