mercoledì 29 febbraio 2012

Saggia decisione

           

   "Ma è lui?" osserva tra il meravigliato e l'angosciato. Una strana entità è apparsa dal nulla, come una figura evanescente avvolta da  un'aura di mistero. Sgrana gli occhi e il tutto diviene più nitido: sta tornando in sé. Contempla meglio l'ambiente e il torpore della mente fa posto alla consapevolezza di esserci e riconosce la figura misteriosa.
   Cosa gli sarà accaduto - si chiede? Il suo volto è cadaverico e pare trattenga una forte emozione. Forse deve comunicarmi qualcosa di tragico ed io sto perdendo tempo in elucubrazioni, ora gli parlo e glielo chiedo. Ma perché non articolo parola e sto qui solo a pensare? E lui, perché non mi parla? Quando l'ho guardato con stupore non ha battuto ciglio, non ha mi rivolto la parola, non ho visto nessuna espressione sul suo volto. Dove sono? Comincio ad aver paura, eppure mi tasto, ci sono, mi vedo in questo letto d'ospedale. Ma guarda, è arrivato un medico, non lo conosco e sta parlando con il mio fidanzato che ha un'espressione tenera e angosciata! No... piange! Ma perché? Io sto bene, ne sono sicura: adesso gli parlerò e lo abbraccerò, gli farò tornare il sorriso sul suo volto diafano scavato intorno agli occhi, povero caro! Ehi, guardami, guardami amore mio! Lo so, sono responsabile, ora ricordo. Ho voluto percorrere quel rettilineo a tutta velocità, volevo testare il nuovo modello, volevo sentire il fruscio nelle orecchie, il sibilo del vento sulla faccia, avevo alzato anche la capote ed ero al settimo cielo. Tu mi scongiuravi di rallentare, di tenere d'occhio la carreggiata, mi hai minacciato, volevi scendere dall'auto, più volte hai cercato il pulsante sullo sportello: eri disposto a voler andar via anche con l'auto in corsa. Perdonami amore mio, ora so di essere stata una scellerata, ho anteposto lo stupido piacere del brivido alla sicurezza, ma la vita umana conta più d'ogni cosa. Tu stai soffrendo: io ti vedo, ma sei vivo ed incolume. Non andar via! Che fai, mi lasci da sola? Lo sai che ho paura e qui non c'è nessuno. Come posso farti capire che ci sono e che non devi abbandonare la camera. Devo spostare qualcosa, devo darti un segnale, devo farti intuire che sono viva e che sono disposta a chiederti venia per tutta la vita. Ho la sensazione di essere in un corpo che non mi appartiene, non riesco ad esserne padrona. Ti vedo, ma non mi rispondi: è come quella volta che mi trovai fra il dormiveglia e non riuscivo a muovermi e a parlare, forse sono ancora in quello stadio di semi incoscienza, che sofferenza! Ma se spostassi un dito, se sollevassi appena appena un polpastrello, forse tu, tesoro mio, ti accorgeresti di me. 
   Non so forse ho dormito, vedo la luce filtrare attraverso le imposte e se ben ricordo sono rimasta da sola nella camera, sin quando non è giunta una signora con il camice bianco che ha iniettato nella flebo una sostanza, sicuramente un calmante soporifero. Mi osservo per quel posso e constato che sono legata ad una macchina, chissà da quanto tempo sono qui? Non potrei dedurlo dal mutamento della natura, non so se questa struttura che mi ospita è situata in un giardino: a casa mia le prime gemme mi fanno intuire l'arrivo della primavera e i frutti sugli alberi mi indicano l'estate piena. Penso e ripenso, posso solo far questo, ma sono viva e sento che ce la farò a riappropriarmi della mia vita che sarà diversa: meno sregolatezze e più saggezza, e soprattutto tanto amore da donare al mio uomo per sempre; forse non mi basterà una vita per farmi perdonare. Sento dei rumori, si apre la porta, entra il mio fidanzato accompagnato dal dottore di prima, si avvicinano al mio letto mi osservano e il medico stacca il respiratore. No, sto morendo! Io sono viva, perché... Oddio soffro troppo, sento come una stretta alla gola, non ce la faccio...
   Ripose il libro terrorizzato, aveva proseguito la lettura sperando in un lieto fine ed invece la storia affrontava il tema dell'eutanasia, sentiva ancora i brividi e aveva le pulsazioni accelerate: si era sentito parte integrante di quella storia, il merito era senz'altro dell'autore, bravissimo non c'è che dire! Si ricordò del suo appuntamento. Simone, suo cugino, stava per passare a prenderlo: dovevano andare in discoteca con la macchina nuova dello zio, una Porsche Cayenne. Lui e suo cugino avevano compiuto da poco diciotto anni e Simone che amava il rischio avrebbe sottratto  l'auto a suo padre. Ebbe paura, prese il cellulare e scrisse un breve messaggio: "Ho trentanove di febbre, verresti a farmi compagnia?" Gli avrebbe parlato della storia, l'avrebbe dissuaso, chissà? Comunque ci avrebbe provato!

venerdì 17 febbraio 2012

Una vita


  •                                                                            
  •      

  •    M’inerpico su di un viottolo buio e profumato di malva, sono affranta e desolata: la mia grassa vita non ha più senso. Dall’alto del dirupo osservo il panorama tenebroso, sono in simbiosi: mai atmosfera è stata più conforme ai miei pensieri. Ripenso alla vita che avevo, alla mia spensierata, appagante esistenza e vorrei tanto riappropriarmi di essa, di quando in carne ridevo come un’ossessa per un nonnulla incurante del mondo intero che coinvolgevo da buontempona. Edmondo, questo è il suo nome, mi ha distrutto, annientato e l’ha fatto con nonchalance in un pomeriggio di fine estate mi ha sussurrato: “Ci rivediamo con meno chili di lardo!”
  • Non gli avevo chiesto niente, per me era solo un amico con il quale scambiare ironiche battute e storielle divertenti: il mio baluardo era l’umorismo e mi bastava. Non che non cercassi l’amore, ma attendevo che mi palpitasse il cuore. Edmondo aveva supposto ben altro, nelle nostre goliardate c’era sano divertimento che lui aveva frainteso. Da quel giorno ho osservato il mio corpo con paranoica attenzione isolandomi dal mondo che guardavo in cagnesco; respingevo gli amici: m'infastidivano e pian piano si è fatto il vuoto intorno a me. Sono sprofondata nell’abisso della disperazione, rifugiandomi nel cibo, mai tanto mi ha appagato.
  •    “Sei una palla di lardo!” mi dicevo. “Questo è il mondo dell’apparire, non dell’essere, non dei valori veri. Le ragazze di copertina, le stupide oche vuote, queste sono i modelli che Edmondo e tanti come lui cercano.”
  •    Non ho dato spiegazioni a nessuno: non ho famiglia, sono orfana di entrambi i genitori e mai come in quel triste frangente ho sentito la mancanza delle mie radici. Mi sono rifugiata anche nell’alcol, ho voglia di farla finita. Una mattina lo sguardo è caduto su di un quotidiano locale, un titolo in grassetto “Voce amica” e un numero telefonico. Ho composto quel numero, volevo vomitare la mia rabbia a un interlocutore estraneo per sgonfiare la mia anima da tutto il rancore compresso e soffocato. Una voce di donna gentile e soffusa mi ha risposto, mi ha ascoltato, non mi ha interrotto quando ho incalzato con il mio veleno. Dov’erano la mia precedente dolcezza e buon umore? Lei non mi conosceva eppure ha compreso. Le conversazioni telefoniche si sono susseguite e lei pazientemente mi ha ascoltato, solo ascoltato, e alla fine ha aggiunto: “Chiamami ancora!”
  •    Una laconica frase, solo una stringata intimazione che mi lasciava senza parole, ma che m'irritava.
  •    Ora sono qui e ho deciso, mi lancio giù da questo precipizio, la faccio finita, anche la stupida voce non ho voglia di sentirla ancora, ho chiuso con il mondo intero, sono solo una palla vuota, anzi piena di “lardo”.
  • Odo uno squillo, che noia è il mio telefonino, sto per lanciarlo giù prima di me, ma poi mi dico: ‘Si concede un’ultima possibilità anche ad un condannato, rispondiamo a chiunque sia!’
  •    E’ lei la voce amica che mi mormora: “Ti aspetto, lo sai dove abito!”e riattacca.
  •    Figuriamoci proprio ora, non mi va, ma voglio esaudirla, voglio guardarla in faccia e voglio che mi veda. Sono giunta, attendo un po’, mi apre la porta un’anziana donna dal volto bonario e rassicurante.
  •    “Si accomodi, lei è Sonia; prego, mia figlia Chiara l’aspetta!”
  •    Entro in una camera ampia e profumata di fresco, una stanza asettica dove troneggia un letto ospedaliero con le sponde in metallo e una leva anteriore.
  •    Mi avvicino e la guardo, due occhi grandi e luminosi mi scrutano, mentre il volto bellissimo reclina il capo e la mano destra scosta a fatica una ciocca riccioluta di capelli color oro.
  •    “Sei Chiara?” le dico titubante e tutta la mia baldanza irosa è annullata, svanita.
  •    “Accomodati!” mi risponde a fatica con la stessa vocina flebile interrotta da un attacco respiratorio.
  •    Sono frastornata. Chi è costei? Perché è a letto e mi ha chiesto di venire da lei?
  •    “Sono affetta da “sclerosi laterale amiotrofica. Ho poco da vivere.”esordisce interpretando i miei pensieri.
  •     Sono sconvolta: un tornado si è abbattuto su di me, ho il cervello in fiamme. Provo vergogna per me stessa: sono solo una mentecatta che non si è mai guardata indietro. Sento gocciolare la mia adiposità assieme alla mia miseria.
  •    “Chiara, perdonami!”le dico avvilita.
  •    Sono trascorsi quattro anni e oggi ho accompagnato l’angelo amico nel suo ultimo viaggio. Volevo una famiglia e il destino me ne ha dato una. La sorella-amica, che da quel giorno non ho più abbandonato assistendola sino alla fine, mi ha lasciato la sua forza di volontà e la sua mamma. Per lei sono stata una dolce burlona che le ha strappato un sorriso anche nei momenti più intensi della sua sofferenza.   


domenica 5 febbraio 2012

Strana coincidenza

   La vita a volte intreccia dei fili che tessono strane coincidenze. Accade, del resto siamo in questo spazio temporale che ci vede protagonisti. 
   Le coincidenze ci portano a rispolverare passate situazioni, a riviverle, a fare il punto con noi stessi e magari a constatare che è meglio vivere la realtà con disincanto e a prendere ciò che di positivo abbiamo realizzato. 
   Qui un raccontino che affronta una strana coincidenza.