domenica 30 dicembre 2012

Adorabile, piatta vita.

              

   Come le sarebbe piaciuto riappropriarsi della precedente banalità, di quella vita sempre uguale scandita dai soliti ritmi. Un'esistenza scontata, lei l'aveva denominata, un'esistenza blanda alla quale non bisognava chiedere il come e il quando o il che si farà: la progettualità non c'era e si conosceva anzitempo quello che andava fatto. Le feste ogni anno finivano per accentuarle quel senso di grigiore e per quanto in definitiva non aveva nulla che non andasse, un marito fedele e innamorato, dei figli sani e diligenti, lei era stanca della mancanza di quell'organizzazione imprevista e imprevedibile, ovvero sia avrebbe voluto vivere le festività all'insegna dell'innovazione, rispettare le tradizioni certamente, ma vivere i giorni speciali tutti insieme sotto una luce diversa, una luce dallo sfavillio nuovo. Allora sapendo che andava incontro alla solita programmazione scontata, ogni anno le prendeva l'insoddisfazione e ne sentiva il peso; cercava di mostrarsi serena e appagata ma dentro di sé covava quel senso di frustrazione, di malinconia che la sviliva, oh quanto la sviliva! Poi al termine dei rituali, quando riprendeva la normalità, le si alleggeriva il cuore e adorava la quotidianità recuperata, quella dei giorni normali in cui non doveva dar conto a nessuno, di quei giorni in cui decideva per sé: marito e figli erano alle loro occupazioni e lei viveva il tempo secondo i suoi canoni. 
   La vita è strana, tanti vivono il disagio dell'emarginazione sofferta, di quella povertà che non permette di godere di un'esistenza normale e a volte scontata, ma pur sempre un'esistenza fatta di rituali vissuti al riparo della propria casa con gli affetti più cari, e per quanto la situazione sia ripetitiva e quindi forse non stimolante, è una situazione di privilegio apprezzabile: questo Silvana se lo diceva ora in quel letto d'ospedale, nell'assoluta immobilità rifletteva sulla sua precedente vita che avrebbe voluto tale e quale, non una differenza, la sua vita uguale, scontata ma viva, viva nel senso della totale e splendida autonomia che fino a ieri le apparteneva. 
   Era successo tutto all'improvviso, era l'antivigilia di San Silvestro e sapeva già che l'indomani avrebbe trascorso a casa il fine d'anno, mai un fuori onda veglione di mezzanotte in uno dei tanti locali della città, l'attendeva il solito cenone a base di pesce e contorni vari, per finire zampone e lenticchie. Come odiava l'odore di lenticchie: era così nauseante! Era stufa anche della bottiglia di spumante stappata alla mezzanotte in attesa davanti al televisore che trasmetteva i rintocchi dei secondi mancanti all'anno nuovo; loro, i protagonisti dello spettacolo in ghingheri parati a festa, lei col solito pulloverino rosso e quell'aria stanca da factotum tuttofare. Poi gli auguri sempre uguali, abbracci e baci a profusione, un accenno di degustazione del piatto propiziatorio di buona sorte, un'ulteriore scorsa al programma in onda sulla tv di stato e dopo una mezzora di sosta sul divano, teneramente stretta al marito che non la lasciava un attimo: dopo vent'anni era ancora innamorato come il primo giorno, andava a dormire mentre fuori il roboante festeggiamento giungeva sonoro e comunicava l'esistenza di vitalità celebrativa del nuovo anno. Lei sapeva che, a poco meno di ventiquattro ore, ancora una volta si sarebbe ripetuta la solita commemorazione di fine anno e sapeva anche che quest'anno sarebbero stati in due: i figli avevano deciso di cambiare atmosfera, beati loro si diceva. Allora le era presa una rabbia, avrebbe voluto gridarla al mondo intero, ma lei no: era una persona controllata, sopportava tutto per il bene dell'unità familiare. I primi tempi aveva provato a ribellarsi, ma non era accaduto nulla: suo marito aveva trovato il modo per condurre l'acqua al suo mulino e con il passare degli anni le proteste di Silvana si annullavano sul nascere e la vita scorreva precisamente come la voleva lui, il consorte. Ricordava con chiarezza come si era svolta l'ultima giornata da persona sana, anziché infuriarsi e urlare, era scesa velocemente da casa e stava per andare in stazione, voleva sparire e non farsi ritrovare neanche da "chi l'ha visto", come odiava quel programma che suo marito guardava con assiduità, odiava la sua totale metodicità: giungeva a casa sempre alla stessa ora, non sgarrava mai. Doveva fare in fretta, perché non ci aveva pensato prima, stupida si diceva, stupida e tollerante. Farneticava e gesticolava, mormorava persino; mise un piede in fallo e inciampò all'incrocio, mentre sopraggiungeva un motorino che la scaraventò per aria, poi il nulla e quest'odore di disinfettante. Quest'odore e il volto di suo marito distrutto dal dolore, a capo chino appoggiato al suo cuscino non l'aveva lasciata un attimo dal momento del ricovero d'urgenza, la corsa in ospedale e l'intervento. Suo marito era rimasto con lei, sempre e solo con lei, seduto ad una sedia non l'aveva abbandonata tutta la notte e ne spiava le mosse. Le asciugava il volto cosparso di goccioline, le sussurrava tenere parole, le diceva che sarebbe tornata normale, solo un po' di pazienza; la riabilitazione certamente, ma poi normale, e a stento tratteneva le lacrime. Povero caro, lui l'amava; ora lo comprendeva, lui semplicemente l'amava. Le sue amiche erano in angoscia per i loro mariti che rientravano tardi e ne spiavano i movimenti controllando ogni cosa perché non si sentivano amate e considerate. Le sue amiche festeggiavano alla grande nei locali "in" della città, cambiavano atmosfera, ma si lamentavano perché non ricevevano un gesto di tenerezza e d'amore, e a letto erano anni che il dovere era diventato solo un dovere sporadico, mentre suo marito era appassionato come il primo giorno e lei, Silvana, doveva tenerlo a bada. Dio com'era stata ingrata!
   Lo guardò negli occhi, mancava solo un'ora alla mezzanotte, e gli disse: "Desidero tanto le lenticchie, amore mio!"

                                                           BUON 2013 A TUTTI!

giovedì 20 dicembre 2012

Un papà speciale


                                                                                           

   (Il Natale è alle porte, allora... m'ispirano storie così. 
   Che sia un Natale di aggregazione familiare e di buoni propositi: ciò che conta è quella sensazione speciale nel cuore che alimenta la luce della speranza e del rinnovamento. Non siete i soli a sorridere scetticamente: anch'io in questo momento ho qualche perplessità. Ma è Natale, rilassiamoci  e facciamo festa, con poco e con quello che c'è. In barba a tutti i grovigli politici, sociali e agli antichi Maya, anticipatamente, BUONE FESTE A TUTTI VOI!)


   Doveva farlo, non c’erano altri mezzi: era l’unico bene che possedesse, allora l’aveva donato.
   L’adorata figlia necessitava di un intervento costoso: la sua vita si stava spegnendo assieme alla luce che irradiava. L’aveva vista crescere e fiorire come un bocciolo prezioso, l’aveva vista fare i primi passi nel mondo della danza come una libellula leggera, leggiadra e armoniosa, Martino era un genitore a senso unico e quella figlia era il fulcro della sua esistenza vuota.
   “Papà, la mamma non ci serve, ha preferito un’altra vita a noi.” diceva Letizia. “Noi siamo felici così!”
Gioia dei suoi occhi, felicità smisurata. Bimba modello a scuola e nella vita, poi, adolescente esemplare, bella nell’aspetto e nell’anima. Martino s’impegnava tutto il giorno, dividendosi fra il lavoro e la sua creatura, fra il lavoro e la casa. Mai un attimo di malinconia, mai un momento di stanchezza: gli bastavano il sorriso di Letizia e la sua amorevole attenzione. Un pomeriggio durante le prove del Balletto “Il lago dei cigni”, la ragazza si accasciò al pavimento, risuonò il tonfo, la disperazione e il tormento si abbatterono su Martino. Analisi ed esami estenuanti, non si comprendeva cosa avesse infierito sul giovane corpo; Letizia passò il calvario da un ospedale all’altro, i medici brancolavano nel buio mentre lei lentamente si allontanava dalla vita. Martino non aveva più lacrime e da solo chiuso nel suo dolore, visse momenti di annientamento interiore, giunse anche a pensare di farla finita. Ricordò il sorriso beffardo di sua moglie il giorno che la sorprese con la valigia dell’addio.
   “Sei un ometto, sempre la stessa vita morigerata, casa e laboratorio, passeggiata domenicale e null’altro. Ho voglia di conoscere il mondo, la bambina te la regalo. E’ una piagnona come te che ti piangi addosso!”
Non la vide più e con il passar del tempo quella ferita si rimarginò, la piccola Letizia divenne tutta la sua vita. Si adattò a svolgere la doppia mansione, non aveva nessun parente che potesse aiutarlo e centellinò il suo stipendio di restauratore di libri antichi fra spese domestiche ed extra; la piccolina, quando lui era al lavoro, era affidata alle cure di una fidata baby sitter, in seguito ai migliori istituti a pagamento.
   Gli risuonava la lamentela della moglie: “Ti piangi addosso”, non aveva avuto il tempo di occuparsi dei suoi problemi di salute, nonostante l’età ancora giovane, soffriva di una forma di artrosi agli arti inferiori che si accentuava nei cambi stagionali. Giunse il referto, Letizia era affetta da una grave patologia rara, l’unico centro ospedaliero dove effettuavano quel particolare intervento, che avrebbe salvato la vita alla ragazza, si trovava in Hillinois e le possibilità di recupero erano da considerarsi buone.
   Si accese una speranza, tornò la luce nel cuore di Martino, ma i tempi erano brevi: bisognava intervenire al più presto, il filo sottile che teneva in vita Letizia stava per spezzarsi. Il pover’uomo fu felice ma al contempo disperato: urgevano i soldi per partire e per la costosa parcella medica ed ospedaliera.
   L’idea gli venne ascoltando la confidenza di un affezionato cliente che cercava un rene per sua moglie debilitata da ripetute dialisi; la lista d’attesa era lunga, avrebbe pagato bene se avesse trovato un donatore. Tacitamente Martino si sottopose all’espianto e il giorno stesso in cui fu dimesso volò sull’oceano assieme a Letizia, passeggera speciale.
   Le note di Chaikovskij vibravano ancora nell’aria, sul palco della Scala gli applausi scroscianti si fondevano al brusio dei presenti.  La ballerina esordiente, giovane promessa della danza, dopo l’inchino finale prese il microfono e col fiato grosso, indirizzando lo sguardo a un uomo speciale seduto fra la folla, annunciò un breve: “Grazie papà!”     

martedì 18 dicembre 2012

"Lettera a mia madre"

            


         (forse è il clima, ma ho avuto nostalgia per questo scritto di qualche anno fa)


   Le parole migrano e raggiungono spazi infiniti, superando le barriere dell’impossibile. Le parole sono duttili come la materia e sono magiche come le note di un concerto ben orchestrato. Questo mio suono vorrei giungesse a te, mamma, per dirti grazie o musa, amante dell’arte della Parola!
   I tuoi occhi cagionevoli, sin da tenera età non t’impedirono di nutrire il tuo spirito con i grandi classici della letteratura; alla flebile luce della lampada a petrolio tutte le sere fino a notte fonda, non mancavi all’appuntamento con i personaggi misteriosi del romanziere di turno. Passione che coltivasti sempre e che trasmettesti a me, mamma. Pendevo dalle tue labbra, la tua conoscenza andava al di là della formazione scolastica mancata: tu eri lettrice ed affabulatrice… grande dispensatrice di parole.
   Poi calò il buio e la fonte della tua vita non cessò di mancarti: i miei occhi furono i tuoi, per venti lunghi anni continuai a leggere per te. La stanchezza s’impadroniva di me quando la mia mente era altrove, impegnata nel mio vissuto familiare. La sopportazione soffocata prendeva il sopravvento e tu lo percepivi dal tono della mia voce che non riusciva a mascherare le mie sensazioni interiori.
   Ti rispondevo a monosillabi stentati, mentre pensavo che forse non avrei retto per molto e che avrei voluto scrollarmi di dosso quel fardello, non perché non amassi la letteratura, solo che… avrei voluto leggere da sola, appartata nella mia camera in raccoglimento. Quando la gola era secca e la testa intontita, finivo per invidiare quasi tutti gli orfani esistenti sulla faccia della terra. Mi sono nutrita di storie leggendarie, di storie fantastiche, di storie emozionali che sono penetrate in me, inconsapevolmente, come lo stillare continuo della goccia che plasma.
   Ricordo il tuo volto luminoso quando udivi il lento sfogliare delle pagine delle quali volevi prima sentirne il profumo: quell’effluvio ti poneva in simbiosi con le parole pronunciate dalle mie labbra.
Le frasi salienti dovevo rileggerle: una sola volta non bastava; tornavo indietro e ripetevo, mentre t’ immedesimavi calandoti nella sequenza ascoltata; dal tuo volto si intuivano le emozioni e le sensazioni che stavi vivendo: mamma, tu eri sì fruitrice, ma anche trascinatrice!
   Dicevi: “Questo è il bello della lettura. Ognuno raffigura immagini secondo la propria comprensione e le colloca in una sua realtà, se dovessimo mettere a confronto le diverse immaginazioni, avremmo una stessa storia con personaggi di differente aspetto esteriore ed interiore. Ci sono lettori che giustificano gli errori ed altri che li condannano: i commenti sono diversi, non c’è nulla di più vario della interpretazione letteraria!”
   Quanta saggezza nelle tue parole: le tue erano riflessioni filosofiche profonde, degne di meditazione. In quegli anni ho imparato ed accumulato un bagaglio culturale senza eguali.
   Mi attendevi al mattino, verso metà giornata. Mi accomodavo alla sedia accanto alla tua poltrona preferita e dopo il rituale: “Tutto bene, mamma?”, riprendevo la lettura dalla parte sospesa il pomeriggio precedente (già… ti facevo visita due volte al giorno). Mi dicevi: “Ti stancherai di me? Nessuno potrebbe prendere il tuo posto! Tu sei una lettrice che ci mette l’anima!”
   Mamma, ora so che il tuo attaccamento per la lettura era anche un modo per trascorrere più tempo con me: i tuoi occhi erano spenti, ma non il tuo cuore carico d’amore, e quel sentimento vive in me, mi parla, mi esorta, mi loda.
   Quei vent’anni passati nella ricerca di nuovi libri, quegli anni vissuti fra bancarelle a buon mercato, quegli anni odorosi di fogli cartacei narrati, hanno alimentato in me la passione per la scrittura che covava sotto la cenere.
   Quando i tuoi occhi si sono spenti per sempre, io ho alitato su quella cenere il vento della tua passione, che ha acceso, mamma, il fuoco dell’amore per le storie narrate, per le vicende senza tempo.

       

sabato 15 dicembre 2012

Incubo spread

                   

   Ho dovuto far rientrare nelle mie corde l'argomento politico e quando avviene una costrizione capita che i risultati non siano dei migliori. Io non so fino a che punto possa spingersi l'animo umano e in particolar modo l'animo politico, ma a quanto pare, sa affondare il suo intento sin in profondità anche a costo di spargimento di sangue innocente.
   Abbiamo avuto un governo tecnico che ci ha restituito un po' di dignità agli occhi dell'opinione pubblica, vi sono state grosse restrizioni applicate dal governo di transizione, restrizioni che ci hanno permesso di non inabissarci, tutto ciò ci ha portati ad un peggioramento della situazione economica, un peggioramento che era già in atto ma che il predecessore, per gettare fumo negli occhi, diceva che andava tutto benissimo e che i ristoranti comunque erano pieni e che non era il caso di drammatizzare. La situazione era grave ma non bisognava secondo lui pensarci, sai come quando c'è un'infezione in corso e si spera che guarisca senza opportuni medicamenti o per inspiegabile guarigione, tipo un miracolo improvviso.
   Lo spread non esiste ha tuonato il Cavaliere, è solo un'invenzione del governo tedesco e leggendo un approfondito articolo pare che sia tutta una manovra anglosassone per affossare l'Italia. Non so nulla di Economia e tanto meno comprendo questo giro di rialzo e ribasso. La famosa crisi è stata più visibile, credo, a partire dal 2008, e tutto è cominciato ad opera delle Banche Americane che concedevano mutui proprio a tutti senza garanzie e regole, questo lo comprendo ed ovviamente comprendo le ripercussioni sul resto dell'Economia che ci interessa: è come un effetto domino; ma lo spread, il differenziale fra i nostri titoli e quelli tedeschi, che ruolo ha? E poi perché sono presi come riferimento i titoli di stato tedeschi, forse loro hanno un'economia migliore della nostra e quindi portano il vessillo dell'investimento reddituale? Possibile che vogliano incastrarci su più fronti, siamo così sprovveduti da cascare alle manovre non solo politiche di casa nostra, anche a quelle europee d'oltralpe. Grillo tuona che lo spread è un'allucinazione mentale di speculazione bancaria e che siamo falliti l'anno scorso: il nostro debito è per metà in mano alle banche straniere che cercano di far alzare il tasso d'interesse per guadagnare di più. Monti, con la sua figura autorevole che ci ha restituito un po' di dignità, afferma che lo spread conta per preservare la credibilità del Paese e che non va sottovalutato.
   Abbiamo un debito vertiginoso, ognuno di noi si porta sul groppone 33.000 Euro di debito; pensavo che se ci vendessimo qualcosa di ciò che ancora possediamo, forse potremmo salvare l'Italia. Ma loro, i nostri politici arricchitisi con i nostri soldi sarebbero disposti a rinunciare a qualcosa per salvare questo Paese? Non credo proprio e il peso aumenta, aumenta per tutto il sistema sbagliato, per i tornaconti personali, per il gioco abile di chi sa fare il mestiere truffaldino. Dove andremo, quale sarà il nostro destino?
   Dio che confusione e se ho contribuito anch'io non me ne vogliate, ho tentato un discorso ostico anche per vederci chiaro.

mercoledì 12 dicembre 2012

Come si accende la lavatrice?


                                                                      


   La luce filtrava attraverso le imposte, accarezzandole le palpebre pesanti, e la indusse ad aprire lentamente gli occhi. Stancamente si voltò dall’altra parte: aveva ancora voglia di dormire. Il giorno precedente aveva vissuto una giornata sfibrante ed ora era in quella stanza di un anonimo albergo di periferia.
   Lara aveva incontrato Mattia e il suo mondo dal grigiore invernale aveva assunto le colorazioni tipiche del mezzogiorno estivo. Mattia era il non plus ultra dei desideri femminili: era affascinante, colto, galante, affabulatore e… sensuale. “Dio, quanto era sensuale!”, pensò Lara quando lo incontrò a casa di amici durante una serata particolare. 
   Lara aveva accettato quell’invito per evadere dal suo solito tran-tran e dalla delusione di un amore durato cinque anni; un fidanzamento terminato in seguito all’ennesima immotivata scena di gelosia di lui che le soffocava l'esistenza con assurde paranoie. 
   Mattia monopolizzò la conversazione con la sua parlantina sciolta e accattivante, volgeva lo sguardo a tutti meno che a Lara la quale, anche essendone affascinata, finse un atteggiamento noncurante.
   La serata era terminata e ognuno si diresse alle proprie auto per rientrare a casa, la pioggia battente creò qualche disagio e ci fu un fuggi-fuggi generale per raggiungere le auto distanti. Lara, fortunatamente, aveva l’auto nei pressi del portone ed entrò soddisfatta: aveva salvato i capelli acconciati di fresco, la sua bellissima chioma corvina che brillava anche alla luce dei lampioni. L’accensione dell'auto non andava; due, tre, quattro colpi di chiave, il mezzo meccanico sbuffava e, poi, si bloccava.
   “Come faccio, ora? Forse dovrei telefonare al soccorso stradale, a quest’ora non c’è nessuno reperibile!” mormorò a fior di labbra. Aveva quell’abitudine, come se qualcuno stesse lì ad ascoltarla.
   Un colpo di clacson la distolse dai suoi pensieri e riconobbe il fascinoso che aveva monopolizzato la serata. Lo vide scendere dalla sua auto e venire verso di lei, mentre si riparava la testa con il bavero della giacca.
“Problemi?” disse, sorridendole con gli occhi come per tranquillizzarla.
   Nacque così la conoscenza ravvicinata dei due giovani, una conoscenza che divenne una relazione importante per entrambi, così sembrava, e Lara recuperò la sua anima tante volte oltraggiata dai dubbi e dalle incertezze del precedente fidanzato. Vissero giorni divini in simbiosi totale, lui si trasferì da lei e s’incontravano di sera: i lavori li impegnavano tutto il giorno e ambedue erano fuori di casa. Lara era maestra elementare in una scuola di provincia e con il tempo prolungato era occupata tutto il giorno, mentre Mattia faceva l’agente di commercio, quindi partiva al mattino presto per rientrare verso l’ora di cena. Non c’erano nubi all’orizzonte e facevano progetti di voler sancire l’unione con il vincolo nuziale.
   “Amore, devo parlarti” disse Mattia una domenica mattina, mancava poco alla fine dell’anno scolastico e avevano in mente vacanze speciali, questa sarebbe stata la prima per loro.
   “Ti ascolto, se si tratta di quell’itinerario, sono d’accordo; mi va tutto bene se sono con te!”sospirò lei in un soffio a fior di labbra, mentre gli si stringeva sensuale e dolcissima.
   “Sono rimasto senza lavoro, è già da tanto, non osavo dirtelo. Questa città mi ha stufato, non ce la faccio più, andiamocene cara, trasferiamoci a Milano. Lì c’è un amico che mi ha promesso un lavoro migliore, più tranquillo. Tu potrai chiedere il trasferimento.”
   Lara accettò la proposta del suo uomo e si trasferirono, ma del presunto lavoro neanche l’ombra. Mattia si mise alla ricerca di un’occupazione, mentre la ragazza fiduciosa si occupava del nuovo nido con gioia.
   “Tesoro, c’è un’interessante proposta. – Cercasi coppia con l'incarico di custodi per villa prestigiosa, si richiedono ottime referenze e professionalità. – Vogliono una coppia, come faccio?” esordì Mattia con l’aria più angelica di questo mondo.
   “Vengo anch’io, caro. Siamo o non siamo una coppia?” cantilenò lei felice.
   “Il tuo lavoro di insegnante? Stai per ricevere la nuova destinazione!”
   “Rinuncio e ti seguo, tutto per farti felice!”
   Furono assunti, Lara si occupava delle pulizie, coadiuvata da altro personale, e Mattia faceva l’aiutante giardiniere. Fu loro assegnata la dependance della maestosa villa, completamente arredata, tutto scorreva per il meglio: il lavoro non era poi così pesante ed avevano una discreta retribuzione al netto di spese.
   Lara faceva progetti e non le pesava aver rinunciato alla sua professione, per lei contava l’amore del suo uomo. Mattia era invece insofferente: anche la città di Milano non entrava nelle sue corde, il lavoro poi era faticoso e poco consono alle sue attitudini.
   “Dobbiamo tornare nella nostra città, non resisto più qui, siamo entrambi sprecati!” urlò una mattina alla sua donna“Prepara i bagagli!”
   “Che farai? Il lavoro scarseggia!” esclamò Lara che stava perdendo la pazienza e la fiducia.
   “Vedrai, sarà diverso, ho sbagliato; nella nostra terra le cose andranno meglio!”
   Tornarono a casa e Lara, mossa a compassione si rivolse a sua sorella, perorò la causa di Mattia, chiedendole di cercargli un lavoro: la sorella di Lara era stimata nel suo ambito professionale.
   Le nubi parevano dissolte, il rapporto stava recuperando l’antico vigore. Lui lavorava alla sala macchine di un’azienda come controllore e Lara era impiegata in un supermercato, affrontando turni massacranti che non le pesavano per via del suo carattere pronto a qualunque sacrificio.
   Mattia da qualche tempo era nuovamente scostante e di pessimo umore, mentre Lara nonostante fosse stanca, quando rientrava dimenticava tutto e solare e gioiosa cercava il suo uomo per tirarlo su di morale, credendo che avesse avuto problemi sul lavoro.
   “Sono allo stremo!” sbottò quella mattina Mattia più scontroso che mai “Mi licenzio! Non posso passare le mie giornate a spegnere ed accendere pulsanti, mi sento un automa!”
   “Tu fallo ed io esco da quella porta per sempre!” intimò Lara.
   Mattia si licenziò, ignorando l’avvertimento, e quando tornò a casa sarcastico tuonò: “Sono libero, finalmente!”
   “Anch’io!” urlò Lara e si recò in camera a preparare i suoi bagagli. Era sull’uscio di casa pronta ad uscire, quando fu richiamata da Mattia, lei fingendo naturalezza si voltò: la sua voce la turbava ancora come quella famosa sera.
“Come si accende la lavatrice?” amore mio.
 




domenica 9 dicembre 2012

L'attesa

                


   C'è chi sa attendere. C'è chi si siede sulla riva destra e pazientemente attende il suo turno o per meglio dire, per usare un suo termine, attende la sua entrata in campo, ossia il suo ritorno.
   La vendetta è un piatto che va servito freddo, infatti solo la pazienza e l'attesa portano al compimento dei propri desideri. Per cui, a parer suo, molto meglio farsi da parte, dare nuovo respiro, ossia dare la possibilità all'aria satura della sua presenza di ossigenarsi con elementi differenti magari più tecnici, di tipo meccanico: ciò che conta è una nuova ventilazione. Risultato... un peggioramento della respirazione, una dispnea preoccupante che non ha assicurato un adeguato scambio gassoso. Però prima del soffocamento si affaccia aria fresca all'orizzonte, aria di tipo salubre, naturale che non abbisogna di ventilazione artificiale: è talmente carica che può dar nuovo ossigeno all'ambiente. Ma il cielo pubblico, ormai abituato allo smog e al grigiore, non sa che farsene della freschezza, sarebbe come riabituare i polmoni ad aria d'alta quota; sai com'è, la respirazione farebbe fatica, fischierebbero le orecchie, tanto meglio la vecchia anidride più sicura, più attestata.
   Chi attendeva all'ombra delle sue certezze coglie l'attimo, sapeva che il suo cielo non avrebbe accettato una corrente nuova, un bel maestrale che spazza via le impurità; sapeva che il suo libeccio carico di sabbia sarebbe stato atteso.
   Forza costruiamo castelli di sabbia, gettiamo polvere negli occhi e nei polmoni e se l'orizzonte è sempre lo stesso ed è costellato da un marajà asservito dai suoi beduini, poco importa: ciò che conta è respirare aria vecchia. Sai com'è: è difficile rinunciare alle antiche abitudini!

lunedì 3 dicembre 2012

Non è cambiato nulla


               
 

   Speravo, m'illudevo, ma evidentemente, viste le false promesse che ci sono state propinate per un ventennio, siamo divenuti diffidenti e ne abbiamo tutte le ragioni. Ma mi chiedo, chi ci garantisce che il flemmatico e accomodante vincitore che ha scelto la strada anch'egli, così dice, del cambiamento forse generazionale, sarà all'altezza delle aspettative? Chi ci dice che farà il possibile e ci darà nuovo ossigeno, per gradi è ovvio: lui, infatti, ha ribadito che non potrà fare miracoli e che è inutile prendersi in giro. Ecco dove ha fallito lo speranzoso giovane: con il fatto di promettere un cambiamento su tutti i fronti in tempi rapidi è stato visto come il predecessore che ci influenzò a tal punto d'aver scambiato lui per l'Onnipotente in terra. Ma la vita reale è fatta di certezze: le illusioni non migliorano le condizioni di un popolo; è inutile convincersi che basta schioccare le dita per compiere il sortilegio.
   Chi ci dice che... nessuno, tanto sono tutti uguali: è questa la nostra convinzione e a giusta ragione direi. Ma allora, come faremo a cambiare questo nostro paese, come faremo a farci governare da persone probe che gioiscono per la crescita economica, intellettuale, ambientale, industriale, aziendale, lavorativa, in due parole "UMANA", come faremo? Come faremo a farci governare da persone che gioiscono anche per i costi della politica dimezzati: stipendi, numero di parlamentari, auto blu e agevolazioni zero.
   Come faremo, se la legge elettorale è sempre la stessa?
   Poveri noi! Pensiamoci e cerchiamo di trovare una soluzione anche infinitesimale. Io non mi occupavo di politica, ma ora occorre prendere coscienza e far udire la propria voce.