martedì 28 gennaio 2014

Amicizia

                  

(Una poesia di un anonimo, una bellissima poesia, chiara, penetrante e non ermetica, una poesia che esalta il valore dell'amicizia.)

Se potessi fermare il tempo
lo farei per te amica mia
perché i tuoi momenti più belli
regalassero ai tuoi giorni
una gioia sempre viva.
Se potessi prendere un arcobaleno
lo farei proprio per te.
E condividerei con te la sua bellezza,
nei giorni in cui tu fossi malinconica.
Se potessi costruire una montagna,
potresti considerarla
di tua proprietà;
un posto dove trovare serenità,
un posto dove stare da soli
e condividere i sorrisi
e le lacrime della vita.
Se potessi prendere i tuoi problemi,
li lancerei nel mare
e farei in modo che si sciogliessero
come il sole.
Ma sto trovando che tutte queste cose
sono impossibili per me.
Non posso fermare il tempo,
costruire una montagna,
o prendere un arcobaleno luminoso.
Ma lasciami essere ciò che so essere di più
semplicemente un amico.

(anonimo)





sabato 25 gennaio 2014

Blog in caduta? Meglio non scoraggiarsi.

                      

   Gestire un blog vuol dire, e questo lo sappiamo, avere la possibilità di curare una pagina pubblica, una sorta di giornale on line dove pubblicare i propri pensieri che possono interessare come anche non rientrare nelle corde del possibile lettore. Tutto ok: il discorso non fa una grinza, ma ciò che non comprendo è il fatto che, per ricevere una possibile lettura, occorre farsi un giro di ricognizione e lasciare il proprio pensiero, non che non sia gradevole farlo, ma mi sembra una sorta di passaggio obbligato per ricevere il contraccambio, è come se non vi fosse spontaneità in tutta la procedura. Non sarebbe bello invece che ognuno scelga liberamente le sue visitine per il gusto di farle, senza aspettarsi in cambio nulla? Non sarebbe bello che i visitatori giungano per il gusto di leggere e non perché si sentano quasi obbligati a farlo? Se vi fosse spontaneità, ci si sentirebbe maggiormente gratificati dalla loro lettura e il lavoro svolto avrebbe più senso, perché è vero che ciò che conta è avere uno spazio dove scrivere, ma è vero anche che sia più importante un parere sincero scevro da obblighi di comodo.
   Fino a qualche tempo fa accadeva così, almeno per me, giungevano visite di persone
sconosciute, il loro pensiero era sincero e si capiva che non avevano alcun interesse, con questo non voglio dire che i miei amici di sempre siano da meno, anzi sono molto importanti, ci tengo alle loro opinioni e poi loro sono estremamente sinceri: ormai ci conosciamo da tanto e possiamo concederci  la libertà della franchezza. Allora dove porta questo mio sfogo? Datemi un attimo: devo pensarci.
   Ho notato che i commenti sono divenuti come oasi nel deserto, tanti delusi hanno anche chiuso il blog. Sino a poco tempo fa vi era un flusso molto stimolante che faceva nascere spontaneamente la curiosità della conoscenza, mentre ora tutto langue e chi passa a leggere non lascia nemmeno un segno del suo passaggio, neanche un modesto saluto. E' forza colpa del social network? Io sono iscritta a facebook eppure non dimentico il mio blog e i miei amici, per me resta il blog di scrittura il posto di qualità dove misurarsi e mettersi in gioco, mentre facebook è solo una vetrina amichevole nella quale entrare lasciare due righe se il tempo c'è, nulla d'impegnativo come accade per un blog.
   Ma io non demordo e continuerò a occuparmi di questo spazio: entro e mi cibo delle mie stesse parole che vedo scorrere su queste righe. Chi ama farlo ne sente il bisogno, così come un pittore ha necessità di dipingere una tela. Il blog di scrittura è, appunto, uno spazio destinato a chi condivide la passione per la lettura, per la prosa e  per la poesia, ma anche per gli articoli di attualità e per le recensioni, quindi un posto di nicchia davvero creativo e gratificante, perché qualunque sia il grado di cultura c'è uno scambio d'informazioni che arricchisce. E voi, amici di sempre e amici occasionali, che ne pensate? 

domenica 19 gennaio 2014

Fascino misterioso

   
                  
                                                              



   Aveva un modo di reclinare il capo e di volgere lo sguardo che affascinava. Lui si era innamorato di quel volto armonioso e gentile, ora nobile ora misterioso. Doveva conoscerla, doveva parlarle. Non sapeva quando avvicinarla e si beava del suo arrivo puntuale: non disattendeva un appuntamento.
   Egli era un solerte cameriere, faceva servizio al bar del centro durante il periodo estivo; gli occorreva quell’entrata extra: i soldi dei genitori non erano sufficienti a concedergli qualche sfizio, come studente non se la passava bene e, all’insaputa dei suoi che vivevano altrove, si era trovato quel lavoro.
   La signora fascinosa l’aveva conosciuta seduta al tavolino quando gli avevano detto di servire un frappè in fondo alla sala. Pioveva quel pomeriggio e i tavolini erano sistemati al riparo, sotto un pergolato protetto da una tettoia, si udiva il ticchettio della pioggia e il cielo plumbeo creava un’atmosfera misteriosa.
   Si era accostato gentilmente, stava per deporre il frappé al caffè, quando la consumatrice che volgeva le spalle, si girò lentamente e gettando il capo all’indietro mormorò a fior di labbra: “Merci!” fu allora che lui, il giovane uomo, s’innamorò, il suo cuore s’infiammò e al contempo ne fu intimidito, mai riservatezza l’aveva così pervaso.
   Egli era un tipo spavaldo e sicuro, non conosceva titubanza, le ragazze le prendeva e le lasciava per il suo essere spudoratamente vero, un gran simpaticone rubacuori; nessuna gli resisteva e nessuna gli portava rancore, anche dopo essere stata gentilmente accantonata.
   “Restiamo amici, vuoi? Non ha funzionato!” soleva dire lui dopo la storia sentimentale e loro non infierivano, era troppo gentile, nonostante tutto, era troppo ogni cosa.
   L’estate volgeva al termine e lui sapeva che doveva farsi coraggio, ormai la sua vita non era più la stessa, per quanto avesse spiato la misteriosa donna, non aveva colto nulla del suo vissuto. Lei arrivava, consumava e poi scompariva velocemente in un’auto rossa, una monovolume comune a tante altre. Non aveva neanche l’opportunità di poterla pedinare e al bar non la conoscevano, non doveva essere del luogo, sicuramente una vacanziera che aveva affittato una casa, oppure viveva in una pensione.
   Il tormento lo ossessionava, non sapeva se fosse per il fatto che non le avesse neanche parlato o perché lei era rimasta insensibile al suo fascino maschile. Il giovane cameriere quando giungeva al tavolo, per prendere l’ordinazione, la guardava con occhi desiderosi, ma gli s’inceppava la lingua e dopo averle detto solamente: “Prego, signora! Desidera altro?” si allontanava con il suo sorriso stampato e con la coda fra le gambe, come avesse commesso chissà quale misfatto. La signora, dal canto suo, non agevolava la conversazione: era sempre misteriosa e formale e non mostrava stupore nell’essere servita sempre dallo stesso cameriere.
   Il giorno dopo il locale avrebbe chiuso, la stagione era terminata, lui non si presentò al lavoro e si appostò: voleva spiare, senza essere visto. Era a bordo del suo motorino, si era calato il casco sulla testa, quindi era irriconoscibile. La vide giungere e sedersi al solito posto, lei non batté ciglio quando si presentò un altro cameriere per l’ordinazione; dopo aver terminato il suo rituale frappé, si alzò e con passo sinuoso si avviò alla sua auto che aveva parcheggiato poco distante dall’entrata del bar. Quel pomeriggio era ancora più elegante, indossava un tailleur albicocca dalla cui giacca scollata s’intravedeva il femminile seno, al centro di esso un cammeo illuminava il decolté; il volto bellissimo contornato da una cascata di capelli corvini era rilassato e sereno, sembrava felice, di una gioia mai vista prima.
   Lui colse tutti i particolari, era allo stremo, oggi le avrebbe parlato, ma doveva farlo fuori da quell’ambiente: se l’avesse allontanato infastidita, almeno nessuno avrebbe udito. Era trascorso tutto quel tempo ma ora la decisione era presa. Lei entrò in auto e partì; lui dietro con il suo motorino, non doveva perderla di vista, non c’era traffico, tutto sembrava essere dalla sua parte.
   La misteriosa donna, che poteva avere un’età compresa fra i trentacinque - quarant’anni, giunse a destinazione; era un caseggiato fuori mano dall’aspetto fatiscente, strano posto per una donna di quella classe. Lui la vide scendere dall’auto, mentre rispondeva al cellulare, e udì la sua voce alterata e rauca, molto diversa da quella gentile e femminile che le sentiva al bar.  Non capiva e provò delusione, comunque aveva deciso doveva parlarle. Parcheggiò il motorino e percorse il breve tratto non asfaltato per raggiungerla, quando fu avvicinato da un tipo losco dall’aspetto volgare per niente incoraggiante.
   “Sei venuto per Reneé? Si paga in anticipo!” disse l’uomo con sguardo minaccioso.
    “Io vorrei parlare con la signora che è uscita dall’auto rossa.” rispose lui.

   “Certo, Reneé. Giovanotto non fare il tonto. Ti piace il francese, vero?”

venerdì 17 gennaio 2014

Scaramanzia

                 

   Siete scaramantici? Se attraversa la strada un gatto nero che fate? E se si dovesse rompere uno specchio, oppure si aprisse il barattolo del sale e scivolasse tutto il contenuto per terra? E che dire del fatidico giorno diciassette di venerdì, oggi appunto. 
   Non ho ancora finito, mi è venuto in mente l'auto che trasporta il feretro nell'ultimo viaggio, tutte le volte che la incontriamo, per quanto fingiamo un atteggiamento normale o delicatamente giriamo lo sguardo, pur non parlandone siamo visibilmente preoccupati: c'imbarazza la tal visione, sarebbe come riflettere sulla realtà della vita a termine. Perché noi non ci pensiamo, anzi allontaniamo l'idea della sospensione della vita, anch'io in questo momento sto usando un eufemismo, ci sto girando intorno, quando potrei semplicemente scrivere la parola "morte" e che sarà mai, tanto anche se non la nominiamo non c'è scampo, per cui non esiste la parola beneaugurale che esorcizza uno stato normale, piuttosto se taluni lestofanti pensassero che tutto l'illecito che accumulano non lo porteranno nell'aldilà, forse trufferebbero meno: mia madre diceva che una volta al giorno avremmo dovuto pensare alla morte, giusto per non dimenticare il nostro stato provvisorio. 
   Lo so, lo so, è un post strano il mio, m'immagino i vostri visi, magari state toccando ferro, ce ne sono di oggetti metallici lì sulla scrivania e se non ci fossero i maschietti non ne avrebbero bisogno. 
   Dovete sapere che tutto è nato da quando ho girato le cartelline del mio calendario: ho un calendario perpetuo, nel senso che dura una vita, basta cambiare di giorno in giorno i numeri e le diciture dei giorni settimanali e mensili. Oggi appena ho letto venerdì diciassette, ho pensato a tutti gli apotropaici che praticano scongiuri, io non lo sono: non ho mai portato con me un cornetto rosso, di quelli che andavano di moda pendenti al braccialetto e non ho mai voluto appenderlo sulla porta di casa. Se cade il sale ripulisco e non penso a nulla, se si rompe lo specchio non penso a sette anni di disgrazie, e se passa un gatto nero lo guardo serenamente, tra l'altro ha un certo fascino. E oggi? E' per me un bellissimo giorno splende il sole, sto scrivendo e se per caso dovesse andar storto qualcosa non lo attribuirò mai al diciassette porta sventura, è una pura fatalità, tutto qui!

giovedì 9 gennaio 2014

Riflessioni di lettura

                                                                  
                                                                                 
                                                                             
                                                                  
   Può un sentimento essere percepito come qualcosa di magico, come qualcosa che incarna strani poteri? E’ il filo portante di questa vicenda che peraltro assume aspetti torbidi, è la storia di Sara, giovane fanciulla,  che si racconta in prima persona ripercorrendo in età adulta la sua vita dai tempi dell’infanzia sino all’adolescenza che sfiora i margini della giovinezza.
   Sara è una bambina bellissima che vive con gli zii mentre il padre pianista, per via della sua professione, è sempre fuori di casa, lo accompagna Marlene, madre di Sara. Tommaso è innamorato pazzamente di sua moglie e vive un sentimento sofferto a causa dei tradimenti della moglie che, poi scopriremo, ha una psiche disturbata dalle violenze subite durante l’infanzia. Marlene, in seguito, abbandonerà Tommaso e lui farà ritorno alla grande casa, covo d’invidie e depravazioni, dove cresce Sara che può contare solo sulla complicità dello zio Samuel, fratello di Tommaso.  La piccola sperimenterà le prime pulsioni sessuali, è costretta a tenere a bada l’odioso Max, il giardiniere della villa, che in più occasioni tenta un approccio sessuale con la graziosa padroncina.
   Padre e figlia, dopo la morte di Samuel, si riuniranno e andranno a vivere insieme; il sentimento morboso da parte di lei nei confronti del padre è segnato dalla costante presenza del desiderio: essi vivono un rapporto disinibito e Sara tenta di sostituirsi alla madre accompagnandolo in lungo e largo durante le tournèe concertistiche. Ma l’ombra della madre e del suo “amore stregone” incombono, finché fra madre e figlia sarà inevitabile una resa dei conti. Marlene aprirà il suo cuore alla figlia, si metterà a nudo senza falsi pietismi; questo ritorno libererà Sara dalle ultime stregonerie e sarà pronta per la vita che l’aspetta e della quale è stata già precoce protagonista.
   E’ un libro scritto con grandi capacità narrative: calarsi nei panni femminili, sarebbe dovuto risultare non facile ed invece Bevilacqua lo fa con maestria anche nell’aspetto psicologico e con sensibilità entra nell’animo umano dei personaggi. La vicenda è però priva di senso morale: la narrazione della scoperta da parte di Sara del piacere sessuale attraverso il contatto fisico con un cane e la tensione erotica con il padre, rendono la lettura non proprio tollerabile.
   Ma la vita è anche questa e va raccontata, credo che uno scrittore, qualunque concezione abbia, debba metterla da parte e narrare ogni aspetto dell’esistenza umana che a volte è fatta di perversioni, serve per far riflettere e per alzare il sipario su vicende che diversamente non verrebbero raccontate.

domenica 5 gennaio 2014

Conseguenze da botti

                        

   Nel precedente post ho parlato della mancata campagna di prevenzione contro i botti di fine anno ed ero giunta alla conclusione che con i problemi seri che abbiamo, forse lo stato non ha avuto il tempo di occuparsene, ma lo ha fatto in ultima giornata ricordando la pericolosità e sequestrando i botti non a norma.    Credevo, e come me tanti altri, che la crisi e la mancanza di soldi tenessero i fanatici dello scoppio facile lontani dai botti, invece no anche quest'anno, nonostante ci sia stato un netto calo rispetto al capodanno del 2012, le conseguenze dei botti restano pesanti. Infatti fra i numerosi feriti, alcuni anche gravi, un bambino ha perso la mano, un altro ha riportato lesioni all'occhio e ustioni al volto e un signore ha subito l'amputazione dell'arto inferiore. Strano come l'ostinazione possa far ignorare che aggravarsi di ulteriori problemi, significhi peggiorare una situazione già precaria e fragile: un bimbo che subisce una mutilazione è un bambino che richiede cure speciali, ossia costi aggiuntivi, lo stesso dicasi per il bambino con la lesione all'occhio e per quell'uomo con la mano amputata, nonché per tutti gli altri feriti. 
   Abbiamo una nazione che stenta a rialzarsi, è come un malato indebolito che sta perdendo le sue difese immunitarie, quel malato non può permettersi nuove infezioni. La gente, nonostante sia disperata economicamente e moralmente, continua a comportarsi come fosse un ragazzino discolo che ignora gli avvertimenti dei genitori. La salute è un bene prezioso ed è con essa che si può combattere contro le avversità: la forza interiore e fisica giunge dalla salute e mai come in questo momento è necessaria. 
   I veri botti li hanno fatti gli aumenti che son scattati dal 1° gennaio, autostrade, bollette e carburanti, tasse in crescita: si stima che per il 2014 si avrà un rincaro di 1400 euro all'anno. Siamo spremuti come limoni che di vitamina C non ne posseggono quasi più, altro che lasciarsi fiaccare da ludici comportamenti ormai andati in pensione: anche il gioco ha i suoi tempi e questo è un tempo in cui non è concesso smarrirsi dietro petardi dannosi che di lieto non hanno nulla. Auguriamoci che il giorno di chiusura alle festività natalizie non faccia riesplodere qualche botto dimenticato!