domenica 26 ottobre 2014

I pro e i contro del progresso

   Calabria: frode fiscale nella gestione dei rifiuti. Indagati assessore all'ambiente e commissario             

   L'uomo, crea, propone, invoglia, e quella creazione una volta sul mercato diviene di dominio pubblico: tutti ne fanno uso. Vi sono gli esperti che nel tempo valutano la tal innovazione e ne confermano i vantaggi; allora la gente si abitua, mette da parte il passato e dà risalto alla nuova creazione che diviene parte integrante del vivere quotidiano. Le nuove idee abbracciano ogni campo, e ci mancherebbe altro: non si può prediligere un settore o una fascia d'età.
   Prendiamo ad esempio gli spray con propellente oramai vietato, questi spray hanno facilitato la vita degli esseri umani; ogni cosa veniva diffusa nell'aria sotto forma di spray che assieme al prodotto scelto diffondeva anche quei propellenti velenosi per l'ambiente, prodotti chimici che raggiungendo l'atmosfera hanno danneggiato la fascia d'ozono. Le fabbriche emettevano sostanze inquinanti, oramai vietate, le auto producevano scarichi velenosi, le illuminazioni delle città altrettanto, e gli elettrodomestici nel tempo hanno rilasciato dei gas nocivi per l'ambiente; ricordo lo strato nerastro dietro il mio frigorifero e sulla parete retrostante il vecchio televisore a tubo catodico. Poi le vernici non a norma, le costruzioni realizzate con manufatti in cemento amianto, ossia l'eternit, e l'alimentazione? Non siamo stati risparmiati neanche su quella, ogni sorta di prodotto, di coltivazione portava con sé un corredo di schifezze utili solo alla crescita rapida del tal prodotto, uso il tempo passato perché il sistema è cambiato, almeno dovrebbe essere, come anche i controlli sanitari. L'attuale competenza ha scoperchiato pentoloni che bollivano intrugli avvelenati per la gente ignara che nel tempo ha contratto ogni sorta di malattia a volte incurabile.
   Il progresso, il cambiamento, l'innovazione avrebbero dovuto donare una migliore qualità della vita e invece se da un alto hanno facilitato l'esistenza umana, dall'altro lato hanno contribuito a innescare un meccanismo di frode a tutto campo. Ora le costruzioni edilizie hanno regole severe: hanno varie classificazioni di sicurezza e di abitabilità e l'amianto è solo un triste ricordo, per di più si utilizzano le energie rinnovabili che non inquinano l'ambiente e hanno costi decisamente bassi, quindi un giusto equilibrio per tutti. Le fabbriche dovrebbero essere tutte dotate di depuratori e non emettere gas velenosi per l'ambiente, la vicenda dell'Ilva ne è un esempio. Il cibo, quasi tutto il cibo, dovrebbe essere corredato da un'etichetta di rintracciabilità del prodotto, con la speranza che quelle attestazioni siano attendibili.
   Ho usato il condizionale perché ancora oggi le etichette non compaiono su tutti i prodotti alimentari e se vi sono, l'interpretazione non è facile. Ho usato il condizionale anche per le fabbriche, perché ancora oggi tanti stabilimenti non sono a norma, come non lo sono completamente le costruzioni. All'Aquila, nonostante il terremoto di qualche anno fa che, in riguardo alle tecniche di costruzioni, prevede delle regole speciali  antisismiche, i recenti manufatti abitativi consegnati agli aquilani mostrano già segni di deperibilità e tra l'altro non sono antisismiche.
   Regole, sanzioni, controlli eppure l'uomo trova ogni mezzo per peggiorare l'ambiente con annessi e connessi, ma ciò che mi fa veramente irritare è: "Dove sono coloro che dovrebbero controllare, prima di rilasciare un qualsivoglia permesso a tutto campo? Perché se ne parla sempre dopo? Il progresso che benefici ha?"
   E come sempre siamo qui a raccontarne i danni!

sabato 18 ottobre 2014

Impressioni di lettura

                                      La locanda delle occasioni perdute                     

                   
     Tutti noi vorremmo esistesse un posto appartato dove far riemergere il nostro passato, un posto in cui le occasioni perdute si ripresentano sotto forma di una veste insolita da scegliere o rifiutare. Un ristorante, un menu che non prevede la lista delle pietanze, ma quella delle nostre occasioni perdute, quelle che non abbiamo saputo cogliere. Un’idea geniale quella di Antonella Boralevi, scrittrice, conduttrice e autrice di programmi televisivi, un’idea che conquista sin dalle prime pagine di questo romanzo scritto con sapiente coinvolgimento, in definitiva un libro che si legge tutto d’un fiato.
   La protagonista, Mirella, è una donna che porta con sé molti interrogativi, una persona schiva alla ricerca della felicità che i punti oscuri della sua vita non le hanno permesso di ottenere. Mirella è in contrasto anche col suo nome, avrebbe voluto chiamarsi Cosima, secondo lei, nome più autorevole che forse le avrebbe fatto guadagnare il rispetto e la forza di fare la scelta giusta. Mirella è per lei sinonimo di debolezza, di personalità scialba; un nome, in definitiva, troppo melenso per ricevere attenzione. E con quel marchio di un nome sciocco, sin dall’infanzia ha vissuto situazioni di disagio e di condizionamenti che non la lasceranno anche da adulta, portandola sulla strada delle scelte subite, come se fosse il suo nome privo di carattere a prendere il sopravvento.
   Mirella è figlia unica di una coppia di genitori molto belli che curano il loro aspetto e la loro vita mondana dimenticandosi della figlia, la quale vive spiandoli e desiderando quelle coccole che tutti i bambini aspettano. L’educazione della piccola è affidata a una istitutrice tedesca che la segue nel suo percorso formativo; in seguito sarà la nonna a occuparsi di lei: i genitori si allontano spesso e amano viaggiare .
   Mirella avrebbe voluto essere abbracciata dalla madre e dal padre del quale è innamorata, e per entrare nella vita dei suoi genitori li spia di nascosto attraverso una porta semiaccostata: una stanza matrimoniale ha i suoi segreti che non saranno più tali per la piccolina di solo sei anni. A sedici anni perderà i genitori che periranno in un incidente d’auto e al capezzale del padre, che si trova fra la vita e la morte, Mirella non ha il coraggio di esternare tutto il suo amore a quel genitore che venera più d’ogni cosa.
   Il percorso di studi intrapreso si rivela quello non appropriato alle sue inclinazioni e non giungerà mai al traguardo della laurea. All’età di soli ventidue anni si ritrova anche sposa di un giovane che vedeva in lei, non la donna della sua vita ma la madre futura dei suoi figli: decadendo questa possibilità da parte di lei, il matrimonio s’interrompe. Mirella all’inizio della sua vita coniugale, durante una festa, conosce il vero piacere sessuale con un ragazzo occasionale del quale volutamente perderà le tracce: non lo cercherà più e cestinerà il suo numero telefonico, forse fra le tante avrebbe potuto essere lui l’occasione perduta?
   Mirella ha ora più di quarant'anni, l’età in cui la vita è ancora da vivere, le scelte giuste potrebbero farle ottenere la felicità rincorsa e dare risposte agli interrogativi  sempre presenti. E quale migliore opportunità, l’intimità di un locale parigino dall’ambiente retro ove si materializzano le occasioni perdute e danno vita a una disamina del passato, ad una sorta di catarsi che, scavando in se stessa, la porta a far chiarezza:  l’occasione presente foriera di felicità è da cogliere, gettando alle spalle il passato ancora ingombrante. 
   Le Mirelle sono tante, potremmo essere noi: a tutti capita di pensare se avessimo preso quel treno, se avessimo colto quell’opportunità, se fossimo stati diversi. Ecco questo è un libro che potrebbe riguardare anche noi con i nostri sogni, i nostri rimpianti, le nostre opportunità perdute!

lunedì 13 ottobre 2014

Riflessioni di lettura

                         
   

   Un tempo i matrimoni si combinavano e le famiglie approvavano l’unione ancor prima che i giovani avessero la possibilità di esprimere il loro parere. Una famiglia ricca vedeva di buon occhio un rapporto con una famiglia dello stesso rango, era impensabile che un giovane benestante si unisse in matrimonio a una ragazza di estrazione inferiore. Ma il protagonista del romanzo contravviene alle regole e rompendo il fidanzamento con la sua promessa sposa, una giovane grassa e ricca, preferisce sposarsi con la ragazza della piccola borghesia che egli ama e che lo contraccambia. La loro unione sarà fondata sul sentimento inossidabile che supererà molte traversie e resterà intatto sino alla fine. Una vicenda che attraversa trent’anni di vita francese e che va dal periodo precedente alla prima guerra mondiale sino alla seconda guerra mondiale in atto, ossia all’occupazione della Francia da parte dei tedeschi.
   I doni della vita, mi soffermo sul titolo del romanzo e da cui scaturisce il filo conduttore della storia: l’unico dono che conta è l’amore, quel sentimento autentico che lotta e combatte sino alla fine e dà la forza necessaria per vincere le battaglie. E di battaglie ne hanno da superare i due protagonisti della vicenda: subito dopo il matrimonio scoppia la prima guerra mondiale e lui partirà per compiere il suo dovere come soldato al servizio della patria, tornerà dopo quattro anni. Nel mentre sua moglie sarà costretta a vivere presso i suoceri con il frutto del loro amore, il piccolo Guy, la convivenza non sarà facile: il nonno, il capostipite di quella famiglia non ha mai accettato le nozze del nipote. La vita riprenderà il suo corso al termine della guerra, i due protagonisti potranno riunirsi e crescere il loro bimbo che diventerà un giovane volenteroso e di belle speranze, ma anch’egli come suo padre si distaccherà dalla giovane sposa e sarà impegnato nella guerra, il secondo conflitto mondiale.
   In questo libro ritroviamo il talento di una scrittrice che abbiamo imparato a conoscere e che mentre scriveva “Suite Francese” in parallelo portava avanti la storia de “I doni della vita”, una sorta di anticipazione su quelli che sarebbero stati i destini dell’umanità. Lei scrisse la storia mentre i fatti accadevano: era, infatti, la seconda metà del 1940, piena occupazione tedesca dopo l’armistizio. Il romanzo fu pubblicato nel 1941 a puntate ma non con il nome dell’autrice, essendo ebrea doveva cautelarsi, solo nel 1947 fu pubblicato l’intero romanzo e si conobbe il nome della scrittrice quando ormai lei era già morta, cinque anni prima, nel campo di concentramento nazista.  
   Una volta preso il libro tra le mani, dopo le prime righe, l’unico desiderio è quello di continuare a immergersi nella lettura, respirarne i passaggi, gli sviluppi, l’armonia lessicale e le bellissime metafore. La storia avvince per le grandi capacità narrative che non deludono neanche questa volta. E come potrebbe, se l’autrice è lei Irène Némirovsky, la scrittrice che sapeva dipingere con le parole perché creava affreschi di vita tangibile per il lettore e perché sapeva entrare nell’anima del personaggio, descrivendone profondamente stati d’animo e pensieri.
   Gli scrittori del passato propongono storie che per i lettori attuali potrebbero sembrare obsolete sia per gli argomenti superati, sia per la forma lessicale, non è il caso della Némirovsky: in lei vi è una freschezza di pensiero che non teme il decorrere del tempo. 

martedì 7 ottobre 2014

Aggressività

                             

   Che sta succedendo alle famiglie? Ogni giorno ci comunicano notizie di uccisioni familiari, coniugi che massacrano la propria moglie o convivente e figli piccini che assistono all'omicidio efferato, bimbi che a volte subiscono la stessa sorte. Anche prima, vari decenni fa, la situazione economica non era agevole: imperversava la miseria e la vita era affrontata con rinunce e sacrifici. Cosa è cambiato nell'animo umano? Forse ora è più fragile, o invece è lasciato solo? Oppure riceve sollecitazioni sbagliate e istigatrici?
   Tanti anni fa la povera gente si arrangiava come poteva: non aveva conosciuto il benessere e viveva di quelle risorse sufficienti a garantirle la sopravvivenza. Oggi non si accetta più il disagio perché veniamo da tempi floridi e tornare indietro non è facile: non siamo ancora abbastanza temprati alle rinunce e all'accettazione di una vita spartana. 
   E' vero anche che tanti stanno sperimentando un nuovo modo di vivere, più attento, più oculato, ma è difficile rinunciare a ciò che appartiene alla massa e che è divenuto uno status symbol moderno. Si potrebbe pensare di uscire di casa senza il proprio cellulare, oramai uno smartpfone che ha la possibilità di connettersi, di orientarsi lungo le strade, di caricare foto ed inviarle, e tanto altro. Ma il telefonino, oltre a tutto a ciò, fa parte di noi, ci identifica quasi e essendo raggiungibili, siamo sempre in contatto con il mondo e forse ci sentiamo meno soli. Il male di questa società è anche la solitudine che cerchiamo di allontanare correndo sul web e per via satellitare. I rapporti umani non sono più gli stessi: ci isoliamo e rimuginiamo sui nostri problemi, e senza una valvola di sfogo finiamo per metabolizzare negativamente, non cercando soluzioni alternative; la mancanza di rapporti umani, inevitabilmente, ci porta nel magma dell'infelicità.
   L'attuale società sta seminando disastri in ogni campo, il clima di sfiducia indebolisce gli animi e al tempo stesso li muta in esseri poveri di sentimenti. Arrivano all'onor di cronaca i gialli, i misteri, i casi irrisolti e ciò che spaventa è la fame di notizie truci con particolari agghiaccianti, come se la gente si consolasse in questo modo dei suoi mali. Il fatto che ora certe notizie siano da tg, fa capire il clima greve in cui si vive e il progressivo inasprirsi delle serie televisive, girate tra menti criminali e obitori, crea quasi un effetto emulativo. 
   Per decenni si è coltivato un buonismo oltre misura, inesistente, perché si viveva in anni di relativo benessere e di pace, ora pare che l'intento pedagogico miri a tener sveglia l'aggressività. Fondamentalmente l'essere umano è buono, ma la sua naturale inclinazione è disturbata dalle tensioni che si creano nella società corrotta. La società impone delle regole affinché l'aggressività presente a causa dei contrasti non provochi danni, ma al tempo stesso l'energia distruttiva repressa produce frustrazione. Forse questo spiegherebbe quei raptus improvvisi, o ancora è tutto il sistema inefficiente e corrotto a causare squilibri che falciano le famiglie? 
   Che sarà di questa generazione cresciuta a spot adescatori, notizie agghiaccianti e disumane? Che sarà di quei bimbi spettatori della barbara uccisione dei loro stessi genitori? Come riusciranno a metabolizzare la perdita, lo strappo doloroso? Come affronteranno la loro vita futura da adulti, quando le domande emergeranno impietose, saranno essi capaci di darsi risposte esaurienti che li faranno seguire la strada della bellezza della vita? Questa è una situazione sulla quale riflettere! 
   Dall'altra parte abbiamo equipe d'esperti che seguono queste creature sfortunate e non solo: esse sono affidate alle loro famiglie d'appartenenza che si adoperano per la loro ripresa e inserimento nella futura società da costruire. 

mercoledì 1 ottobre 2014

Radici

                      

   Un tempo lei desiderava evadere dalla sua realtà per andare incontro a nuovi orizzonti, nuove culture, nuovi stili di vita. Non le importava delle sue radici che tra l'altro le stavano strette: troppe responsabilità e catene, aveva voglia di sciogliere quelle catene. Gli affetti richiedono impegno che mal si combina con i propri impegni, l'importante era per lei trasferirsi con la nuova famiglia che aveva creato.
    E si vedeva proiettata in una nuova dimensione, lontana dal mondo che da sempre le era appartenuto; quel mondo privo di interesse, oramai era sempre lo stesso, con i suoi difetti e le sue precarietà e il suo discutibile modus vivendi così lontano dalle sue aspettative. Non era una campanilista e se doveva sparare a zero contro la sua città, lo faceva senza remore alcune, avrebbe voluto essere nata altrove.
   L'idea di migrazione trovò maggiore conferma, quando per la prima volta conobbe un posto tanto lontano dal suo, dove la vita era completamente diversa. Quella città era ben tenuta, in ogni angolo regnavano ordine e pulizia, i cittadini ben educati con quel parlare sciolto dall'inflessione melodiosa, nulla avevano a che vedere con quegli zoticoni del suo quartiere così degradato. Ma perché, si diceva, era dovuta nascere proprio lì, quasi si vergognava a dire il luogo d'appartenenza: finivano per pensare che anche lei fosse zoticona e incivile. Eppure non erano tutti così i suoi concittadini, vi erano fior di menti con culture elevate, raffinati professionisti, tanti avevano dato lustro al luogo e non solo; ma purtroppo gli era stata appiccicata l'etichetta della cafoneria e chissà perché finivano per parlare solo di quelli che denigravano il luogo. Si era convinta che doveva andarsene, avrebbe convinto il marito a fare richiesta di trasferimento, i suoi figli dovevano crescere altrove.
   Un giorno una parente, che da tempo viveva dove avrebbe voluto trasferirsi lei, venne in vacanza nella sua terra che amava tanto e della quale sentiva una profonda nostalgia. "Ah, come avrei voluto aver fatto un incontro diverso." disse quella parente. "Ma a cosa ti riferisci, zia carissima?"  "Al fatto che ho sposato un uomo freddo e privo di umanità, mentre da noi siamo così uniti, ci rispettiamo e ci vogliamo bene. Per noi la famiglia è importante, mentre per la gente del posto, dove vivo, ognuno va dove vuole, e non si amano, non si rispettano. Rispettano le città, ma non i loro focolari." rispose la zia.
   Passò del tempo e lei aveva abbandonato le sue idee di migrazione, tutte le volte che tornava dalle vacanze, amava ancor di più le sue radici e ne coglieva aspetti che prima non notava. La cafoneria di alcuni divenne per lei  folclore puro, la parlata locale non propriamente aggraziata fu quel vernacolo, nobile lingua, da conservare come testimonianza di venti secoli di storia. E il degrado della città lo vide come un momento di negligenza amministrativa da superare: un tempo, le diceva sua madre, quel posto era un salotto perbene e rispettato. E poi il calore della sua gente, la loro disponibilità, la familiarità, i valori ancora presenti, in due parole erano le sue radici e tutto il resto non aveva importanza.