martedì 22 aprile 2014

Vintage

                          

   Mi è capitato di entrare in un negozio vintage, credetemi ne avevo sentito parlare ma non vi ero mai stata di persona. Mi accoglie un ambiente raffinato, arredato con gusto: anche i mobili sono autentici vintage, e punto gli occhi sugli abiti griffati e sulle borse altrettanto firmate. Tutto è come se fosse nuovo e uscito da una vetrina del passato che poi passato non è: tanti modelli e colori si ripropongono, come le stoffe e il pellame. 
   La negoziante, una signora competente, mi racconta di come venga in contatto con quelle persone che, avendo accantonato nel tempo i loro abiti, borse, bigiotteria e tanto altro, le lasciano in conto vendita vestiti e accessori di qualità. E' un sistema per acquistare l'eccellenza a prezzi accessibili: vi è quella moda che è sempre attuale e poi ora l'arte del recupero è divenuta moda. 
   Mi ha colpito una borsetta in struzzo di colore verde oliva con chiusura in argento, ben tenuta e di linea attualissima e della stessa proprietaria, una signora di novant'anni, un cappellino con piume molto raffinato. 
  La negoziante mi ha spiegato che ciò che lei ha in negozio non appartiene alla gente del luogo: inizialmente da lei il vintage non funzionava proprio perché le signore temevano che indossando quegli abiti fossero riconosciute dalle vere proprietarie e la cosa le disturbava. 
   VINTAGE, ciò che è stato prodotto almeno vent'anni prima e che si definisce oggetto di culto. 
   Ma chi l'avrebbe detto, lo sapevo eppure non credevo fosse proprio così e chissà quanta gente come me! 
   A questo punto è bene domandarsi, quanta eccellenza è stata gettata via?

venerdì 18 aprile 2014

Buona Pasqua

                           

                                         Auguro una BUONA PASQUA a tutti voi.
   Buona nel senso che sia serena, in armonia, in salute e con qualche spicciolo in più per godervi una gita fuori porta e qualche piccolo extra, ma se ciò non sarà fattibile quello che più conta è il benessere fisico e interiore tutto il resto, non è retorica, viene da sé.
   Per essere in tema con il clima pasquale, vi auguro quindi un "passaggio" dalle incertezze alle certezze, dalla solitudine al recupero della compagnia affettiva, dall'incomprensione alla comprensione, dalla tristezza alla gioia. Questi passaggi portano vita nuova anche in questo clima poco edificante.
                                               Un abbraccio virtuale a tutti.
                                                             Annamaria

martedì 15 aprile 2014

L'Acustica perfetta

                                       

   Quando si riceve un libro, occorre leggerlo, in special modo se il dono giunge da una persona cara, molto cara, comunque non ne sono rimasta delusa: i passaggi sono ricchi di sfumature emozionanti. Il romanzo porta un titolo promettente: "L'Acustica perfetta" e l'autrice, Daria Bignardi, collaboratrice e direttrice di giornali, nonché conduttrice di un programma da lei ideato, ci propone una storia sulla quale riflettere. Potrebbe riguardarci: spesso crediamo di conoscere la persona che amiamo e che ci vive accanto e, invece, troppo presi da noi stessi, non cogliamo quei segnali importanti che sono il frutto di precedenti situazioni ignorate.
   Il primo amore è anche l'unico per il protagonista, lui Arno conosce Sara all'età di tredici anni, stanno insieme, ma lei lo lascia perché le piacciono gli amori infelici, s'incontrano dopo sedici anni ed è come se tutto quel tempo non fosse mai passato e decidono di sposarsi. Dal primo incontro a quello successivo un buco di sedici anni, lui nel frattempo è divenuto stimato professore di musica, suona il violoncello alla Scala, ama la sua musica, passione che ha ereditato dalla madre tedesca che a causa di Winston  Churchill dovette abbandonare Amburgo e interrompere gli studi di pianoforte. Arno e Sara sono giovani e allegri, la vita coniugale scorre apparentemente serena, nascono tre figli e Sara se ne occupa diligentemente. Arno crede di fare il massimo per la sua famiglia e di dare tutto se stesso alla moglie, e non si spiega i suoi silenzi e le sue malinconie: ciò che conta è che lei faccia parte di quella cornice. Ma un evento inconcepibile, siamo a soli quattro giorni dal Natale, muterà drasticamente quella scena familiare: Sara con un laconico biglietto informa il marito del suo allontanamento per ritrovare se stessa. Arno crede che sia solo uno scherzo e che sua moglie tornerà al più presto, anche perché lui non saprebbe come affrontare la situazione, non se n'è mai occupato e lei non saprebbe vivere distante dai figli. Il panico, comunque, s'impossessa di lui e man mano che scorrono i giorni e le tensioni si allentano, riesce a conciliare la sua professione con la gestione familiare; con la moglie qualche breve mail e nessuna spiegazione o informazione circa il nuovo recapito. A quel punto comincerà un viaggio a ritroso nel tempo per conoscere il passato di Sara e per cercare una spiegazione all'imprevedibile e illogico comportamento. Verrà a conoscenza delle sue stranezze scaturite sin dall'adolescenza e di quell'inquietudine che la portava a isolarsi e preferire le situazioni infelici. E saranno i genitori, l'amico Massimo, il suocero, e altri personaggi che entreranno in scena di volta in volta a fargli conoscere Sara. Ma tutti loro non sono stupiti di quell'abbandono, anche i figli reagiscono bene, come se sapessero che sarebbe accaduto. Scopre così le menzogne che lei gli ha propinato circa una malattia mentale di sua madre durata dieci anni e invece era Sara ad aver avuto bisogno di terapie psicologiche. Viene a conoscenza di un amore importante durato tre anni e di una storia drammatica che forse è tutto il bandolo della matassa. Durante questo viaggio Arno imparerà a conoscere anche se stesso, ad accettare la vita coniugale senza sua moglie, a condividere emozioni e segreti con i suoi figli, ciò che non accadeva quando dava per scontata la sua vita matrimoniale, credendosi al sicuro. E nel campo professionale conoscerà una sintonia diversa, troverà quell'acustica perfetta dettata dal sentimento capace di far vibrare ogni corda.
   Questo libro è un percorso interiore che potrebbe riguardare anche noi stessi così presi dalla quotidianità da non cogliere quei segnali di chi ci vive accanto. "Ma come, mi prodigo per te, faccio il massimo e tu mi ricompensi con i tuoi malumori. Quanta ingratitudine!"
   Spesso rivolgiamo parole d'accuse e non entriamo nel profondo della persona che amiamo, questo vuole insegnarci la storia della Bignardi, che con una fluida scrittura al maschile in prima persona, vuole farci riflettere sulle nostre ostinate convinzioni.
   Molte coppie vivono una sorta di apparente perfezione mascherata da una nascosta incomunicabilità: condividono la presenza, ma è come se fossero distanti anni luce, credono di vivere un'Acustica Perfetta.  

mercoledì 9 aprile 2014

La forza di lottare






                                                  

   C’eravamo stati varie volte, era lo stesso angolo di paradiso che ci aveva visti insieme, un famoso giorno in cui avevamo deciso di unire le nostre vite. Da quel giorno eravamo ritornati, come se avessimo dovuto ripercorrere un itinerario già collaudato e che volevamo ritrovare per quella magia tutta speciale.
   La natura si offriva generosa e dall’alto del colle miravamo le maestose scogliere dove i flutti tempestosi s’infrangevano schiumosi, mentre il sibilo del vento autunnale spostava l’ultimi sprazzi della foschia mattutina. Pier Paolo mi afferrò la mano amorevolmente e mi guidò attraverso la stradina acciottolata: gli piaceva essere a contatto con la bianca scogliera per respirare l’aria iodata che gli dilatava i polmoni, ossigenandoli.
   “E’ sempre bellissimo!” sussurrò “Si è lontani dalle angustie della vita, dal suo squallore!” soggiunse rammaricato.
   Era il mio uomo e lo amavo, peccato che tutto stava per terminare: quella era l’ultima volta e la magia di quel luogo non l’avremmo più vissuta.
   Tutto era cominciato per un’esigenza, una fottutissima esigenza che aveva steso le sue maglie e stava per chiudere il laccio sulla nostra esistenza. Avremmo dovuto fare il grande passo, prendere l’ardire e liberare noi e loro dal giogo divenuto pesante; non avevamo scelta: le minacce incombevano come un boia dall’accetta affilata.
   Ci era piaciuta quella casa nel borgo antico, era talmente pittoresca con la scala a chiocciola arabescata in ferro battuto, la zona notte al piano superiore e l’abbaino con la vetrata a cupola. Non possedevamo tutta la somma e un amico fidato ci consigliò uno stimato professionista e perorò la nostra causa; avremmo risarcito la somma in breve tempo: era irrisoria, il benefattore comprensivo avrebbe atteso. Come facemmo a non capire che era tutto uno stratagemma per avvilupparci e per estorcerci altro denaro: la somma crebbe a dismisura e non reggevamo il ritmo. La disperazione fu la nostra compagna ed eravamo costretti a fingere per il benessere dei nostri figli, due adorabili adolescenti in crescita, la cui età è talmente vulnerabile.
   Eravamo felici, avevamo realizzato il nostro sogno e con i nostri stipendi d'insegnanti avremmo saldato il debito; ne era valsa la pena: la casa era a nostra immagine e somiglianza. I ragazzi erano entusiasti: avevano i loro spazi, le camere si prestavano a zona-palestra e angolo della musica. Risuonavano di voci giovanili quelle mura, è bello permettere ai figli di ricevere tanti amici.
  “Il doppio della rata, mi devi!” disse una mattina lo scagnozzo del viscido finanziatore, ero andata io all’appuntamento. 
   Rimasi annichilita, non mi aspettavo tale richiesta. In seguito a nulla valsero le nostre motivazioni e le pretese divennero più pressanti; se non avessimo adempiuto, tutto si sarebbe ritorto contro i nostri amati figli: avevo già ricevuto minacce di morte.    
   “Dobbiamo farlo, cara.” mi ricordò avvilito Pier Paolo “Non abbiamo via d’uscita. Tutti insieme per sempre!”
   Era una domenica mattina, prospettammo una gita fuori porta, i ragazzi docili ed euforici ci seguirono in macchina; sarebbe stato facile, un volo dal cavalcavia, un volo per l’eternità.
   “Mamma, il papà di Flavio è stato licenziato, era l’unico a lavorare!” mi confidò mio figlio. Eravamo in auto da poco, era il luogo perfetto per le confidenze, a casa non ci s’incontra, il tempo libero è assorbito dagli impegni.
   “Mi spiace davvero” risposi, conservando ancora un po’ d’attenzione alla realtà. “Come faranno?” soggiunsi.
  “Loro sono una famiglia che non si scoraggia, cambieranno città. Non importa, perderò il mio migliore amico, ma ci terremo in contatto!”
   Fu quella l’occasione, il guizzo, la forza: la disperazione lasciò il posto alla volontà, alla determinazione. Avremmo lottato, l’avremmo denunciato, avremmo chiesto una protezione, saremmo vissuti momentaneamente in incognita, magari in un luogo fuori dal mondo, avremmo, avremmo … tutto questo avremmo fatto: la vita non si sopprime a chi l’hai donata, la vita va rispettata. 
   Guardai il mio uomo e compresi che non l’avevo sostenuto abbastanza, toccava a me prendere una decisione.
  “Pier Paolo, rientriamo in auto!” esclamai. 
   Avevo rimuginato sul da farsi durante la passeggiata che credevamo sarebbe stata l’ultima. 
   “Voglio far conoscere ai ragazzi quell’altro scorcio naturale. Lascia che guidi io!” esordii con gioia. 
   Stavo per donare a tutti la continuità!

sabato 5 aprile 2014

L'isola di Arturo

                  

   Mai che sbagliassero previsioni, accidenti a loro! Con questa imprecazione cominciò la giornata. Dopo aver premuto il pulsante delle tapparelle elettriche, che bella invenzione conveniva ogni giorno, specialmente al mattino appena sveglia quando le capacità fisiche erano meno reattive, la luce esterna entrò fioca, cielo plumbeo e grigiore ovunque; avevano preannunciato una giornata coperta con piogge in arrivo e la situazione si presentava proprio così. E dire che aveva acconsentito a un fine settimana a Procida, un pacchetto di due giorni conveniente, la proposta le era giunta al telefono dalla sua amica dell'agenzia viaggi.
   Ma tu guarda, si disse, che iella nera, non mi sposto quasi mai, e dire che mi son lasciata tentare da quella storia del mio romanzo preferito ambientato proprio su Procida. Tanto cosa ho da rimetterci, mi porterò un ombrello a due posti, quello che mi hanno rifilato all'angolo del crocevia durante la pioggia di giovedì scorso, gli extracomunitari sanno cogliere l'occasione. Già, però è ingombrante, servirebbe uno richiudibile che ci sta nel borsone da viaggio assieme alle poche cose che mi serviranno: si viaggia in pullman e dovrò sistemare la borsa sul vano porta oggetti. La mia non è una valigia e resta con me, non l'affido al controllore per inserirla nella pancia dell'autobus, verrebbe scaraventata senza grazia, si imbratterebbe assieme alle altre e chissà se la recupererei: la mia borsa potrebbe far gola a qualche intenditore, è un regalo del mio secondo marito, pace all'anima sua era un raffinato, si fa per dire, e spese una fortuna. Metti che accanto a me si sieda una mano lesta dalla faccia inequivocabile, alzerebbe il braccio per simulare chissà che e me la porterebbe via, il mio defunto coniuge si rivolterebbe nella tomba. Ma cosa vado a pensare, però però, anche a Procida potrebbero portarmela via, devo pure salire sul traghetto, chissà che calca, chissà quanti scugnizzi vengono mandati per compiere furti, loro hanno le mani addestrate. No, non mi va di stare in ansia, pazienza vorrà dire che rinuncio alla quota d'adesione, meglio perdere una somma modesta che essere sgraffignata una borsa di quel valore, alla quale tengo moltissimo, molto di più che a colui che me l'ha regalata a suo tempo. Lo detestavo, ci stavo insieme solo per i suoi soldi, ogni qual volta si avvicinava l'odore del suo corpo mi nauseava, che schifo: non si lavava prima di venire a letto. Al mattino tutto profumato prima di andare in ufficio, faceva il manager e i soldi gli uscivano dalle orecchie, soldi che mi dava col contagocce: era lui ad amministrare il tutto, io godevo solo dei suoi costosi regali e quando voleva un trattamento speciale mi porgeva il regalo, ma il patto era che dovevo sottostare al suo puzzolente corpo. Dopo una giornata passata fuori del profumo mattutino non restava più traccia: soffriva di un disturbo alle ghiandole sudoripare e oltre un determinato numero di ore avrebbe dovuto rilavarsi e deodorarsi. Ma a lui piaceva sentirsi il puzzo, si eccitava maggiormente e avrebbe voluto che anch'io fossi sudicia e maleodorante. Ma valli a capire questi ricconi, quando è stramazzato a terra per un infarto me ne sono liberata, ma il lercio non mi ha lasciato un becco d'un quattrino, spendeva tutto in puttane, non gli bastavo io, schifoso! Tra l'altro l'avevano rimosso dalla carica di manager e poi ho saputo che negli ultimi tempi si arrabattava come poteva in lavoretti di secondo grado. Ora sono single e me la godo, per quello che posso, accidenti ho dovuto pagargli i debiti, per fortuna che non ho mai lasciato il mio lavoro di commessa allo showroom di Armani, è stato lì che ci siamo conosciuti. Tutto ho dovuto vendere: gioielli, pellicce, ma il borsone firmato no, a quello ci tengo! Forse potrei acquistare una borsa da viaggio economica, una taroccata o un'anonima, anche con la pioggia passerei due giorni in un posto incantevole, non ci sono mai stata. Mi hanno detto che è un'isola fantastica, un vero paradiso; insenature mozzafiato e architetture spontanee dai colori pastello che danno un volto speciale all'isola. Ok, ho deciso, parto e non m'importa del mal tempo in arrivo, anche se potrebbe non esser vero: a volte non azzeccano le previsioni, è successo che gli albergatori abbiano protestato per via di quei sorridenti metereologi azzeccagarbugli.
   Dlan, dlan, sinfonia di Beethoven con vibrazione sussultoria del cellulare.
   "Dimmi, Antonia?"
   "C'è stato un errore di prenotazione, purtroppo siamo al completo, sarà per la prossima volta!"
   Ma tu guarda, si disse, tutte quelle seghe mentali, per usare un termine non appropriato e che il suo primo marito, uno psicologo, usava spesso nei suoi confronti, dopo dieci anni di onorato servizio coniugale l'unico rimedio fu la separazione per giusta causa, stop fine della storia. Come vorrei essere ora quello scorfano, pensò, rammentando il bellissimo passaggio tratto da un brano del romanzo l'Isola di Arturo di Elsa Morante. 
   
   "Ah, io non chiederei di essere un gabbiano, né un delfino; mi accontenterei di essere uno scorfano, ch'è il pesce più brutto del mare, pur di ritrovarmi laggiù, a scherzare in quell'acqua.
   
   Riprese il libro e decise d'immergersi nuovamente nella lettura del suo romanzo preferito. Leggere è come viaggiare! esclamò. E si accomodò sul suo comodo divano.











giovedì 3 aprile 2014

Armonia

               

   Cosa si può raccontare che non sia stato detto, come stuzzicare l'interesse del lettore di passaggio? Forse le idee sono come le note musicali, uguali ma sempre diverse fra loro, perché se le note non cambiano e le lettere dell'alfabeto anche, ciò che conta è la struttura del pensiero e della composizione musicale. Poi vi è l'esecuzione: sia nella scrittura, sia nella musica, chi esegue personalizza. 
   Bene prendiamo la punteggiatura anche musicale, quegli spazi adeguati, quelle cadenze cambiano l'ascolto e nella lettura altrettanto: a seconda dell'interpunzione cambia il significato dell'elaborato, cambiano quindi le emozioni. Che dire poi dell'intonazione letterale e musicale, stesso pezzo ma diverso diviene l'ascolto per via dell'intonazione personale. 
   Dopo questo scontato preambolo mi soffermo sulla frase coniata da Obama durante la sua passata campagna elettorale, vi ricordate? Fece il giro del mondo il suo "Yes we can!", fu preso come riferimento da molti in quel periodo e pareva andato in pensione, se nel recente incontro Obama - Renzi, il nostro presidente del consiglio non l'avesse tirato nuovamente in ballo. "Yes we can!" ha ricordato Renzi, riferendosi all'Italia sull'orlo della disfatta che pare volgere in ritirata con risoluzione ripresa, a volte, o pare finire con levata di bandiera bianca, sperando che giunga un aiuto estremo, una boccata d'ossigeno agli asfittici italiani.    Renzi l'ha ricordato il yes we can e mi è venuto in mente il sorriso fiducioso di Obama, il suo braccio alzato in segno di vittoria, d'incoraggiamento; ecco una frase stimolante per via di quell'intonazione rassicurante e calibrata. Una frase che se detta mosciamente, per usare un avverbio che sinceramente non mi è mai piaciuto, neanche moscio mi va: mi pare quasi dialettale, comunque ora mi sembra azzeccato. 
   Dicendo, quindi, una frase priva di vigore, sortirei meno interesse; invece il yes we can con grinta incoraggia, il yes we can moscio e con interrogazione fa sospirare e preoccupare. 
   Le sfumature cambiano i significati, le sfumature sono importanti sia nella lingua parlata o scritta, che in quella musicale.
   Ma noi veramente ce la faremo? Pensiamo positivo, non ci resta nient'altro!