mercoledì 26 novembre 2014

Solo un paio di scarpe

   

   Il buio la circondava, la opprimeva; quella stupida convention le aveva allontanato il suo uomo. Era talmente abituata a coricarsi con lui che le sembrava insolito essere da sola; tra l'altro aveva paura del silenzio della casa: si affacciavano nella mente strani racconti, parole ascoltate e captate durante le visite alle zie single per vocazione o per mancanza d'amore.
   Un sibilo, un tramestio, ma cosa andava a pensare, persino il suo respiro le pareva qualcosa di sospetto; decise di accendere la tv, ma avrebbe dovuto cercarsi il telecomando e collegare prima la spina che sistematicamente staccava ogni mattina. Scese dal letto e si mise alla ricerca dell'oggetto sospirato, rivoltò le lenzuola, guardò sulla poltrona in damasco che aveva acquistato dall'antiquario. Che bella, pensò, bella e di valore, faceva sempre dei buoni affari: con il suo fiuto da intenditrice riusciva a portarsi a casa oggetti di qualità e a un prezzo conveniente.
   Oramai che era in piedi si chinò per terra e guardò sotto il letto, quanta polvere, allora la domestica non puliva le parti nascoste, si disse. Pazienza doveva cercare lo stesso, temeva che fosse andato a finire fra i piedini delle reti dei materassi. Prese una torcia e scrutò, s'infilò sotto il letto quando vide due scarpe più in là, erano da uomo: attraverso lo spiraglio di luce individuava solo quelle. Oddio allora non aveva fantasticato, non si era lasciata trasportare dalla paura sciocca della casa vuota: lì c'era un uomo che l'avrebbe presa, malmenata e poi stuprata, magari sarebbe pure morta ammazzata dalla bieca spietatezza dell'uomo senza volto al quale, per ora, gli attribuiva solo un paio di scarpe.
   Scarpe di qualità, di stile inglese e di bella fattura, sicuramente un prodotto artigianale: quello sconosciuto si era intrufolato in casa sua non per estorcerle denaro, ma con il preciso scopo di farla soffrire e poi violentarla. Ma cosa gli aveva fatto? Quindi lo conosceva, un attimo... forse un suo paziente esasperato dai rapporti stanchi con la moglie, ma certo quel tipo che non riusciva ad avere un amplesso decente: era un frustrato che aveva in testa il tarlo della competizione da quando la sua donna gli aveva detto che il suo ex faceva meglio l'amore. Eppure credeva di averlo guarito da quel complesso. Un giorno era tornato da lei felice: la notte prima era stata un successo e sua moglie gli aveva dato un dieci e lode. Ma allora non era vero, si era inventato tutto per non continuare la terapia con lei, sessuologa per vocazione. Aveva scelto quella professione sin dal primo anno d'università, quando vide, attraverso la fessura della porta, sua madre che piangeva e suo padre che le diceva di non valere nulla come donna, urlandole: "Sei una frigida!"
   Rimase lì sotto immobile con le sue congetture e non discostava lo sguardo da quel paio di scarpe, ma come mai non si muovevano, erano sempre nella stessa posizione, oh signor che faccio ora, si disse? Perché Umberto l'aveva lasciata in casa da sola, perché non le aveva chiesto di andare con lui? Del resto la convention capitava nel fine settimana e lei non apriva lo studio, a volte, neanche di venerdì pomeriggio. Forse il suo uomo aveva inventato tutto per farsi un weekend con la sua amante, magari una ragazza giovane che aveva conosciuto in ateneo, lui era un docente fra i più giovani e stimati, ed era anche un uomo di fascino che aveva rivolto gli occhi su di lei innamorata persa del professore già da un bel tempo. Sto invecchiando, pensò, ho quarant'anni e comincio a notare qualche segno d'espressione, il mio corpo non è più turgido come quello di una ragazza e Umberto se non mi ama più, sta notando i miei cambiamenti. Però quelle scarpe sono sempre lì, che faccio, devo prendere una decisione, si disse: non posso restare qua sotto in eterno, tra l'altro sono anche stanca e comincio ad aver freddo.
   Si guardò attorno e vide una piccola asta, ma si era quella che le era sfuggita qualche giorno prima, mentre cercava di recuperare una gonna posizionata nella parte alta del guardaroba. Le piaceva indossare gonne, a Umberto piacevano le sue gambe, diceva che si era innamorato prima di quelle. Umberto, Umberto, dove sei, perché hai deciso di tradirmi? Mi avrai sulla coscienza!
   "Amore, sono tornato, c'è uno sciopero all'aeroporto. Ma guarda, ho lasciato qui le mie scarpe preferite!"

lunedì 24 novembre 2014

Ammirazione

         
 

   Il fascino è solo nell'esteriorità? Moltissime volte è stato affrontato quest'argomento, ma nonostante il già detto oggi mi va di scrivere sull'interiorità, sul fascino che conquista per ragioni diverse dall'aspetto esteriore destinato a deteriorarsi.
 
   Il fascino della cultura, di una professione di spicco, del talento, della parola, del carattere, dell'umorismo, dell'ironia, sono doti eccelse che non temono il trascorrere del tempo anzi, migliorano con la saggezza dell'esperienza. Ecco... il corpo invecchia, ma la mente se ben custodita acquisisce più bellezza.
 

   La cultura si apprende per forza di cose e s'impara anche per vocazione: occorre conoscere erudizioni per far parte di un mondo civilizzato, l'alfabetismo è sempre più un ricordo, uno scomodo ricordo. La cultura di base serve a sopravvivere e non possiede fascino, mentre la cultura profonda acquisita per passione e impegno ammalia e attrae se l'acculturato possiede anche il dono dell'umiltà: è insopportabile l'ostentazione sotto forma di esibizionismo.
 

   Il fascino della professione, di quelle professioni di tutto rispetto e anche di quelle degne di nota con quell'aura luminosa avvolgente. Immaginiamo un direttore d'orchestra sul podio di un teatro, anche fosse un uomo insignificante, lì con la bacchetta in mano, durante la guida e la coordinazione dei musicisti, acquista il fascino dell'atmosfera e del prestigio. E che dire di un chirurgo durante una lezione d'anatomia chirurgica, anch'egli attrae per l'abilità delle sue mani che delicatamente sezionano e aprono orizzonti affascinanti per gli allievi e futuri medici.
 

   L'arte oratoria incatena le folle, le attrae;  pensiamo a un abile presentatore che sia di piazza o televisivo, sfruttando le sue doti comunicative affascina più del suo aspetto. Sono abili oratori i paladini, si fa per dire, della giustizia: un'arringa avvincente non passa inosservata, un'oratoria se ben costruita anche essendo a braccio ha il potere di concentrare l'attenzione, non sull'aspetto dell'oratore ma sull'abilità che giunge dalla sua capacità interiore.


   L'umorismo e l'ironia vanno a braccetto e sono doti che conquistano gli ascoltatori, difficile restare indifferente a quell'umorismo di classe condito da gradevole ironia. Ma non solo anche gli scrittori adoperano l'ironia per affondare la penna in situazioni delicate: il velato condito da locuzioni piacevoli ha più effetto della cruda verità.
 

   Il talento è una dote naturale, chi lo possiede ha di suo un fascino irresistibile quando il talento è ben sfruttato. L'osservatore conquistato dal talento avrà occhi solo per quella capacità unica e speciale. Ma al talento serve la passione, l'impegno costante, affinché il suo talento dia frutti: le doti naturali vanno coltivate e non lasciate perire dall'inerzia deleteria.
 

   Ci si può innamorare di una persona che sprigiona fascino dalla sua interiorità? Certamente si e quel sentimento perdura se l'aspetto interiore ha un valore aggiunto, quello della modestia. Ma quando la consapevolezza d'essere superiori si vanta dei propri meriti, umiliando chi ha occhi per quella superiorità, il sentimento è destinato a soccombere e l'ammirazione a trasformarsi in dispregio.
 

   Interiorità, ossia aspetto interiore, non appare a prima acchito, ma quando si manifesta a chi sente particolare attrazione per quel genere d'aspetto è qualcosa di magico al quale è difficile resistere. Se poi dovessero incontrarsi le affinità elettive, secondo Johann Goethe, vi sarebbe il connubio perfetto: corpo e anima.

giovedì 13 novembre 2014

Un tuffo nel cuore

                   

   E' una mattinata buia, la pioggia insistente tamburella sui vetri sempre più grondanti d'acqua. Il rumore dapprima sordo diviene poi insistente e l'atmosfera domestica pare amalgamarsi con quella esterna, creando una piacevole sensazione di rilassamento. E' il momento per pensare, per isolarsi da ogni cosa; è il momento per lasciare spazio alle riflessioni, ai ricordi; è il momento per sciogliere le briglie a quei neuroni stanchi di ricevere impulsi, a volte, dettati dalle regole. E tutto rimbalza, si ripercuote, trasporta, apre porte chiuse dal tempo mostrando un mondo che ora appare incantevole, un mondo che si vorrebbe riavere ma che all'epoca non entusiasmava: si ha la capacità di sentirsi inadeguati con quel desiderio di voler vivere una diversità che non ci appartiene. Un tuffo nel passato, quindi, in quel passato dal quale si voleva fuggire e che ora si mostra con occhi diversi, gli occhi della lucidità nata dall'esperienza.
   Perché non sappiamo cogliere il presente come un fiore odoroso? Perché non siamo in grado di vivere in pienezza quei momenti irripetibili nati con noi e dei quali ne perdiamo l'importanza a causa della nostra immaturità o voglia di crescere, di fare esperienze e di voler dimostrare che siamo autonomi e molto più bravi di chi ha già fatto quel percorso da noi intrapreso. Non sempre quel presente è permeato di bellezza, di sentimenti autentici, di amore assoluto e incondizionato, ma quando questi sentimenti veri li riceviamo in abbondanza e li sentiamo come un peso, allora è che non siamo stati in grado di dar valore a quei momenti lontani e irripetibili.
   Da dove nascono queste considerazioni? Forse da una constatazione che il mondo si ripropone sempre uguale e che nonostante cambi la musica, gli stimoli, tutto torna e forse vorremmo che fossero risparmiati dalle stesse riflessioni e ripensamenti le persone care che poi vivranno la nostalgia del tempo andato, proprio come capita adesso a noi. Difficile farlo comprendere in quanto anche noi al tempo eravamo riluttanti all'ascolto e avevamo occhi oltre il nostro confine: il nostro recinto, in definitiva, era per noi privo di bellezza. Ma la saggezza è frutto sempre di esperienze accumulate, di tempo su tempo che scorre lentamente e che vede andar via quelle persone alle quali vorremmo dire: "E' come dicevi tu. Ora so che è proprio come tante volte mi avevi spiegato. Adoro ciò che mi apparteneva. Era adorabile l'esistenza con te!" Solo per un attimo si vorrebbe calpestare quel recinto per accarezzarne l'erba, la nostra erba da prato rustico, un po' spartano, ma con tanta clorofilla che ossigenava il cuore.   
   La pioggia ha smesso di tamburellare sui vetri, il cielo si sta rischiarando e il sole filtra attraverso le persiane spalancate, anche la mente si sta rischiarando, i neuroni hanno vagato e ritornano a fare il loro dovere, quello della consapevolezza delle cose, lasciando da parte i rimuginamenti e la malinconia, cattiva compagna d'inizio giornata. I pensieri ora  si fanno più dolci e lasciano spazio alle attenuanti della formazione e del desiderio di voler staccare quel lembo di sinapsi emozionale. Se la vita si ripete, una ragione deve esserci, e in natura è altrettanto: la maturità è un processo lento!       

martedì 4 novembre 2014

Riflessioni di lettura

Ripropongo questo romanzo di un autore annoverato fra i massimi scrittori del novecento.              


                               
   

   Lo scrittore ungherese Sàndor Màrai, annoverato fra i grandi maestri della narrativa mitteleuropea, disapprovava il sistema politico del suo paese e per libera scelta girovagò da uno stato all'altro. Inizialmente si trasferì in Germania e in Francia, in seguito, con l'avvento del comunismo nella sua terra, si stabilì dapprima in Italia, presso Napoli, e, poi, definitivamente negli Stati Uniti dove ottenne la cittadinanza. I suoi libri furono banditi dall'Ungheria per molti anni e tornano oggi ad avere il giusto riconoscimento.
    Il romanzo "Le braci" scritto nel 1942 è stato pubblicato dall'Adelphi nel 1998 e tratta il tema della passione umana che continua ad ardere come le braci sotto la cenere. Nel titolo di questo romanzo è racchiuso il filo portante della storia, una vicenda che porterà il lettore sino alla fine in un crescendo di tensioni.
   
   La storia ruota attorno ad un vecchio generale, Henrik, che vive in un castello ungherese in compagnia della sua vecchia tata, l'unica sopravvissuta negli anni; la sua balia lo conosce meglio di chiunque altro e continua a vivere come se il suo compito non fosse ancora terminato. L'altro personaggio è Konrad, amico d'infanzia del generale, entrambi covano nel cuore una brace che non si spegne, un segreto mai affrontato: la passione per la stessa donna, moglie del generale. Essi dopo aver tanto vissuto insieme il periodo giovanile e condiviso emozioni, crescita e vari percorsi, si separano improvvisamente per un periodo lunghissimo e  si ritroveranno dopo quarantuno anni per un confronto sulla memoria, come se fossero vissuti in attesa di quel momento. Un incontro, quindi, necessario: le braci della passione non si sono ancora spente ed esigono un chiarimento.
   “Non credi anche tu che il significato della vita sia semplicemente la passione che un giorno invade il nostro cuore, la nostra anima e il nostro corpo e che, qualunque cosa accada, continua a bruciare in eterno, fino alla morte? E non credi che non saremo vissuti invano, poiché abbiamo provato questa passione? E a questo punto mi chiedo: la passione è veramente così profonda, così malvagia, così grandiosa, così inumana?"
     Il generale ripercorre minuziosamente attimo per attimo i momenti che hanno preceduto l'allontanamento inspiegabile del suo amico. Narra che tutto cominciò durante una battuta di caccia in cui scoprì di esserne il bersaglio e che proprio Konrad, l'amico fidato, avrebbe voluto ucciderlo. Successivamente all'accaduto un'altra rivelazione fece sprofondare Henrik nello sconcerto totale: la presunta infedeltà della cara moglie Krisztina che divideva con lui anche i pensieri del suo diario personale, una persona al di sopra di ogni sospetto per trasparenza e moralità. Le risposte che al tempo avrebbe voluto, non ebbero voce: l'amico partì per l'Oriente e lui, per i pensieri angosciosi che lo affliggevano, preferì trasferirsi lo stesso giorno nel suo casino di caccia che divenne l'abitazione permanente. La moglie continuò a vivere da sola nel castello dove morì dopo un decennio, ma non lo cercò mai; lui arroccato nel suo risentimento fece altrettanto. 
   Il romanzo, dopo aver introdotto il lettore nella vicenda, è incentrato tutto sull'incontro: un monologo di Henrik che rivolge domande all'amico, il quale con il suo tacito assenso fornirà quel chiarimento atteso.
   
   Màrai è un fiume in piena di parole che sgorgano dalla sua penna come una cascata inarrestabile: i particolari e le ricche sfumature rendono la narrazione pregevole; pagine e pagine ruotano intorno allo stesso concetto incatenando il lettore senza mai stancarlo.