domenica 26 giugno 2016

La bisbetica domata

                                          
   

   "Non ce la faccio più! Qualcuno mi aiuti!" urlava a squarcia gola e le parole si diffondevano in tutto il circondario. Ma nessuno prestava attenzione o perlomeno si mostrava preoccupato o dispiaciuto. Gli abitanti del luogo continuavano la loro vita come se quelle parole non le avessero mai udite. Ogni mattina alla stessa ora e il pomeriggio, poco dopo l'imbrunire, le frasi accalorate viaggiavano sulle onde del suono.
   Era un vasto residence costituito da dieci palazzoni, sistemati a raggiera, che s'affacciavano sui vialetti stretti convergenti su di un ampio viale abbellito da giardini privati degli appartamenti a piano rialzato; quindi un flusso continuo di persone percorreva lo stradone principale, per accedere nei vialetti secondari conducenti ai portoni delle abitazioni. Durante la giornata il residence era attraversato da condomini e nell'atrio principale i suoni dei residenti convergevano, rimbombando come una eco in una voragine montana.  
   La vita scorreva all'interno di quel residence in una mescolanza di sensazioni, umori, dispiaceri, vocii, tutto si avvertiva e si subodorava attraverso le finestre aperte al momento del cambiamento d'aria o durante i mesi caldi; le vite altrui viaggiavano e penetravano altre intimità in una mescolanza di emozioni. La tecnologia aveva anche dato un colpo di familiarità costretta, le conversazioni al cellulare sui balconi non erano più così personali e, come in una sceneggiata da palcoscenico, in quel complesso residenziale, per forza di cose, si viveva la vita anche del vicino o del dirimpettaio senza farne parte.
   Lei era sensibile, molto sensibile, e quel giorno in cui le urla angosciate si diffusero maggiormente nell'aria, scese di corsa e, ignorando la raccomandazione della sua vicina di casa, andò a suonare all'appartamento del portone accanto che aveva l'esposizione esterna come la sua: non aveva resistito alle urla di aiuto, di dolore, alle urla insistenti e reiterate.  L'accolse una donna sui cinquant'anni stravolta e ben vestita che non comprese il perché della sua venuta, la trattò in malo modo e condannò il suo intervento; la giudicò invadente, non dandole nemmeno il tempo di potersi spiegare e la spintonò verso la balaustra delle scale. La vicina, quando la vide rientrare mestamente, scosse il capo come a volerle ricordare il "te l'avevo detto". Ma lei non si capacitava, non tollerava quell'insensibilità e quel disinteresse collettivo. Che strana gente viveva in quel complesso, si chiedeva, come facevano a passare oltre, anche fosse stata una schizofrenica andava aiutata: la persona in questione non aveva nessuno e viveva da sola. Puntualmente la voce urlante riprese a esternare tutta la sua rabbia, le richieste d'aiuto si fecero più sonore; la disperazione e la sofferenza ammorbarono nuovamente quel complesso di case. 
   Gli abitanti erano sempre più incuranti, giudicavano quella giovane signora una mentecatta e ne avevano timore. I servizi sociali informati della situazione, quando giungevano lì, non trovavano mai nessuno che gli aprisse la porta: lei non rispondeva e fingeva di non esserci. La sensibile ragazza pensò di contattare un amico carabiniere e gli chiese d'intervenire per disturbo alla quiete pubblica. Le forze dell'ordine all'ora della molestia suonarono a quella porta e la donna gentilmente, dopo averli fatti accomodare, mostrò loro un copione teatrale ben conservato: in un passato non molto lontano era stata un'attrice di discreta fama. Le urla erano una recita, davvero realistica, e lei una povera attrice che non si rassegnava per non cadere in depressione. 
    "Ma davvero!" esclamò la ragazza sensibile "Avrebbe potuto dirlo! Poverina, avrebbe bisogno di recitare sul palcoscenico."
   "E no!" rispose l'amico carabiniere e attore dilettante in un teatro tenda del quartiere. "Non penserai di farla venire da noi?"
  Il complesso residenziale finalmente viveva giorni tranquilli, solite beghe familiari, solite telefonate esterne o volumi assordanti di televisori e stereo; si udivano anche strumenti veri che eseguivano quelle belle evoluzioni musicali dilettantistiche o professionali, ce n'era per tutti i gusti: era la quotidianità di una famiglia allargata. 
   La voce fragorosa dell'attrice dimenticata risuonava ora nel teatro di quartiere, dove la compagnia teatrale ottenne un discreto successo nella "Bisbetica domata" di  Shakespeare; il ruolo di Caterina, protagonista scontrosa e irascibile fu affidato a lei, alla condomina urlante di quel ben noto complesso residenziale.


giovedì 9 giugno 2016

Duplice ossesione

                              

   Elena era cresciuta e non si piaceva. Tutti dicevano di lei che era bellissima, ma con un carattere riottoso. Difficile starle accanto. Il malumore l'accompagnava, come anche l'insoddisfazione. Non le piaceva nulla di suo, ma ciò che apparteneva agli altri era per lei sempre migliore. Ed era per questo che le rodeva il cuore. Non era cresciuta interiormente: era rimasta allo stadio infantile, a quando apprezzava la bambola di sua sorella e la desiderava strappandogliela di mano, eppure le bambole erano simili. E la situazione non cambiò anche durante la giovinezza; la collanina, le scarpe, il golf, ogni cosa di sua sorella le piaceva, anche facendo acquisti simili desiderava ciò che indossava la sorella. Quando giunse l'amore, s'innamorò del fidanzato della sorella e poiché la situazione era delicata, preferì trasferirsi altrove. La vita, così generosa con lei sia per l'aspetto fisico che per le capacità intellettive, non fu vissuta allo stesso modo.
   "Devi farti curare.", le disse un giorno una collega di lavoro che le era anche amica ed era dispiaciuta di cogliere quello sguardo carico di rabbia.
   "Io non ho bisogno di cure." rispose Elena "Mi manca la comprensione."
   "Vieni con me!" rispose quella collega "Ti porto in un posto speciale."
   Acconsentì e si trovò in una realtà che mai avrebbe immaginato, certo si conoscono determinate verità, ma solo per sentito dire e non per contatto diretto. Un centro per disabili, giovani, tanti giovani. Chi in carrozzella, chi senza ma con andatura anchilosante, chi con una fissità sul volto e uno strano sorriso, chi si muoveva con movimenti irregolari e chi non riusciva a tenersi fermo, chi emetteva suoni gutturali e chi aveva una fisicità non propriamente umana. Ma tutti con una luce, strano a dirsi, serena, una luce lontana dal desiderio inconcepibile, una luce che non aveva nulla dell'insoddisfazione.
   Ma come, si disse lei, loro avrebbero mille motivi per essere insofferenti dentro e non lo sono, loro amano la vita così come l'hanno ricevuta. Forse si è felici quando non si comprende? Ecco, convenne, il cervello umano meno comprende meglio è.
   "No!" le rispose l'amica quando seppe. "Si desidera ciò che non ci appartiene. Quando esaudiscono sempre i nostri desideri: il rifiuto, il rimprovero sferzante unito alla dolcezza formano l'individuo."
   E allora lei andò indietro nel tempo, a quando i suoi capricci erano esauditi, a quando le dicevano che era la più bella e la più brava e a quando era riservato un trattamento diverso a sua sorella: lei godeva di favoritismi e la sorella no. Ma perché? Doveva saperne di più, doveva comprendere.
   "Tu me lo devi dire, mamma, perché mi concedevi tutto e a Monica no? Perché io ero coccolata e Monica sempre rimproverata aspramente? Ora ricordo il suo viso rigato di lacrime. Ma rammento anche come lei ostentasse sicurezza e soddisfazione, quasi una risposta al mio sguardo compiaciuto d'essere la privilegiata."
   "Tu sei mia figlia, Monica non lo è." rispose la madre.
   "Che vuol dire, siamo così simili, somigliamo tanto al papà."
   "Tuo padre aveva una relazione con mia sorella che morì di parto, io vi ho cresciute insieme, ma non ho mai perdonato."
   "Il tuo odio ha fatto di me una persona infelice."
   I meccanismi della vita, quando si ottiene si finisce per essere insoddisfatti, mentre la mancanza d'attenzione e la durezza temprano lo spirito.
   Che stupidità, si disse Giulia, mai letto un libro più banale, e poi chi gioisce e riceve affetto è infelice, ma valli a capire questi scrittori e noi che acquistiamo le loro scemenze; prese il libro e lo sbatté contro il muro; meno male che Gianluca non era uno scrittore di quel genere e stava per incontrarlo. L'aveva conosciuto alla presentazione del suo ultimo libro ed erano entrati subito in sintonia, era uno importante, vendeva centomila e passa copie, aveva un nome e appena pubblicava un libro, andava a ruba: la gente acquistava a scatola chiusa. 
   Gettò lo sguardo sul libro miseramente finito sul pavimento e vide la foto di Gianluca che spuntava dall'interno, non vi aveva fatto caso prima. Caspita, si disse, ma è lui, gli farò delle domande per comprendere il senso del libro sciocco che ho appena terminato. Non ricevette delle adeguate risposte: lui tergiversava e cercava di cambiare argomento, ma non solo tentava di essere fastidiosamente ironico, quasi a voler mettere in dubbio le sue qualità di lettrice. Giulia s'irritò e cominciò a insospettirsi, le avevano detto che tanti scrittori di successo, quando pubblicano con una certa consuetudine, hanno uno staff preposto che dopo aver preso visione del canovaccio sviluppano la storia; egli sicuramente non aveva neanche letto l'ultima stesura. Cosa fa il successo, una volta ottenuto è come una rendita in omne tempus.
   Giulia era, anch'essa, una scrittrice ma anonima, aveva provato a inviare i suoi manoscritti, le rispondevano che per pubblicarli avrebbe dovuto comprarsi le copie. Figuriamoci, pagare il proprio lavoro; meglio restare in ombra e continuare a coltivare la sua passione. Un giorno lesse un brano dell' ultimo lavoro di Gianluca, col quale oramai aveva intrecciato una relazione, e lui le chiese di entrare a far parte del suo staff.
   "Sai, si tratta di revisionare i miei lavori, di apportare qualche modifica o di elaborarla; servono varie riletture esterne. Tu hai stoffa da vendere e stando da noi potresti migliorare la tecnica di scrittura e imparare quegli accorgimenti necessari affinché un libro diventi appetibile."
   Giulia accettò e cominciò a collaborare. Gianluca consegnava la bozza e i collaboratori la perfezionavano, lui neanche la rileggeva e il lavoro ultimato finiva alle stampe come lei aveva supposto. La cosa non le andava giù, perché doveva prendersi il merito che non gli spettava?
   Nuova presentazione dell'ultimo libro di Gianluca Fortori dal titolo inquietante: "Duplice ossessione". Un folto pubblico occupava le poltroncine in plexiglass all'aperto di quella piazza rinomata, dopo i convenevoli e la recensione accattivante del critico di turno, una voce si levò dal pubblico: "Ci spieghi, signor Fortori, l'epilogo della storia e nel sesto capitolo perché quel flashback così inusuale?"
   "Duplice ossessione" fece flop, e Giulia? Per ora possiamo solo immaginare: il futuro non rema sempre contro!