domenica 26 maggio 2013

Un popolo memorabile

                                  

   Una domenica sera di fine maggio, l'aria è fresca e poco estiva, chi questa mattina aveva voglia di una capatina al mare sicuramente ha dovuto rinunciare, i mattutini raggi solari a tratti coperti da nuvole birichine non hanno riscaldato a sufficienza e la gente ha tirato fuori dai bauli i golf invernali. Mentre scrivo ho ancora davanti le immagini di un passato molto remoto, un passato che mi ha sempre affascinato più di qualunque altro: la vita dei faraoni, uomini pregni di un protagonismo smisurato, uomini che hanno lasciato un segno unico e straordinario.
   I faraoni egizi, dopo tremila anni  di storia ancora suscitano interesse: questi sovrani hanno consegnato ai posteri costruzioni imponenti e ricche di fascino, costruzioni che continuano ad essere oggetto di studio e lo saranno anche in futuro; un importante archeologo in una recente intervista ha affermato che c'è tanto ancora da riportare alla luce e gli scavi si susseguiranno per un periodo che non si conosce.
   I faraoni realizzarono il loro sogno, il passaporto per l'eternità, grazie ai progetti particolareggiati d'ingegneri e di architetti dotati di una maestria e di un talento eccezionale, e grazie anche agli artigiani capaci anch'essi di un'abilità fuori dal comune. Le enormi costruzioni erano abbellite da obelischi, monumenti celebrativi posti all'ingresso dei templi, questi obelischi superavano in altezza i templi stessi. Gli artigiani svilupparono la tecnica dei muretti realizzati con i mattoni di fango, mattoni leggeri e maneggevoli che posizionati uno accanto all'altro creavano l'effetto muro, al quale veniva lasciato volutamente un'apertura superiore riempita di sabbia nella quale calavano l'obelisco; facendo fuoriuscire la sabbia dalla parte sottostante del muro, l'obelisco imponente, alto anche più di quaranta metri, si posizionava eretto, il muretto di mattoni di fango veniva rimosso e l'obelisco restava in piedi senza aver lasciato traccia del procedimento precedente. Incredibile! Eppure questa è la spiegazione che ho ascoltato ieri sera in un documentario molto interessante, preferisco questo genere di programma ai soliti noiosi film o trasmissioni sciocche e poco formative.
   Il culto dell'eternità, il parossismo dell'ideologia della vita oltre la morte secondo i loro canoni, un risveglio corporeo della famiglia sovrana nello stesso ambiente lussuoso appartenuto in vita. Questa concezione fantastica, comunque, ci ha consegnato meraviglie monumentali che saranno sempre oggetto di studio; l'eternità i faraoni in fin dei conti l'hanno realmente conquistata, un passaporto forse eterno e straordinario che continua ad affascinare ora e sempre, peccato che essi continuino ad osservarci dai loro sarcofaghi.

martedì 21 maggio 2013

Solo vanità

              


   Essere sicuri di se stessi, guardarsi allo specchio e trovarsi gradevoli, ma non solo: ritenersi davvero affascinanti, particolarmente belli e godere di questo privilegio. 
   L'immagine di noi ci piace e ne siamo fieri, a volte ci capita di trovare qualche particolare poco piacevole, magari quel giorno avevamo un capello fuori posto, o una macchiolina sul viso, era spuntato persino un brufolo lì sul naso, caspita che guaio! Ma il giorno successivo, la piccola macchia è notevolmente affievolita, quasi scomparsa, il brufolo è avvizzito assieme alla sua escrescenza tanto fastidiosa e ci osserviamo fieri: siamo ancora noi, incantevoli come non mai, belli come il sole. Ah che goduria, poter guardare il mondo dall'alto delle nostre convinzioni che ci fanno sentire un gradino più su dei comuni mortali! 
   Siamo dei narcisi, e allora? Che male c'è ci diciamo, noi siamo noi e basta: gli altri sono da meno, molto da meno. Guarda quel tipo che rozzezza, che bruttezza, che poca classe, mentre noi siamo perfetti e ci pavoneggiamo. Lo specchio è il nostro unico amico, egli sì che se ne intende. Allora ci spiamo ad ogni passaggio e se non ci fosse lo cercheremmo: facciamo in modo che si crei il momento sperato e se non c'è nessuno all'orizzonte schiocchiamo baci alla nostra bella visione.   L'apparire conta molto e cerchiamo di valorizzarlo al massimo secondo i nostri canoni, facciamo a meno anche di quelle cose che sarebbero più importanti, poco importa. E la bellezza interiore? O quella ce l'abbiamo, crediamo di possederla, perché secondo noi ciò che è bello fuori è bello anche dentro e la nostra anima ha la stessa veste del suo corpo, questo crediamo. 
   Infatti, un corpo che si esalta ha un'anima solo egocentrica: la modestia è una virtù sconosciuta e la generosità altrettanto; il raziocinio, poi, è un lume che non sa accendere!

lunedì 13 maggio 2013

Adorato maialino

              

   Si apre una nuova settimana, bello esserci! Bello poter essere qui a pigiare tasti nella speranza che nascano idee. Bello leggere i vostri pensieri. Bello organizzarsi la giornata che, se anche fosse sempre uguale, è comunque la nostra giornata. 
   I problemi sono sempre gli stessi: spiragli di cambiamento sembrano confusi, ingarbugliati. Ma il sole è sorto ancora una volta per noi, abbiamo guardato il cielo, sereno o velato o completamente coperto, è pur sempre il nostro cielo: quello non ce lo toglie nessuno, che meraviglia! 
   E allora? C'è che, nonostante tutto, sinché ci siamo e la vita continua tutto potrebbe accadere, tutto potrebbe risolversi.
    Il ministro dell'economia ex direttore della Banca d'Italia, Fabrizio Saccomanni, più aperto al sociale e con un orientamento più morbido, in un'intervista ci ha rassicurati sulla crisi attuale. Lui ha vissuto varie crisi e sostiene che anche questa passerà, perché quando c'è un problema anche se importante, il dopo nel rinnovamento è senz'altro migliore. 
   Devo crederci, dobbiamo crederci? Ma certamente: non abbiamo altra scelta e la positività conforta ed aiuta a trovare nuove strategie per il benessere pubblico. 
   Rivedremo un maialino più in carne, meno ossuto e con un aspetto più florido? Torneremo a dare nutrimento al nostalgico salvadanaio, tintinnante di monete festanti che tornavano utili nei momenti più disparati? Quante situazioni divenivano risolvibili con quei risparmi, non solo la fascia d'età giovanile, ma anche quella più matura si affidava ai risparmi per una spesa extra. Ricordo che una signora di mia conoscenza, accantonando volutamente solo i due euro, riuscì a fare un acquisto importante e l'anno successivo andò in ferie. Ora quelle monete sono utili nel quotidiano e i maialini denutriti hanno smesso di suonarci il suono melodioso. Ma la ripresa è alle porte, speriamo!

mercoledì 8 maggio 2013

Ulteriore rinuncia

   (Ripropongo, per la dolcezza del tema, un mio passato racconto: amore è anche rinuncia incondizionata.)


                      

                                                         

   Si librò in volo disperata per l’estremo viaggio: le certezze erano cresciute assieme all’unica convinzione che si frantumava. Angelica tornò da quel limbo lontano e ripercorse il tunnel che la fece riappropriare del suo corpo dolente, salvo per miracolo. Lunghi giorni di degenza sofferta e di cure mediche restituirono ad Angelica il suo splendido corpo, assieme alle ferite dell’anima che furono risanate da Carlo, fedele compagno di studi. L’amore fu l’unguento per quelle ferite sanguinolenti che si rimarginarono e la fecero tornare alla vita.
   “Vuoi tu Carlo, come tua sposa la qui presente…”
   Il rito solenne unì in matrimonio i due giovani che partirono per trasferirsi in un’altra terra; nuovi orizzonti, nuovi profumi e nuove culture.
   Angelica aveva lo spirito creativo, al liceo artistico dipingeva con maestria e nel matrimonio trovò maggiormente la sua ispirazione; dalle sue mani nascevano dipinti impressionisti di pregio, per lei mostrare l’opera a suo marito era una gioia senza pari. Albe e tramonti si susseguirono nella scena della sua vita che fu radiosa, lo spettro lontano della morte voluta era sepolto nel suo cuore in festa.
   Angelica fu amata e ricompensata dalla nascita, in breve tempo, di quattro figli ai quali lei si dedicò, mettendo da parte la sua arte.
   A nulla valsero le esortazioni sincere e cortesi d’un successo artistico, a nulla valse un invito al vernissage allestito per lei dal premuroso Carlo che volle stupirla, organizzando la mostra a sua insaputa. Angelica mise in primo piano la famiglia e scelse lei.
   Mai un giorno, affiorò nel suo cuore il tarlo dell’insoddisfazione, mai si sentì perdente o frustrata: la vita terrena l’aveva ripresa fra le sue braccia, donandole la maternità nella quale si specchiava fiera.
   Erano trascorsi quindici anni, il suo uomo era sempre innamorato e fedele, i ragazzi stavano crescendo ed Angelica cominciava ad avere più tempo per se stessa, per i suoi spazi; stava riprendendo in mano la sua passione e guardava al futuro rimembrando quelle proposte passate e poi scacciate.
   Quando tutto brillava, si riaffacciò la sofferenza: un’emorragia di sangue fu determinante per un ricovero d’urgenza. All’età di trentasei anni, Angelica fu privata dei suoi organi riproduttivi; un carcinoma all’utero, radicato nella sua intimità stava ramificando in essa. La pianta malvagia fu estirpata assieme alle sue metastasi ed Angelica per una seconda volta tornò in vita, tornò ai beni terreni ed ai suoi cari.
   Quella insoddisfazione che non l’aveva sfiorata con la rinuncia all’arte, ora stava nascendo in lei: il caro Carlo, l’amorevole marito era cambiato, lei sentiva che lui non le apparteneva più. Dolcemente e velatamente egli non la considerò più donna: sera, dopo sera alzò un muro invisibile. Durante il giorno il comportamento non era mutato, Carlo era sempre lo stesso marito, lo stesso padre esemplare, ma la sera egli faceva in modo che non si creasse il frangente amoroso carnale.
   Angelica si sentiva rifiutata. Era una splendida ragazza, la maternità aveva abbellito il suo corpo armonizzandolo, qualunque uomo si sarebbe acceso di desiderio per lei che era l’incarnazione della sensualità. Passavano i giorni e Carlo non mutava, la verità era che lui vedeva sua moglie come un vetro rotto e poi incollato, temeva di infrangerlo e non osava confidarsi con lei. I silenzi divennero agghiaccianti e quando lei chiedeva spiegazioni, lui evadeva il problema e con estrema abilità riusciva a schivare le risposte.
   La rabbia cresceva nel cuore della donna che alla fine stanca si rassegnò a condurre  una vita da asessuata e nuovamente si specchiò nei suoi figli, come per l’arte alla quale rinunciò, per amori dei suoi gioielli accettò la mancanza d’amore carnale in nome della famiglia unita. Condussero una vita di facciata, nessuno s’accorse mai che quella coppia esemplare era unita solo da amore fraterno, il loro comportamento non faceva supporre quella divisione forzata.
   Angelica, anche non avendo la luce nel cuore, trovò la pace nelle sue opere artistiche che realizzò per lei e per i suoi figli ormai sposati e si dedicò alla scrittura di liriche profonde.
   Lei e suo marito conducevano due vite parallele che non s’incrociavano, due binari dello stesso treno che si guardavano senza sfiorarsi.
   Poi un giorno Angelica si iscrisse ad un corso d’informatica, suo figlio maggiore le aveva regalato un computer portatile dicendo: “Mamma, impara ad usarlo, lì c’è tutto un mondo, potrai mettere le tue poesie in vetrina ed interloquire con altri artisti.”
   Scoprì così quel mondo e dette uno scopo alla sua esistenza, in breve tempo divenne tanto brava da occuparsi di un blog tutto suo dove ben presto fu apprezzata ricevendo consensi ed elogi. Lei era per gli amici del Web la poetessa dall’animo gentile, l’artista a tutto tondo che finalmente pubblicò una silloge di poesie , recensita da un critico importante. Internet divenne la sua vita e le fece ritrovare l’amore, un amore virtuale fatto di confidenze, di rime baciate, di spiritualità elegante, di comunicazioni telematiche. Il desiderio sopito negli anni tornò a riaccendersi ed a bruciare ardentemente, la comunione spirituale elevò ad alte sfere quel puro sentimento. L’utente innamorato era tanto più giovane di Angelica, li separavano più di quindici anni, ma nella visione attraverso uno schermo l’età non conta, l’immagine di un viso telegenico migliora.
   Flavio, nonostante avesse un matrimonio stabile e volesse bene alla sua famiglia, si innamorò perdutamente della poetessa gentile, si innamorò della sua essenza, della sua spiritualità, del concerto delle sue parole.
L’appuntamento in rete quotidiano divenne vitale per entrambi: essi si raccontavano, condividendo i momenti della giornata; Angelica dimenticò le sue pene e si animò di nuove energie. La luce traspariva dal suo volto che ringiovanì, assumendo i passati bagliori. Flavio premeva d’incontrarla: era stanco di quell’amore virtuale e lei tornò a tribolare, a macerarsi nel groviglio interiore.
   “Non posso.” diceva accorata. “Non potrei guardare in faccia i miei figli, in passato ho scelto loro ed ora non posso tradirli!”
   “Una volta sola, mio sublime amore.” supplicava Flavio attraverso il video.
   Condividevano la passione per l’opera, tante volte si erano soffermati sui vari autori e sulle loro composizioni. A Milano inauguravano la stagione teatrale con la prima della Boheme di Puccini, Angelica per quella serata speciale aveva ricevuto l’invito da suo figlio, professore al Conservatorio, e lei lo comunicò a Flavio.
   “Se vorrai vedermi di persona, sarò a teatro con mio figlio. Quando mi vedrai non mi amerai più e capirai che sono vecchia per te.”
   Il Teatro alla Scala pullulava di gente elegante e ricercata, era tutto un vociare sommesso che attendeva. Lei fra la gente intravide Flavio che le sorrise languido. Le note di “Una gelida manina” non riuscirono a mitigare le sensazioni esplosive del suo cuore, cercò di darsi un tono,  non voleva che suo figlio s’accorgesse. Alla fine della rappresentazione, tanti s’avviarono ai ridotti, altri all’uscita, Angelica seguita dal suo primogenito stava per lasciare il teatro, quando fu avvicinata da Flavio.
   “Signora, ha perso il libretto. Prego, l’ho recuperato per lei.”
   “La ringrazio, molto gentile.” rispose imbarazzata con voce tremante.
   Tornata a casa, nella solitudine della sua camera privata, quella in cui s’appartava per creare e per interagire con gli utenti del Web, sfogliò quel libretto e vi trovò una dedica.
   “Rosa delicata, vorrei coglierti ora, vorrei sfiorarti, vorrei farti mia!”
   Si commosse e si fece forza, mentre calde lacrime rigarono il suo volto. Accese il computer, si connesse ed inviò un messaggio privato a Flavio.
   “Non potrò mai essere tua, ancora una volta ho scelto ‘loro’, le mie creature adorate.”   

giovedì 2 maggio 2013

Gruppo 63




   Cinquant'anni fa a Palermo nasceva un movimento letterario definito "Gruppo 63" che, contestando la letteratura tradizionalista degli anni cinquanta, criticava fortemente autori consacrati quali Vasco Pratolini, Cassola e Bassani ironicamente definiti Liale, in riferimento ai romanzi rosa della scrittrice Liala. Nel gruppo, formato da giovani intellettuali appartenenti alla neoavanguardia, facevano parte scrittori, poeti, critici desiderosi di sperimentare nuove espressioni in assoluta libertà di contenuti che introdussero un rinnovamento nella letteratura italiana così chiusa e tradizionalista. Alcuni autori, tanto per citarne qualcuno: Nanni Balestrini, Furio Colombo, Umberto Eco, Edoardo Sanguineti, ecc. erano animati dal desiderio di dare uno scossone alla vecchia letteratura; erano degli intellettuali che furono considerati cerebrali.

Fra i tanti del gruppo propongo una poesia di Edoardo Sanguineti, poeta, critico, saggista; un tributo in rosa alla donna. Sanguineti diceva che l'arte per essere autentica, deve uscire dai limiti della normalità borghese.

Ballata delle donne
Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.

Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.

Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.

Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.

Femmina penso, se penso l'umano
la mia compagna, ti prendo per mano.


Il Gruppo 63 si sciolse nel 69, ma influenzò le scelte di varie collane editoriali.

mercoledì 1 maggio 2013

Primo Maggio

            

   
   Proclamare oggi una festa che non la rappresenta più, è davvero avvilente. "Festa dei lavoratori", ma quali? 
   
   Ovvio ci sono anche coloro che lavorano, altrimenti avremmo un Paese allo sfascio totale, avremmo una terra desertificata perché abbandonata. 
   
   Ma una nazione non si fonda soltanto su alcuni lavoratori che, tra l'altro, diminuiscono a causa di quegli altri non occupati i quali, non avendo reddito, non contribuiscono all'economia. 
   
   Il lavoro che c'è ancora s'impoverisce e quelle imprese che nascono in contemporanea a quelle che muoiono, a loro volta dopo un po' soccombono. Troppi costi lavorativi! 
   
   Discorsi e parole ascoltate e riascoltate, ma abbiamo un governo che pare animato da buone speranze che si vanificheranno se non potrà esercitare il suo lavoro e non verrà ostacolato da chi ama dissentire per ogni cosa: anche il governo ha lo stesso problema, svolgere il proprio lavoro. 
  
   Con queste aspettative "BUON PRIMO MAGGIO A TUTTI!"