mercoledì 26 marzo 2014

Sei felice?

           
   

   “Sei felice, mamma? Sei felice?” Annuisco e col sorriso sulle labbra sussurro: “Moltissimo!”e mi stringo a lui pervasa da una gioia immane.
   Bastano frazioni di minuti per tornare nel passato e ti rivedo bimbo di pochi mesi come la tua bambina festeggiata ora nel giorno del suo Battesimo. C’erano anche per te parenti e amici, tutti riuniti per quell’occasione speciale e c’era anche il tuo fratellino poco più grande di te di qualche anno.
   I bambini amano il gioco e tu, caro papà, amavi il gioco in maniera viscerale: avresti voluto fare solo attività ludica, anziché frequentare la scuola. Ogni giorno, quando ti toccava il turno pomeridiano, c’era quel fastidioso turno per sovrannumero di classi, era un’impresa richiamarti dal cortile sottostante la nostra abitazione. Una corsa sia per il pranzo che per la vestizione del grembiulino con fiocco appuntato. Giungevi a casa sudato e sporco, lamentandoti e adducendo scuse; mi facevi gli occhietti languidi e piagnucolando, supplicavi: “Mamma, vorrei stare con te. Tu sei più bella della maestra. Domani, portami a scuola domani!”
   I compiti a casa non rientravano nelle tue corde e nonostante cercassi di richiamare pazientemente la tua attenzione, per spiegarti gli argomenti di turno, avevi la testa fra le nuvole. Crescendo la situazione non cambiò, scarsa concentrazione e disamore per lo studio; gli insegnanti, da me contattati per darti lezioni di recupero, furono sconfitti dal tuo diniego allo studio. Ricordo la frase del tuo papà al primo superiore, quando si seppe della tua bocciatura: “Avrai i capelli bianchi, ma, sinché non otterrai il diploma, andrai ancora a scuola!” Ce la facesti e con grande stupore di noi tutti varcasti l’entrata della “Facoltà di Scienze Politiche”.
   Ero contenta, ma al tempo stesso preoccupata: continuavi ad amare il passatempo che certamente è sano piacere se fatto nei limiti, ma tu prediligevi gli eccessi, come molti giovani. Eri un appassionato della musica, suonavi, infatti, la tastiera e il pianoforte accompagnandoti con la tua voce e mi sarebbe piaciuto che approfondissi  con lo studio quella inclinazione, invece preferivi farlo come diversivo e ritrovavi il piacere musicale frequentando assiduamente le discoteche, per cui i tuoi rientri a casa erano a notte fonda. Ero costretta ad attenderti nella sala d’ingresso per non svegliare il resto della famiglia e per non udire le lamentele di tuo padre che per punizione avrebbe voluto lasciarti fuori.
   “Ma ti sembra questa l’ora? ti dicevo ogni volta”Non potrai essere produttivo. Devi andare in Facoltà. Devi preparare l’esame! Sono sempre in ansia per te!”
   “Tranquilla, mamma! Buonanotte, mamma!” e giù carezze e baci a profusione. Un ragazzo affettuoso, solare e… giocherellone. Un ragazzo amante della vita e delle belle ragazze. Quante voci femminili udii al telefono durante quegli anni? Non ricordo. Eri molto gettonato e, fra le tante ragazze, con due in particolar modo imbastisti una storia seria con relativi impegni e doveri familiari. Ma la vita da buontempone amante delle discoteche ancora ti apparteneva, come anche le uscite ogni sera con gli amici anche prima d’un esame e dopo aver accompagnato a casa la fidanzata di turno.
   Gioco, ancora gioco e lamentele di tuo padre che ti riteneva un farfallone superficiale. Mi facevano male quelle lamentele e forse ferivano più me: tu con il tuo solito sdrammatizzare non abbandonavi il sorriso che conquistava il mio cuore, sorriso che si spense il giorno in cui una ragazza ti ferì, facendoti false promesse nelle quali credesti per amore. Il tuo cielo divenne buio e la depressione s'impossessò di te, il ragazzo amante della vita divenne un automa dagli occhi spenti che fece tribolare parenti e amici; tutti si prodigarono per te ed io… io pregai e poi pregai. Il miracolo si compì: sulla tua strada comparve lei, la mamma della tua bimba, colei che, poi, è diventata tua moglie, una ragazza che ha mutato la tua esistenza facendo di te un uomo realizzato e appagato. Le sue attenzioni e il suo amore hanno trasformato il ragazzo giocherellone in un uomo attento, in un marito e padre perfetto. Quando ti vedo nella tua casa così premuroso e solerte, mi sento fiera di essere tua madre, ma la mia riconoscenza va a lei che ha inondato il tuo cuore di amore vero, donandoti sicurezza che si è tramutata in maturità.
   Tre traguardi importanti hanno costellato la tua vita.
   Ripenso al giorno della seduta di Laurea in cui fra l’emozione generale discutesti la Tesi in “Processi Decisionali Della Nato”. Stupore e batticuore dei tuoi parenti stretti: non vedendoti assiduamente sui libri, credevamo che non sarebbe giunto quel giorno, credevamo che il ragazzo superficiale non sarebbe mai entrato nell’Aula Magna dell’Università e, invece, articolasti il discorso con fluida padronanza che lasciò tutti a bocca aperta. Quel giorno mi chiedesti: “Sei felice, mamma? Sei felice?”
 Ripenso al giorno del tuo matrimonio. Il turbolento percorso sentimentale, faceva presupporre che non avresti avuto una famiglia come tu desideravi: nonostante le molte avventure e fidanzamenti franati il tuo modello di vita era la famiglia. Che dolce magia fu l’attesa in chiesa prima della cerimonia! Ti rivedo sull’altare mentre attendevi con trepidazione l’amore vero della tua vita e rivedo la luce dei tuoi occhi che si proiettò sui miei già umidi per l’emozione. Durante il ricevimento di nozze anche quel giorno mi sussurrasti: “Sei felice, mamma? Sei felice?”.
    Alla nascita della tua splendida bimba e al festeggiamento del Battesimo, le mie considerazioni hanno ripercorso un viaggio a ritroso, il mio cuore commosso e fiero di te non ha potuto fare a meno di riflettere su ciò che tu esordisti quel giorno in seduta di Laurea: “E’ risorto dalle ceneri in nuova vita!”.

lunedì 17 marzo 2014

Triste realtà

                          

   Un comportamento irreprensibile riceve rispetto,  così come una professione dignitosa lo merita altrettanto. Siamo portati a giudicare le apparenze e il ruolo, credendo che quell'aria perbene e professionale comporti una certa morale. 
   E' vero anche che non ci stupiamo più di nulla: sono all'ordine del giorno eclatanti notizie di personaggi rinomati che offendono la morale. Gente prestigiosa alla quale il successo e il denaro non procurano più piacere, persone stanche dei traguardi ottenuti e del vivere bene, persone alla ricerca del piacere illecito. 
   Una professione di tutto rispetto, una bella famiglia, una casa prestigiosa, il conto in banca, auto di lusso, e altro ancora non bastano a donare gioie, mentre il non consentito, il torbido procura brividi. E allora cosa c'è di meglio se non una tacita ricerca del piacere più perverso tramite uno schermo, dove è possibile acquistare ogni cosa: non ci sono limiti ai desideri.
    La merce appetibile è lì adescatrice, basta falsare qualche particolare e il gioco è fatto, anzi l'eros è cosa fatta. Anonimi alloggi accolgono la merce di scambio, merce ancora da plasmare, merce che svende anche la sua anima per pochi soldi, persino per una ricarica di cellulare. 
   La pelle mi si accappona al pensiero che dei corpi in erba all'insaputa dei loro genitori si sdraino su letti di piacere per soddisfare le voglie di maiali in cashmere, lerci danarosi a capo di istituzioni rispettose o facoltosi insospettabili facenti parte di quell'elite così ben rappresentata nel film "La grande bellezza".
   La tecnologia ha facilitato la vita, l'ha resa più veloce, si comunica oltre oceano con un clic, e i giovanissimi imparano ben presto questa rapida comunicazione, si appartano nelle loro stanze e navigano per cieli sconosciuti.  
   Ma anche sapendo bene che non è facile un controllo a tutto campo, verrebbe da chiedermi: " Dove sono i genitori di questi adolescenti che entrano nelle gabbie dei leoni? Perché non li si tormenta ogni giorno con raccomandazioni sul valore della vita che anche se in questo momento non offre prospettive, è comunque un dono da non imbrattare? Un dono da coltivare come un fiore in boccio, affinché nessuno debba precluderne la fioritura profumata."
   La prostituzione giovanile è una piaga insidiosa e a volte nonostante un genitore sia presente e si prodighi per il bene, serpi velenose riescono a plagiare le giovani anime. 
   Anni fa mi fu raccontata una storia vera accaduta molti, molti anni addietro, una vicenda che si consumò tragicamente quando ancora internet non aveva fatto il suo ingresso; chi ci rimise la vita fu il padre sconvolto: scoprì sua figlia senza nulla addosso in una camera di un anonimo postribolo. Il povero genitore vegliava, era presente, accompagnava la ragazza a scuola dalle suore, eppure lei con una scusa tornava indietro per recarsi in quel "luogo", forse anche lei subì l'influenza di una mente malata o invidiosa, eppure quella ragazza aveva una famiglia unita che l'amava e che lasciò a lei la scelta dell'istituto. 
   E' difficile il mestiere di un genitore, chissà perché accade comunque di sbagliare, quindi non sempre esiste la ricetta giusta, ma nonostante tutto non bisogna abbassare mai la guardia, un adolescente va seguito sempre con tanta pazienza e amore: la zizzania velenosa spunta all'improvviso!    

sabato 8 marzo 2014

Riflessioni di lettura

                                                                
                                                                  
                                    

   Quando una poetessa decide di scrivere di sé lo fa con una sensibilità diversa, anche perché raccontarsi, è come denudare la propria anima. Ma Cristina sceglie un tipo di narrazione a volte ironico che non stanca il lettore e soprattutto non tenta d’intenerirlo con patetiche sdolcinature. Una narrazione non consequenziale e il ricorso a flashback danno vita alla struttura di questo romanzo autobiografico.
   L’uomo nero, il carbonaio, apre il romanzo, è colui che è rimasto impresso nella memoria della bambina autrice, è quella figura che incuriosiva e forse atterriva; la moglie di costui, anch’essa dall’aspetto poco consolatorio, vendeva il ghiaccio e la bimba Cristina vi si recava per acquistarne: al tempo non esistevano i moderni frigoriferi e  le bambine svolgevano mansioni che non penseremmo mai ai giorni nostri. Il primo capitolo è dedicato all’infanzia vissuta anche con i nonni e ci fa conoscere le abitudini dell’epoca in cui l’aggregazione familiare era la normalità: tutte le mansioni si svolgevano nella medesima stanza ove poco arredo assolveva al compito. E sarebbe stato bello se fosse continuato: il collegio divenne il nuovo habitat di Cristina che conobbe il disagio delle camere fredde e buie e la sofferenza delle ingiuste punizioni. Sua madre quando seppe la trasferì in un altro collegio che non potette frequentare sino al compimento degli studi nei quali brillava: doveva occuparsi del fratellino appena nato. E poi a diciotto anni la violenza subita e non compresa, dicevano di lei che se l’era cercata. Allora il volo dal quarto piano e restare in coma, risvegliarsi e affrontare i dolori di un corpo fratturato, lunga fu la ripresa nel corpo e nello spirito. 
   Il matrimonio, la nascita di quattro figli, viva per miracolo ancora una volta in seguito a interventi importanti e la rinuncia alla proposta di realizzarsi nel campo dell’arte. L’amore per la lettura sarà l’appagamento consolatorio che le donerà quelle risposte cercate e quella sete del sapere. Tutti momenti che hanno caratterizzato la vita dell’autrice, momenti di vita sofferta che ha imposto dei sacrifici, ma anche pagine di aneddoti godibili di vita familiare e amicale. In seguito la gioia di poter esternare le emozioni attraverso la scrittura che diviene sinfonia poetica alta: sarà la poesia a far apprezzare le doti creative di Cristina, il web le donerà quelle soddisfazioni meritorie e gratificanti.
   Le parole sono per Cristina come le note di un pentagramma che si stampa nel cuore e nella mente con i suoi ritmi e le sue melodie, e in questo libro ritroviamo la purezza della sua scrittura, la sua armoniosità che ripercorre il passato sino al presente, storia di una vita che non va dimenticata.

  

sabato 1 marzo 2014

Impressioni di lettura

                                                         
                                            

   Conoscevo Vauro Senesi per le sue vignette dalla satira accattivante e mai banale: quando il pensiero si veste d’ironia sarcastica, puntando il dito sui difetti, presunti errori, distrazioni, manchevolezze del malcapitato di turno, e diviene un gradevole disegno sul quale sorridere nonostante sia una caricatura, allora stiamo parlando di un vignettista capace di suscitare ilarità e non risentimento,Vauro appunto. Ciò che non mi aspettavo, invece, era di leggere un romanzo di Vauro intitolato "Storia di una professoressa" e provare emozioni diverse dalla sua satira vignettistica: in questo libro ho scoperto uno scrittore sensibile dalla penna fluida che non lascia spazio alle interruzioni; in quarta di copertina è scritto che le sue sono storie di vita che sanno raccontarne molte altre.
   Il mestiere d’insegnante se fatto con passione è una missione e Ester, la protagonista della storia, è una professoressa speciale che si prende a cuore i suoi ragazzi particolari; sono i figli disagiati dall’infima condizione sociale, sono i figli degli ultimi strappati al loro destino di esclusione, ma sono anche quei ragazzi che non hanno avuto la fortuna di nascere fisicamente normali e vivono la diversità scomoda a scuola. Ester si approccia a questi ragazzi diversi sin da giovane studentessa,  quando il prete del suo paese crea il doposcuola per quegli scolari meno dotati e scarsi nell’apprendimento. Attraverso la vicenda di Ester, Vauro ripercorre quarant’anni di storia italiana che va dagli anni sessanta sino ai giorni nostri, storia della scuola ma anche della società e degli accadimenti che caratterizzarono quel periodo: la ribellione scolastica, il mutamento sociale, gli attentati e il cambiamento di studenti che in seguito a quelle stragi mutarono il loro pensiero.
   Vauro ci fa conoscere Ester sin dall’infanzia che la vede amata dalla famiglia costituita oltre che dai genitori e una sorella, anche dai nonni figure portanti. Lei comincia la sua formazione scolastica presso le suore delle quali porterà sempre con sé un amabile ricordo, in particolare l’affetto di Suor Veremonda dotata di sensibilità e amore per l’insegnamento. Ester conserverà con cura un dono speciale della sua suora preferita, un fiocchetto rosso premio elargito alle scolare meritevoli.
   L’adolescenza la vede studentessa liceale che prova attrazione per un ragazzo universitario più grande di lei di sette anni, Giovanni, il suo primo amore, e con lui diventa donna e sperimenta la convivenza lasciando la famiglia non ancora maggiorenne. Il rapporto con Giovanni futuro marito ha alti e bassi e durante una momentanea separazione, Ester, divenuta ormai professoressa, vive un altro sentimento che le farà comprendere l’importanza del suo primo amore. Ester professoressa si troverà così a dover seguire quei ragazzi difficili dallo scarso apprendimento e lo farà anche nelle vicende personali; unico obiettivo donare loro una speranza, ragione di vita e sarà proprio quella a stimolare l’interesse e il miglioramento intellettivo. L’amore che sente per i ragazzi lo dona con tutta se stessa anche al figlio adottivo nato con un deficit dell'ormone della crescita, lei non si scoraggerà e sarà una madre eccezionale: il suo amabile Simone farà progressi, ma non per sempre e questa vicenda dolorosa la segnerà, sarà l'insegnamento a riportarla alla vita.
    Il romanzo è scritto in prima persona e lo scrittore ringrazia la professoressa Ester per la generosità con cui gli ha donato la sua dolorosa storia e la ringrazia anche per tutto ciò che ha dato a suo figlio che ha avuto la fortuna di essere suo alunno . I ringraziamenti proseguono anche in quarta di copertina dove è scritto: “A Ester e ai migliaia di insegnanti che ci credono ancora e che non hanno tappi di cera nelle orecchie.”