sabato 28 dicembre 2013

Buon Anno

                        

   Dovrei parlare della pericolosità dei botti di fine anno, dovrei... invece mi sono accorta che quest'anno la campagna di prevenzione non si è ancora attivata: siamo troppo impegnati col governo e i relativi problemi, non da ultimo quello dei migranti e dell'illegalità italiana che li blocca in centri d'accoglienza anche per due anni, non pensavo che da noi vi fossero ancora i lager.
   Abbiamo problemi con le carceri troppo affollate e allora si mettono in semi-libertà soggetti pericolosi che una volta fuori tornano a delinquere.
   Abbiamo problemi con la vecchia IMU che pare ora sia stata canalizzata nella TARES, ogni giorno nasce una voce nuova con lo scopo di spillarci quattrini sotto un'altra veste.
  Abbiamo problemi con la legge elettorale che dovrebbe essere cambiata per consentirci di sceglierci il candidato; avevamo anche il problema di un rappresentante politico ventennale che pare sia stato messo fuori gioco, dico pare perché la persona in questione è dotata di risorse che forniscono nuova vita.
   E, poi, la burocrazia cavillosa, il lavoro che non c'è, le tasse, la mancanza di denaro, gli scioperi dovuti al malcontento, le alluvioni disastrose, le morti ingiustificate, la sanità, ed ora anche il blocco degli immigrati che se li lasciassimo andare per la destinazione che vorrebbero ci costerebbero meno e invece siamo ora considerati un popolo oppressivo.
   Ma che sta succedendo alla nostra Italia? Eppure siamo considerati di buon cuore, anzi eccessivamente buonisti, è vero con la truffa facile, ma eravamo e siamo un popolo generoso.
   E' nato, ho sentito dire, un nuovo mondo politico, un mondo costituito da quarantenni; ce la faranno a cambiare le sorti di questo nostro paese e a non lasciarsi contaminare dagli uomini di potere? Si scrolleranno di dosso gli opportunismi precedenti e penseranno alla trasparenza che fa crescere e dona benessere a tutti?
   Lo spero, lo speriamo. E con questo pensiero guardo al 2014, auguriamoci che sia l'anno chiave della rinascita in tutti i sensi: sono stanca, siamo stanchi di subire e di patire, ma non solo di dover dare risposte che forse non conosciamo a chi ce le chiede insistentemente, a quei giovani stanchi più di noi di vivere in un mondo senza prospettive. 
   E i botti? Ogni giorno li udiamo, la deflagrazione giunge dal video e la cogliamo intorno a noi. Ma nonostante tutto, sta per nascere un nuovo anno e i nuovi nati hanno bisogno di parole beneauguranti e di gente prudente che non aggiunga ulteriori problemi a quelli già esistenti, per cui sarà meglio non affollare i pronto soccorsi ospedalieri: meglio divertirsi senza rimetterci la pelle o qualche parte del corpo. 
   Con questi presupposti,
                                         BUON ANNO E FELICE 2014 A TUTTI!

martedì 17 dicembre 2013

Lettera aperta a...





   Carissimo, chi l'avrebbe detto che ti avrei scritto, alla mia età poi! Vorresti forse sapere l'età? Ma dai, lo sai che una signora è quasi sempre reticente e preferisce lasciare agli altri il calcolo della sua età: è così bello quando sottraggono anni, è come recuperare una ventata di gioventù, e noi donne non lesiniamo i complimenti mai, anche quando giovani lo siamo per davvero.
Quest'anno ho deciso di rivolgermi a te, di scomodarti, del resto non ti ho mai disturbato in passato: tu non facevi parte del mio mondo natalizio, dalle mie parti quando ero una bimba si aspettava l'Epifania per ricevere doni.
 Il natale è alle porte, carissimo, e i bambini si affrettano a consegnarti le loro letterine, sai anche la mia nipotina l'ha fatto, che bella età è quella: non si conosce nulla del mondo torbido che ci tocca in sorte. Nell'aria l'atmosfera natalizia è malinconica e i luccichii, gli addobbi non riescono a illuminare i cuori spenti dai problemi sempre più crescenti che ci avviluppano ogni giorno e ci deprimono, e anche chi ha una vita pressoché normale, non ce la fa a restare indifferente. E poi diciamocelo francamente, è come una situazione a catena e anche chi non se la passa male potrebbe precipitare e affondare, ma anche se così non fosse, non si può gioire sapendo che intorno a noi il malcontento e la sofferenza dilagano sempre più. Famiglie che vivevano una condizione di benessere, si ritrovano oramai a combattere contro la povertà e i disagi di una vita di stenti senza sbocchi e senza futuro; un'esistenza dove la vita umana non conta quasi nulla e la si sopprime con molta facilità: ti alzi la mattina e apprendi che la tal persona stimata non c'è più e che il tal dei tali è stato ucciso per quattro spiccioli. Viviamo una vita dove la meritocrazia conta meno di niente e allora chi si è impegnato, pensa che avrebbe fatto meglio ad andare a divertirsi invece di aver sgobbato ed essersi privato della leggerezza di una giornata meno faticosa, e chi è stato sempre onesto, si dice che avrebbe fatto meglio a frodare il prossimo in quanto la trasparenza non premia. 
   Carissimo, in questo mondo da adulti i buoni non ricevono premi  e chi si comporta in maniera retta viene perseguito, a differenza di coloro che possono e assoldano chi sappiamo per farla franca; pensa che l'Italia è forse l'unico paese dove esiste la prescrizione e poiché i processi si trascinano per le lunghe con costi elevatissimi che gravano sulla traballante economia, chi dovrebbe finire in galera resta impunito. 
   Lo so che ne sei dispiaciuto e che vorresti fare man bassa di tutti i disturbatori e disonesti di questa società, lo so che vorresti, come so anche che ti è toccato in sorte di non poter intervenire perché l'uomo giunge alla comprensione attraverso i suoi errori. Però c'è qualcosa che potresti fare, per natale potresti donarci nuovamente la speranza: l'abbiamo persa e non va bene, con essa si guarda al domani con ottimismo e coraggio, quella sana voglia di fare che cerca l'impegno; voglia anche di combattere i soprusi, di emergere e di farla in barba agli uomini di potere che ci hanno privato anche dei sogni. 
   Giustizia, solo giustizia, dove chi sbaglia paga! E diamine abbiamo superato gli anni di piombo, l'austerity dovuta alla crisi petrolifera, il terrorismo e andando più indietro la famosa crisi del '29 detta anche Grande depressione: se tu ci porterai in dono la speranza, ci rialzeremo come sempre è stato!    


                                                      BUON NATALE A TUTTI!

lunedì 9 dicembre 2013

Possibile amore

                  

   Quella voce... ormai viveva solo per quella, immaginava e fantasticava, altro non poteva: il lui della voce era lontano, molto lontano. Era successo per caso, una pura fatalità: stava sintonizzandosi sulla stessa emittente quando fu catturata da una voce di un'altra stazione radio, una stazione agli antipodi dal posto dove lei viveva.
   "Oggi parleremo di rapporti amorosi di vecchia data, quelli che si trascinano da troppo tempo. Ma sì,  amiche mie, quante coppie vivono una storia da quindici anni o giù di lì e non hanno voglia né di una convivenza né di un matrimonio? Parliamone, sono qui attendo le vostre telefonate."
   Era rimasta immobile al centro della stanza, poi si era lasciata andare sulla poltrona buona del salotto, quella che di solito non sfiorava se non per darle una spolveratina. Poi si era alzata, aveva aumentato il sonoro della radio e sentiva un fremito, una malia mai provata prima. C'era l'intermezzo musicale e lei attendeva che lo speaker misterioso parlasse nuovamente. E parlò, per comunicare che c'era una telefonata in linea. Fu comprensivo, garbato, lievemente ironico, abile consigliere. Senza schierarsi completamente, seppe indicare il percorso giusto, la soluzione più idonea; la telefonata terminò con un ringraziamento da parte dell'ascoltatrice. Il programma andò avanti per circa due ore, centoventi minuti di diretta condotti da lui e il pubblico delle ascoltatrici che sciorinavano i loro problemi intimi con disinvolta nonchalance. Era come se fossero dal confessore, con la differenza che la loro storia era di dominio pubblico restando nell'anonimato.      Il programma andava in onda nel pomeriggio inoltrato e Terry non perse un appuntamento, ovunque fosse si sintonizzava, in macchina poi era il massimo. I quesiti cambiavano registro ogni giorno e non erano mai banali, ma ciò che era interessante, era la conduzione del presentatore: oltre la sua voce calibrata, spiccava la capacità di valorizzare qualunque argomento con una dialettica appropriata e un'analisi perfetta, lui sapeva anche redarguire e puntare il dito sull'errore facendo riflettere, e non per questo la persona di turno si sentiva accusata, anzi accettava il consiglio elogiando la bravura dello speaker.
   Terry cominciò a fare indagini, voleva conoscere l'identità fisica del presentatore o avere notizie sulla sua vita fuori dalla sfera radiofonica; seppe il cognome ma null'altro, silenzio assoluto. Prese la decisione, avrebbe fatto chilometri pur d'incontrarlo e così giunse alla sede di quell'emittente abbastanza nota. Entrò in sala registrazione, stavano provando un programma da mandare in onda successivamente e lei udì la voce che la tormentava anche in sogno. Fece qualche passo e lo vide, non corrispondeva al suo immaginario: era goffo, sui cinquant'anni e... disabile, si spostava sulla carrozzina a motore.
   "Cercava me?"
   "Come fa a saperlo?"
   "Ne sono venute altre e così come sono entrate, sono andate via."
   "Non rientra nei miei programmi, Max, dovrai buttarmi fuori rincorrendomi con la carrozzina."
   Amiche mie, oggi voglio formularvi questo quesito: "Esiste la pietà in amore? O esiste l'amore impossibile che diventa possibile?"
   Max cercava ancora una risposta.

mercoledì 4 dicembre 2013

Un grande amore

                                                     
          
   

   S'aggirava da sola per le camere, quanti ricordi, quanti momenti vissuti tra quelle mura che traspiravano ancora di odori e di colori. I ritratti degli avi di suo marito sembravano sfidarla con il loro sguardo altero, lei conosceva a mena dito la storia del loro passato glorioso che non esitava a rinvangare tutte le volte in cui le era chiesto. Anche suo marito ormai apparteneva al passato ed erano anni che l'aveva resa vedova; le erano rimasti i figli, ma essi avevano la loro vita che lei viveva di riflesso. Il panorama del suo paese entrava attraverso la vetrata del soggiorno di quella casa che l'aveva vista giungere sposa, se ci pensava, ricordava ancora l'annuncio imperativo di Armando: "Ho fatto affiggere le pubblicazioni, fra otto giorni ci sposiamo!" L'aveva lasciata di stucco, erano fidanzati da più di dieci anni, ma lei stava troppo bene con i suoi che l'adoravano e comprendevano le sue perplessità.
   Era una ragazzina che frequentava il ginnasio e conobbe Armando alla festa patronale, da quel momento non le dette tregua e lei era felice di essere corteggiata dal ragazzo appartenente alla famiglia più illustre del suo borgo. Lui era anche bello e con le idee chiare, avrebbe ricalcato le orme dei suoi avi, avrebbe restituito dignità al casato: il bisnonno, a causa del vizio del gioco e delle belle donne, aveva dilapidato ogni cosa, erano rimasti a memoria gli stemmi su alcuni palazzotti di vecchia proprietà. Lara aveva preso la maturità, il fidanzamento non l'aveva distolta dai suoi studi, poi partecipò al concorso per l'abilitazione ad insegnante delle elementari, ottenne la cattedra e cominciò ad insegnare con tanta passione, la sua vita era ricca così, i bambini, i genitori e Armando come cornice alla sua esistenza appagata. Lui comprendeva e imputava il fatto che Lara non fosse ancora pronta per il matrimonio a causa della giovane età, mentre lui ne aveva dieci in più ed era divenuto l'unico legale del paese, era stimato e ben considerato, i più avrebbero voluto che si mettesse in politica e che si candidasse come sindaco. 
   "Amore, ormai sei un'adulta già da tempo, sei maggiorenne; siamo fidanzati da dieci anni, io non posso più aspettare, ho trentacinque anni, sono realizzato, forse mi candido come sindaco, perché non ci sposiamo?"
   "Non posso, non posso, se mi vuoi continuiamo così!"
   "Basta, oggi passo dai tuoi, mi dovranno ascoltare questa volta, o mi sposi o ti lascio per sempre!"
   Erano gli anni in cui si convolava a nozze anche in giovane età, quindi il comportamento di lei era inspiegabile, non c'era motivo di tenere in piedi un rapporto privo d'amore, tra l'altro non era stata neanche compromessa: Armando non era mai riuscito a valicare quel muro di moralità e tutto ciò rendeva lei ancora più speciale ai suoi occhi. 
   Si fermò un attimo nei ricordi e sorrise amorevolmente alla foto di suo marito che pareva ricordarle il suo grande amore: non ci aveva pensato due volte a prenderla in sposa nonostante la sua presunta infertilità.
   Lara s'era ammalata di tifo poco dopo la maturità, la febbre alta non calava e l'infezione la tenne a letto per circa un mese, si temette che non potesse farcela: al tempo la guarigione era difficile, la convalescenza fu, infatti, lenta e la ripresa fisica altrettanto. Il medico dopo l'ultimo controllo dichiarò la guarigione con una complicanza ginecologica, Lara non avrebbe avuto figli: il tifo l'aveva resa sterile. I genitori della ragazza non si accontentarono di una diagnosi e sottoposero la figlia a vari consulti, l'ultimo medico fu categorico: "Figli? Ci saranno altre gioie nella vita di questa creatura."
   E Armando che aveva sempre ignorato ogni cosa, quel pomeriggio fu informato sulla verità dai genitori della sua fidanzata.
   "Era questo, solo questo!" esclamò risollevato "Non m'importa, io amo vostra figlia, la mia vita è già ricca così!"
   Fece costruire una casa perfetta per le loro esigenze di coppia, una palazzina prospiciente i monti a nord del paese. Quella prova d'amore non fece esitare più Lara. Si sposarono e sulla coppia aleggiò il sentimento autentico, i figli non erano predominanti. E i figli a dispetto delle previsioni giunsero, dapprima una femmina, poi un'altra ed infine il maschio, tre creature tutte in perfetta salute di mente e corpo che completarono quella già perfetta unione.
   "Vero Armando!" lei rammentava tutte le volte che andava a ritroso nel tempo.
   Lui tenne fede anche alle sue promesse, divenne sindaco e ridette lustro al suo casato: tornarono ad essere la famiglia più stimata del paese. 


domenica 24 novembre 2013

Amata tecnologia

                            

   Avevo un quadernetto fra le mani, di quelli con la copertina rigida simile ai vecchi quaderni del passato, l'ho visto e me ne sono innamorata. Ero in una caletta al mare, il luogo ideale per scrivere a penna, il quadernetto mi è venuto in soccorso, in quell'atmosfera intima è stato bellissimo cominciare così:
"E' da tanto che non scrivo a penna su di un foglio di quaderno. Le dita hanno perso la scorrevolezza di qualche anno fa, pare facciano fatica a impugnare la penna e la procedura sembra più lenta e persino poco creativa. Anch'io sono divenuta succube del computer dove la scrittura è meno faticosa e si ha la possibilità di correggere senza dover cambiare foglio e riportare tutto in bella dalla brutta copia, un lavoro quindi un tempo lungo e certosino. La macchina da scrivere, anch'essa, non aveva la funzione cancellatura ed era un po' come scrivere a mano pigiando tasti che inizialmente andavano premuti sino in fondo. La tecnologia ci permette invece di sfiorare i tasti, di correggere e di stampare tutto l'elaborato su di un foglio A 4, beato progresso: corre più veloce quasi del nostro pensiero e ci procura agevolazioni semplificandoci la vita. Dovremmo essere, quindi, una società più felice e più appagata, ma non è così: non sempre questi benefici ci donano la gioia interiore e i problemi esistenziali, tra l'altro, non svaniscono con i comfort creati dalla moderna tecnologia. Il bene interiore si riceve solo con l'amore, antico e sempre nuovo sentimento, non a caso chi ha tutto afferma con lo sguardo velato di tristezza che avrebbe voluto solo un po' d'amore. L'amore è quindi il propulsore che alimenta ogni cosa, è la forza naturale che fa apprezzare anche la tecnologia e sempre l'amore dà lo stimolo a chi si adopera nella nuova scoperta. Chi ha una marcia in più intellettivamente è animato sempre dall'antico sentimento: quando esso cessa, la creatività decade e l'ingegno ne risente fortemente.
   Solo cinque lettere "AMORE" e l'umanità non avrebbe conosciuto l'annullamento interiore, il peso della solitudine, le lotte interne, il ripudio delle famiglie, la mancanza d'affetto, i fraintendimenti, l'odio, l'eccesso di potere. L'amore non costa nulla, è per tutti ed è capace di mutare il corso degli eventi. Ma l'amore è anche  inteso come rispetto, bene per la natura, per l'arte, per la propria terra, per le persone; quell'amore che tutela, salvaguardia, abbellisce, fa crescere e non distrugge. La mancanza d'amore distrugge se stessi e il mondo che ci appartiene!  

lunedì 18 novembre 2013

Insaziabile avidità

           

   Rimpiango i periodi in cui non vivevo le attuali preoccupazioni, rimpiango i periodi in cui credevo di averne; beata giovinezza ora beata, ma quando c'era non credevo fosse tale: mi arrovellavo in varie ansie tipiche del periodo giovanile.
   La prima che mi salta in mente era l'ansia dell'interrogazione, che patema, che batticuore! Gli sguardi della classe, il professore insidioso, il timore di fare una figuraccia.
   L'ansia del giudizio altrui, il doversi conquistare un posto fra gli amici, tenendo testa alle canzonature e riderne insieme, un po' fingendo e un po' soffrendo tacitamente.
   L'ansia della conquista dei diritti che sarebbero seguiti ai doveri: conquistare un plausibile diritto non era semplicissimo, i genitori non demordevano e tenevano ferme le loro idee.
   L'ansia del fidanzato, del ragazzo attraente e simpatico; il sottovalutarsi e non credere nelle proprie potenzialità, guardarsi allo specchio e ritenersi di aspetto mediocre; osservarsi sempre con occhi critici e soffrire, soffrire anche senza motivo.
   L'ansia dell'ottenimento del denaro da parte dei genitori, qualche spicciolo per le piccole necessità.
   Beata giovinezza offuscata anche dai motivi creati da una mente in crescita, farsi tanti complessi e desiderare di essere già grande per avere voce e dare una lezione a tutti i persecutori dei giovani indifesi. Un quadro patetico ora, un paradosso con l'attuale vita in cui i giovani hanno dalla loro genitori consenzienti e tolleranti, genitori che si schierano con i figli  e non insegnano ad affrontare le difficoltà: i rifiuti degli adulti fanno crescere.
   Le stagioni della vita, molto spesso viene usata questa metafora come analogia al trascorrere del tempo nelle varie fasi che ci caratterizzano. La gemma quando spunta e s'affaccia è timida, preoccupata: deve affrontare le avversità; non lo comprende subito, ma durante la crescita. Poi quella gemma diviene più sicura, più pronta, più capace e lotta per divenire frutto con le sue caratteristiche, peculiarità diverse ma altrettanto degne di considerazione. Il frutto raggiunge il massimo fulgore, esiste, è pronto per soddisfare se stesso e il probabile estimatore; quel frutto vive momenti di protagonismo, di vita, ma quel frutto comprende anche cosa implichi essere nel turbinio dell'esistenza. Una stagione della vita che lo vede impegnato e vittima del mutamento del cielo, dell'improvvisa folata di vento, del cataclisma paventato che non ha potuto arginare: gli è piombato addosso per il disinteresse di chi avrebbe dovuto vigilare e costruire un mondo degno d'essere abitato. Il frutto è allo stremo: difficile è la sopravvivenza. Allora ripensa al periodo in cui era un germoglio, ripensa alle sue insicurezze e ripensa anche alla fatica dello sviluppo, vorrebbe riappropriarsi di quel periodo, c'era l'albero maestro a sostenerlo, a incoraggiarlo, a donargli linfa. Ora invece deve cavarsela da solo e lottare contro i parassiti che si nutrono del suo corpo, sono parassiti avidi, insaziabili: non gliene basta  mai. ECCO, sentirsi simile a quel frutto e subire il potere dei parassiti in guanti gialli, parassiti desiderosi solo di soddisfare la loro insaziabile avidità!   


 

martedì 12 novembre 2013

Pioggia battente

          

   Scroscia furiosamente la pioggia, il ritmo incessante crea un'atmosfera cupa, l'acqua s'insinua ovunque, bagna tutto lo scenario e pare voglia entrare nelle case; il silenzio è interrotto dal rumore persistente dei goccioloni che s'infrangono. Uno sbattere di sportelli di anonime auto che hanno ricondotto a casa occupanti desiderosi di rientrare. Ombrelli variopinti di ogni misura proteggono il capo di coloro che sono per strada: la vita non si ferma e occorre andare. Si ode il rumore dei clacson: strombazzano maggiormente quando piove, le auto sono in coda e la visibilità si fa scarsa. La pioggia torrenziale non riesce a defluire totalmente, si otturano i tombini e le strade sono intasate d'acqua. I pedoni non riescono ad attraversare, immergono le calzature nelle pozzanghere, si bagnano, alcuni sono fradici di pioggia: non l'avevano prevista e non sono al riparo di un ombrello, cercano una sistemazione di fortuna, corrono, inciampano, si coprono alla meno peggio. Passa un carretto ricoperto di un telo plastificato, il guidatore è allo scoperto e si protegge con una mantella di gomma che il vento scosta e fa passare la pioggia inclemente. Un barbone si accomoda sotto un porticato, sistema il suo cartone paravento e pone il suo viso sotto l'acqua. Stende le mani e si ricorda di possedere un pezzetto di saponetta, lo strofina nei palmi producendo una schiuma profumata; le mani portano la schiuma al viso e si deterge con l'acqua piovana, una sala da bagno a cielo aperto, lui si lava e sorride. Le piante ringraziano, era da tempo che non scendeva acqua dal cielo, la natura tutta ringrazia. 
   Delia si sta recando al suo primo appuntamento di lavoro: deve andare, deve monetizzare, quell'Iphone di ultima generazione deve essere suo. Per l'occasione ha messo i tacchi a spillo, la mini similpelle e il bomber stretto grigio topo; quand'è uscita il cielo era solo leggermente nuvoloso, l'aveva ignorato e si era detta che il meteo non aveva preannunciato una pioggia imminente. La pioggia la sorprende all'improvviso, tenta di attraversare: difronte c'è un negozio di articoli vari e vuole comprarsi un ombrellino, giusto per ripararsi. Invece non ce la fa e si spezza un tacco lasciandolo nel tombino, i capelli acconciati di fresco si riducono ad una poltiglia gocciolante e per giunta il trucco si liquefa miseramente sul volto ora striato di nero. Giunge allo stesso porticato del barbone sorridente, lo guarda stranita e si ferma un attimo a pensare. Si toglie anche l'altra scarpa, stava anchilosando su di una, le getta in aria e s'avvicina al misterioso clochard, lo ringrazia, lui non comprende. Lei riprende la strada di casa, è felice, si sente leggera, corre persino: sa che ora potrà guardare i suoi ancora a viso alto.

venerdì 8 novembre 2013

Un segno per sempre

                        

   Un paese attraversato dalla ferrovia, i binari vengono rimossi e la ferrovia non divide più il borgo in due, al posto di quelle rotaie viene creato un parco con panchine, aiuole fiorite e giochi per i bimbi. 
   Lui, originario di quel piccolo luogo di provincia, è contento: sua nonna abita di fronte all'attuale parco che un tempo ospitava il treno durante la sua corsa. 
   Lui è un giovane ingegnere, figlio di un ex ferroviere, è un figlio come tanti genitori vorrebbero avere: è perfetto nel comportamento sempre a modo, è scrupoloso, educato, affettuoso, ligio al dovere dapprima scolastico poi lavorativo, è una persona disponibile con tutti, ha il sorriso che nasce da un cuore umano. 
   Lui ha un rapporto di complicità con suo padre e gli manifesta un progetto che vorrebbe attuare con l'aiuto anche paterno: suo padre era stimato in ferrovia, dove all'interno ricopriva un ruolo di tutto rispetto. 
   Il progetto riguarda proprio quella piazza che sta difronte a casa di sua nonna, ecco gli piacerebbe che al centro fosse posizionata una vecchia locomotiva a ricordo del passaggio del treno. In fin dei conti lui vi era affezionato: gli ricorda la sua infanzia e tutte le fantasticherie di quegli anni. Ha ancora in mente i suoi nonni e i loro racconti gloriosi sugli occupanti senza volto del treno in corsa che lui osservava dalla finestra della casa: conosceva gli orari e da bambino si appostava dietro ai vetri ansioso. Crescendo ebbe modo di essere davanti al muretto che separava la ferrovia, aveva scoperto un pertugio e osservava il treno più da vicino, lo stridore delle rotaie era musica che gli accarezzava il cuore. A volte si era chiesto se l'attaccamento per il treno l'avesse ereditato da suo padre che gli aveva dedicato una vita, oppure semplicemente era da associare al periodo trascorso dai nonni e quindi aveva un valore affettivo. 
   Lui viene colpito da un male che non perdona, una malattia rara e inesorabile; un Killer che penetra silenzioso e s'impossessa di ogni suo organo, un killer soddisfatto di compiere la missione sino in fondo. In brevissimo tempo lui non c'è più e appare in sogno al padre ricordandogli il progetto, quel padre con la morte nel cuore trova la forza di avviare una serie di procedure impegnative, sia per i cavilli burocratici sia per il dispendio economico. Quel padre ce la fa e porta a termine il progetto. 
   Ora quella locomotiva trionfa nella piazza dell'anonimo paese di provincia, paese che anonimo non è più, e lui? Lui, per volere del padre, ha sulla sua amata locomotiva una menzione come segno per sempre del suo amore.

giovedì 31 ottobre 2013

Credere, sempre credere.

                                          




   "La forza di un sogno", fiction andata in onda in due puntate, uno sceneggiato che ho seguito perché racconta la storia di un uomo dai profondi valori umani, un uomo a capo di un'azienda che divenne importante a livello mondiale, l'azienda è la mitica "Olivetti" industria leader nel settore macchine per scrivere. 
   Attraversiamo un momento difficile, la crisi imperversa e ci soffocano da tutti i fronti, l'economia stenta a riprendere la sua corsa, non c'è lavoro e le spese sono altissime, ora mi chiedo se Adriano Olivetti fosse vissuto in questo periodo delicato, avrebbe ugualmente creduto nelle sue idee, avrebbe avuto il coraggio di andare avanti? 
   Quando si è determinati e si ha dentro quel fuoco innovativo, forse si mette da parte il timore e l'unica certezza è quella della realizzazione per il bene comune: Adriano Olivetti era sempre dalla parte del lavoratore. Dopo il conseguimento della laurea in ingegneria, il padre Camillo Olivetti non lo fece entrare in fabbrica dalla porta principale, ma volle che suo figlio imparasse il mestiere dal basso, facendo gavetta. Stando a contatto con gli operai, maturò in Adriano l'idea che il posto di lavoro avrebbe dovuto essere più stimolante e con servizi ricreativi e culturali. Successivamente, quando divenne direttore modificò la struttura della fabbrica facendo costruire all'interno la biblioteca, l'asilo, il cinema, migliorò così la qualità di vita della forza lavoro; offrì un salario più congruo e assistenza alle famiglie, progetto che mantenne anche quando aprì una fabbrica di calcolatrici a Pozzuoli. Il marchio Olivetti era conosciuto in tutto il mondo: nel 1955 l'azienda contava 55.000 dipendenti; il talentuoso Adriano fu vittima d'invidia da parte della concorrenza non solo nazionale: fu, infatti, spiato dai servizi segreti americani.
    Adriano aveva idee democratiche e sosteneva che il profitto aziendale andava reinvestito per il bene della comunità, era infatti contrario al capitalismo. Ma fu anche un uomo di cultura: si interessò di letteratura, filosofia, arte e Urbanistica; divenne sindaco ed ebbe due seggi al Parlamento, la politica, comunque, non lo allontanò dalle sue teorie a favore della classe lavoratrice. Egli sapeva interpretare l'animo umano e le aziende crescevano perché tutto era pensato per la produttività: un lavoratore appagato da un salario adeguato e da condizioni lavorative idonee produce e l'azienda prospera. Ai tempi nostri il merito non è riconosciuto, i salari sono in ribasso, vi è sfruttamento della forza lavoro e le famiglie dei lavoratori non sono considerate, Adriano Olivetti offriva anche assistenza alle famiglie, era un uomo che andava controcorrente.
   Alla sua morte, purtroppo prematura, riecheggiarono le sue parole: "Date un letto e una coperta a chi non ce l'ha, offrite un pasto caldo e un lavoro a chi non ce l'ha!"  

giovedì 24 ottobre 2013

Impressioni di lettura

                                                                  

                                                                                                     

   Se non fosse esistito il web, non avrei mai letto questo capolavoro e non mi sarei arricchita di questa splendida lettura. Il libro intitolato “Irminsul”, edito da Artestampa e presentato solo nel Ravennate, è passato inosservato e non appare in catalogo; un romanzo pregevole che non ha avuto la fortuna d’incontrare un editore che gli abbia dato il giusto risalto, io ne sono venuta a conoscenza tramite un blog di scrittura.
   Non conoscevo Romana Morelli, autrice di quest’opera e di altre pubblicazioni, e devo dire che leggerla vuol dire farsi catturare dalla sua penna raffinata, colta, fantasiosa, fluida e coinvolgente. Dalla prima pagina si entra nella storia, un noir poetico che non stanca il lettore con una trama prettamente giallistica, ma regala una vicenda accattivante che andrebbe benissimo per una sceneggiatura di un film: mentre leggevo, infatti, ho scordato ogni cosa e le immagini prendevano corpo, come se fossi stata in una sala cinematografica comodamente seduta in prima fila.
   Il romanzo s’intitola “Irminsul”,nome che in antico sassone significava grande pilastro e la leggenda ci narra dei riti sacri compiuti dai Sassoni dinanzi al tronco di un’imponente quercia, Irminsul appunto. La quercia rappresentava per quel popolo la forza che collegava il cielo alla terra e al tempo di Carlo Magno di Irminsul ce n’erano parecchie. Il romanzo prende il nome da quello leggendario della quercia perché la vittima era per la sua donna l’Irminsul, ossia la forza, la potenza, il mito.
   La vicenda si svolge a Ravenna, amata città dell’autrice, e ha per sfondo il fiume, la natura dipinta come in un quadro impressionista, le brume che ammantano l’atmosfera e creano quel mistero tipico di un delitto che si consuma nell’orto di Otto, la vittima rinvenuta con un forcone nel petto, uomo dal fascino irresistibile, un ingegnere nucleare di origini tedesche, ex spia russa. Ma la storia punta i riflettori anche sull’affascinante giovane moglie di Otto, Dorothy di origini tedesche, laureata in lingue orientali, che in Italia dà lezioni di tedesco a Paola una ragazza che sta preparando la tesi su Kant. Otto e Dorothy si sono conosciuti al tempo della caduta del muro di Berlino, amore a prima vista, e dopo un periodo di spostamenti, giungono in Italia e scelgono di abitare nei pressi del fiume per via del clima che ricorda quello tedesco. Lei non è perfettamente al corrente dell’attività di spionaggio del marito e accetta di buon grado le sue lunghe assenze, fiera soltanto di essergli accanto e di amarlo.
   Intorno ad Otto ruotano altri personaggi, che conosceremo successivamente quando il commissario Minghetti, il protagonista, svolgerà le indagini in giro per l’Europa; sono amici della vittima, anch’essi ingegneri. In ultimo anche un cugino contribuirà a far chiarezza sulla vittima che essendo stata adottata cercava ancora il padre biologico: interessante è la narrazione sull’infanzia travagliata di Otto e sulle successive rivelazioni che aggiungono un tassello nuovo, uno scoop ignoto anche a Dorothy.  Nasce una forte attrazione fra la fascinosa vedova e il commissario che non è il solo a subirne la malia: gli amici di Otto ne erano attratti ma senza speranze. Dorothy, oltre che giovane e bella fisicamente, è anche interessante come persona: è colta, intelligente, coinvolgente e ascoltarla vuol dire farsi catturare dalla sua voce gentile, pacata, seducente.
   Il finale a sorpresa ci coglie impreparati: ci consegna un colpevole insospettato, un finale di un intrigo narrato con estrema bravura, tanta passione e con un valore aggiunto, riferimenti di spessore storico e culturale. In definitiva un emozionante romanzo noir per tutti.








venerdì 18 ottobre 2013

Odio represso

                           

   Dette una spinta, lanciò un urlo e lui uscì con una manina sul visetto: pareva, volesse proteggersi dalle brutture del mondo. Un fagotto, un pulcino dalla pelle chiara e con una spruzzatina di peli biondissimi sulla testa.
   "Ma che bellino, pare un topolino. Speriamo che cresca forte come me." diceva il suo papà che aveva atteso la nascita fuori di casa, dinanzi all'uscio, facendo passi frenetici sul selciato.
   "Franz, è il nostro primo figlio; quanto mi ha fatto soffrire!"
   "Dovrà rigar dritto!" rispose il marito," Non mi piacciono le mammole con i pantaloni."
   "Ma Franz è solo un neonato, si vedrà!"
   "No, no è meglio aver le idee chiare, per l'educazione ci penserò io!"
   "Ma non lo abbracci, vieni, sono certa che appena lo prenderai, penserai solo a coccolarlo."
   Un bell'esordio non c'è che dire, prospettive di un futuro rigido per Hans che imparò ben presto a mettere da parte le lacrime; sua madre nulla poteva contro la collera del marito, uomo inflessibile temuto dai detenuti del penitenziario, dove svolgeva il lavoro di guardia carceraria.
   "Bambino mio, tuo padre a modo suo ti vuole bene, lo fa per educarti. Hai visto il cagnolino, se non lo sgridiamo non ubbidisce. Tu imparerai e sarai bravo."
   Hans covò dentro di sé tanta rabbia repressa che all'età di diciassette anni si arruolò volontario nel corpo d'armata dell'esercito tedesco, suo padre ne fu fiero.
   "Fa strage di buoni a nulla!" gli disse "Prima o poi ci scappa una guerra e tu sarai pronto a far giustizia d'incapaci!"
   E la guerra ci fu, un conflitto che oltre alle mire espansioniste del suo fautore aveva come obiettivo perseguire i buoni a nulla della società, incapaci da sopprimere secondo la mente malata del dittatore capo, uomo prepotente e crudele privo d'ogni briciolo di umanità, uomo razzista, antisemita e despota.
   Hans lo adorò: era colui che gli dava la possibilità di scaricare la rabbia repressa sugli immeritevoli della società, come aveva detto suo padre. E si distinse in soppressioni di massa: dove lui giungeva con il suo sguardo freddo e glaciale ogni vita era cancellata, divenne ben presto il più temuto dell'esercito tedesco.
   Sua madre non sapeva ancora del cambiamento, non sapeva che il suo figliolo era divenuto un carnefice di gente innocente di qualunque ordine e grado.  E Hans non sapeva, a sua volta, che avrebbe dovuto giustiziare proprio la madre, ebrea sin dalla nascita;  la madre che prima di cadere sul selciato gli trafisse il cuore con il suo sguardo puro; la madre, l'unica creatura che lo avesse mai amato.
   Allora... dopo, aspettò il padre dinanzi all'uscio di casa e lo freddò con la pistola d'ordinanza, poi si sparò egli stesso un colpo al cuore.


(Un mini racconto che mette in luce l'educazione sbagliata e autoritaria impartita da genitori privi di cuore, genitori che a loro volta hanno forse subito violenze psicologiche. Menti malate che vanno allontanate dai loro figli. Un tempo era difficile ribellarsi, ora ancora lo è, ma con gli strumenti attuali qualcosa si può e si deve fare per interrompere la spirale di violenza: abbiamo il dovere di consegnare alla società un' umanità giusta che sappia amare.)


martedì 15 ottobre 2013

Beata incomprensione

                  

   Di cosa si può parlare: sembrerebbe che tutto sia stato affrontato! Il detto e ridetto forse potrebbe non interessare, capita anche a me di trovare un titolo e di pensare che quell'argomento lo si conosca in molte salse. Già! E' un po' come il cibo: se non cambiamo luogo, assaporiamo gli stessi menù ma con la variante della creatività e capacità di legare i sapori. Allora verrebbe da dire che la scrittura, più o meno, è sulla stessa lunghezza d'onda: ha bisogno oltre che di ingredienti giusti, anche di armonia lessicale e di creatività unita all'originalità, a quel pizzico d'ironia pronta a sdrammatizzare e al tempo stesso a valorizzare un evento particolare. Ma la scrittura è anche sentimento, passione, emozione il tutto condotto con un trasporto sempre diverso. Pensateci un po', lo chef appassionato ci mette l'anima e dà valore ai suoi piatti con emozione e passione e lo scrittore vero sente dentro di sé identiche sensazioni che intende trasmettere al suo sconosciuto lettore. 
   Eppure nonostante queste capacità, questa distinzione, c'è chi riesce a catturare l'attenzione e chi invece resta nell'ombra, una sorta di corsia preferenziale per alcuni; come se il trovarsi in un dato momento in un certo posto, porti poi a dar luce al suo operato.    C'è anche chi non ha quella verve che si fa strada da sola, quella sfrontatezza tipica della simpatica faccia da canaglia che punta i riflettori su di sé e sul suo operato. 
   Poi vi è la categoria di coloro che credono di saper preparare un buon piatto e ne hanno anche la convinzione, riescono anche ad imporsi sul mercato: la fortuna vuole che trovino degustatori con assenza di palato, persone abituate da tempo a non saper riconoscere la qualità. 
   Stessa cosa dicasi per quei scrittori privi di talento che pensano di essere dei grandi letterati, ma lo pensano a tal punto che considerano i Grandi, che hanno fatto la storia, degli ermetici abbarbicati alle loro chiusure mentali.  
   L'ignoranza pone dei veli alla comprensione e l'immodestia altrettanto! Non sapersi leggere dentro fa parte di quella mancanza di comprensione, occorre avere orecchie attente alle probabili critiche che da qualunque pulpito giungano, sono sempre costruttive. Forza, la porta è aperta, sono in campo!

martedì 8 ottobre 2013

Per non dimenticare

                       


   (Un brano tratto dal mio romanzo: "Un addio senza ritorno".  Poiché ricorre il cinquantenario della tragedia del Vajont, vi propongo lo stralcio riguardante l'evento.)

   Francesco stava per congedarsi, quando in Italia accadde un evento tragico che causò la morte di duemila persone, un evento paragonato all'effetto devastante di due bombe atomiche. 
   Nella notte fra il 9 e il 10 ottobre del 1963 una frana, staccatasi dal monte Toc, precipitò nel lago artificiale formato dalla diga del Vajont che sbarrava le acque del torrente omonimo; la diga resistette, ma l’acqua dell’invaso, un'onda di proporzioni gigantesche, tracimando investì gli abitanti di Erto, Casso, Longarone e Castellavazzo, Longarone andò completamente distrutta. 
   E pensare che quella tragedia si sarebbe potuta evitare: quello non fu un disastro naturale, ma una catastrofe causata dall’uomo e dalla sua megalomania. 
   Il progetto iniziale, dello sfruttamento delle acque del Vajont per produrre energia, nacque nel 1923 e prevedeva la costruzione di una struttura alta 130 m. con un invaso contenente 33 milioni di metri cubi d’acqua, col passare del tempo tale progetto subì delle trasformazioni sino a quintuplicare la capacità d’acqua del lago artificiale. Non furono tenute in considerazione le preoccupazioni degli abitanti che ben conoscevano la zona come terra franosa e instabile. Una giornalista nel 1959 dette voce a quella gente denunciando la situazione, ma non fu ascoltata e subì anche un processo per diffusione di notizie false e tendenziose. Nel 1960, tre anni prima del disastro, ci fu una prima avvisaglia della tragedia a venire: un’enorme massa di terra precipitò nel bacino sollevando un’onda alta 10 m. che non causò danni. Furono avviati degli studi per determinare l’eventuale possibilità di una frana della zona circostante, ma i risultati non furono comunicati alla stessa commissione di collaudo che aveva in precedenza approvato i progetti e i lavori, per cui non furono richieste ulteriori indagini geologiche. 
   Se ne parlava fra di loro giovani militari, avevano raccolto qualche voce di quelle rimaste e seppero dell’opposizione della gente alla costruzione della maestosa diga, ma come spesso accade l’interpretazione del popolo è soffocata da coloro che credono di sapere  ciò che è giusto, ossia quello che è idoneo per il loro arrivismo e per la loro megalomania. Con Francesco c’era anche Salvatore che dinanzi a quella tragedia aveva perso la sua sicurezza spavalda, il suo ottimismo e quel suo buon umore che lo caratterizzavano. Francesco notò che l'amico aveva bisogno del suo sostegno, la recente perdita del fratello gli aveva dato una maturità che non sospettava di possedere. ... (continua)

sabato 28 settembre 2013

Amore rubato

                                

   La letteratura è anche narrativa riguardante quell'attualità cruda che se saputa raccontare diviene cultura, informazione e molto altro. Dacia Maraini, di lei ho letto recentemente un libro che narra delle violenze sulle donne, il libro s'intitola: "L'amore rubato", edito dalla Rizzoli, Bur - contemporanea. 
   Quando ho avuto il libro fra le mani non mi sentivo particolarmente entusiasta. Dovrò leggere storie di donne maltrattate, sicuramente si parlerà di violenze sfociate in uccisioni macabre, mi son detta. Invece anche trattando storie che la cronaca non ci risparmia, ed è giusto sia così, mi sono appassionata al libro per la scrittura fluida e coinvolgente, per quella scrittura dove nulla è lasciato al caso.
   Il libro si articola in otto racconti e ci porta a riflettere su situazioni e drammi taciuti, storie che forse si sarebbero potute evitare, storie di donne fiduciose e cieche per eccessivo amore. Donne istruite che rinunciano alla loro identità credendosi responsabili del comportamento del loro uomo, donne che pensano di meritarsi ogni sorta di sofferenza o peggio ancora che si annullano come madri: concedendo fiducia al loro uomo, hanno gli occhi bendati sulla loro realtà familiare.  
   La prima vicenda racconta una storia di omertà amorosa, silenzio che scaturisce dalla paura e dalla dipendenza, entrambi i soggetti hanno alle spalle una famiglia mancata e quindi il bisogno di averne una fa sì che i comportamenti siano artefatti. La seconda storia affronta il tema del protagonismo indotto, del successo costi quel che costi, successo rincorso e imposto, le conseguenze saranno devastanti; anche questa è violenza: annulla le capacità decisionali, plagia la mente quando si tratta di una minore che poi pagherà con la sua vita. Vi sono anche i violentatori di classe, coloro al di sopra di ogni sospetto; essi circuiscono con eccessive premure e amano stuprando, invadono e calpestano quello spazio temporale della purezza destinato ai giochi, alle fantasie, essi sono la peggior specie. La Maraini ci parla anche di una violenza di gruppo da parte di minori nei confronti di una compagna di classe, una violenza che nonostante fosse stata riconosciuta non perseguirà i colpevoli: i ragazzi saranno tutti rilasciati e verrà organizzata nel paese una festa i cui partecipanti riceveranno una medaglietta con su scritto: "Sempre vince l'innocenza" In un'altra storia, invece, la donna è vittima di una gelosia assurda, patologica, una gelosia delirante che la porterà a un passo dalla morte; la protagonista troverà la forza di chiedere aiuto e salverà la sua vita in extremis. 
   L'amore rubato, il titolo è perfetto: l'amore vero è donazione, rispetto, cura della persona amata. L'amore non è violazione, calcolo, sospetto ingiustificato, violenza: l'amore autentico si nutre di un sentimento pulito fatto di affettuosità scevre da compromessi squallidi o da patologiche manie. Chi ama per davvero si nutrirà delle gioie della persona amata e non delle sofferenze e delle sue paure. Un libro, quindi, per riflettere anche sugli interrogativi taciuti e spenti da un'eccessiva comprensione che plagiano la mente. 

lunedì 23 settembre 2013

Scambio virtuale

 




   La quotidianità ormai si è arricchita di intermezzi che un tempo non pensavamo potessero esistere: gli spazi virtuali. Quei toccasana d'evasione che ci permettono di buttare giù due righe per affacciarci sul mondo. Una frase, un pensiero, una foto, per comunicare anche con chi non abbiamo mai conosciuto fisicamente e che proprio perché è dietro un paravento ci dà a volte più soddisfazioni e ci attrae. Lo scritto se ben strutturato permette molte situazioni, ma il discernimento va tenuto sempre da conto. 
   Il delizioso gattino, qua sopra, pare dire: "Siate guardinghi!" 
  Non per scadere nel moralismo noioso e ripetitivo, chi sarei io per elargire consigli, forse ho la veste per poterlo fare, non so? Ma il gattino della foto con il suo sguardo dolcissimo e un tantino astuto, del resto è risaputa la scaltrezza dei felini, dicevo il tenero micio mi ha fatto pensare al famoso proverbio "fidarsi è bene, non fidarsi è meglio", anche se una drasticità così mi sembrerebbe eccessiva, sarebbe come chiudere le porte dell'approccio comunicativo o della conoscenza in molti ambiti sociali. 
   Le delusioni sono tante: riponiamo la fiducia e ne veniamo delusi, accade molto più spesso di quanto se ne parli; eppure non possiamo, a mio modesto avviso, costruirci un recinto inoppugnabile, che vita priva di emozioni!
   Allora sempre lui ci dice di essere accorti, tutto qui, e godiamoci la nostra quotidianità fatta di nuove evasioni che anche se a volte offuscate sono stimolanti e ci fanno affrontare il grigiore di un mancato cambiamento sociale, lavorativo, politico, culturale e che dire delle notizie tragicamente criminali, è difficile andare avanti. 
   Che lotta questa nostra esistenza, non possiamo esimerci! Comunque dopo aver scritto queste due righe va meglio, buon inizio di settimana a tutti!  

martedì 17 settembre 2013

Magia della parola

                      

   Dover cercare una frase, una qualunque per cominciare. Perché, perché? Non so, così dovrei e perché dovrei? Potrei smettere, nessuno mi obbliga a farlo. Però, però ora che ci penso è bello farlo, è bello veder scorrere parole anche senza senso, così per un gioco di sfida con me stessa; frasi illogiche che tutte insieme forse forse potrebbero avere un senso compiuto, un gioco di equilibri lessicali e di strane congetture. Che pazzia, che ritmo, che... ma che cosa?
   La forma scritta permette tutte queste elucubrazioni: la pagina bianca non si ribella, non ha voce. Lei è lì e accoglie anche le inezie che non portano da nessuna parte: occorre giusto un po' di dimestichezza con le parole e tutto va, scorre. Attenzione però, lo scritto è un documento, chi legge con attenzione lo rilegge e lo pondera e s'accorge del roteamento che porta alla fase iniziale del senso incompiuto, come in questo caso.    La forma orale invece essendo immediata, deve comunicare qualcosa, non vi possono essere giri di parole, oddio vi sono, tipo quegli oratori da strapazzo che abbagliano con i loro sproloqui interessati. Comunque vada, la parola messa assieme ad un'altra parola, e poi ancora un'altra costruisce il pensiero che se non comunica un messaggio si rivela inutile.
   Quindi, cosa avrò voluto dire con questo giro di parole? Ancora non lo so, però ora che ci penso chi lo fa per mestiere, ossia scrivere per riempire pagine di giornali, ha un bel daffare a inventarsi congetture o realtà che possano appassionare il lettore. Deve cercare, reinventarsi, avere l'idea o la notizia giusta magari gonfiata, quelle belle ampollosità che se rispecchiano la verità potrebbero anche starci; non va bene invece quando ciò che si legge è solo un artifizio mentale basato sulla menzogna, di quella falsa verità che influenza a tal punto da fare danni: vi sono persone che si lasciano condizionare da uno scritto ben orchestrato. Ma pensa, pensa, la scrittura è come una melodia che se ben intonata avvince i cuori e li conduce dove vuole, magia della parola.
   E questo è quanto!


giovedì 12 settembre 2013

Caratteristica costruzione

                        Foto: Uno scorcio caratteristico della mia regione, costruzioni pensate per sviare le imposte: all'occorrenza venivano demolite e ricostruite. Ma soprattutto la forma conica e il materiale adoperato, permettevano un'inerzia termica:  fresco d'estate e caldo d'inverno. Ah, cosa doveva inventarsi la povera gente! Sono contraria al mancato pagamento delle imposte, tutto dovrebbe essere a misura di reddito e sicuramente le cose funzionerebbero bene. Mentre per l'inerzia termica ora, dopo errori colossali, le nuove costruzioni sfruttano materiale ecologico che non disperde il calore d'inverno e mantiene il fresco d'estate. Dopo secoli di disastri si è più attenti all'ambiente, all'uomo stesso e agli sprechi.




   Uno scorcio caratteristico della mia regione, i tanto rinomati trulli, costruzioni rurali pensate anche per sviare le imposte: all'occorrenza venivano demolite e ricostruite. 
   Ho appreso questa informazione qualche mese fa e non ho fatto a meno di riflettere sull'astuzia e sull'abilità dell'uomo che sin dai tempi remoti ha dovuto subire le angherie del potere ingiusto nei confronti del ceto meno abbiente. 
   Come facessero in quattro e quattr'otto a rimuovere ogni lastra di pietra grezza, una muratura a secco di spessore elevato, e successivamente a ricomporre l'intera costruzione modulare è per me un mistero. Non avevano studiato tecniche d'ingegneria eppure realizzarono nuclei abitativi dichiarati Patrimonio mondiale dell'umanità dall'UNESCO. 
   La forma conica, unita alla quasi assenza d'aperture, un'unica porta d'entrata e un finestrino quadrato, e il materiale adoperato permettevano un'inerzia termica: fresco d'estate e caldo d'inverno, la povera gente faceva di necessità virtù. Queste costruzioni caratteristiche sono al giorno d'oggi molto richieste nei luoghi di villeggiatura e non solo. 
   Sono contraria al mancato pagamento delle imposte, tutto dovrebbe essere a misura di reddito e sicuramente le cose funzionerebbero bene. Mentre per l'inerzia termica ora, dopo disastri edilizi di svariati anni, le nuove costruzioni, che si attengono alle recenti normative, sfruttano materiale ecologico che non disperde il calore d'inverno e mantiene il fresco d'estate: sono considerate di classe tripla "A". 
   Dopo secoli di errori e di costruzioni selvagge si è finalmente più attenti all'ambiente, all'uomo stesso e agli sprechi.

venerdì 6 settembre 2013

Un rito




   Le emozioni mutano: solo ciò che si sperimenta per la prima volta ha il sapore dell'attesa. Il discorso è vago e non sempre le attese si rivelano emozionanti: vi sono situazioni, infatti, che procurano delusioni. Eppure anche ciò che ci ha entusiasmato, alla lunga non sortisce l'effetto iniziale. Una determinata emozione potrebbe anche appassionarci per molto tempo, ma finisce comunque che mutando noi stessi cambi la sensazione. 
   Un rito... quanti ne conosciamo, molti; ecco prendo in considerazione quello dei fuochi pirotecnici, bellissimi, fantasmagorici, abbaglianti, artistici, creativi, hanno il potere di calamitare sguardi in attesa rivolti all'insù, eppure anche quei variopinti fuochi in molte persone finiscono per non suscitare più interesse. 
   Una serata di ferragosto, un classico: i fuochi che nascono dal mare e s'innalzano fino al cielo, l'effetto è emozionante; tutti che s'apprestano a raggiungere la postazione migliore. La calca della gente, lo sciabordio delle acque, la luna che si riflette sullo specchio d'acqua, il vociare in attesa. I giovani che alla mezzanotte si spogliano ed entrano in acqua felici, euforici e i bimbi con il nasino rivolto al cielo. L'aggregazione con chi non si conosce e che condivide con noi il rito di ferragosto, quand'anche fosse ripetitivo è comunque un momento che si rinnova anche per quel calore umano che vorremmo avere forse più spesso. 
   E loro non si fanno attendere: prorompenti, roboanti, caleidoscopici, salgono alti in cielo illuminandolo. Una cascata, girandole in festa che ebbero il loro esordio nell'ottavo secolo in Cina; è tutto come allora: gli effetti sono simili, solo che gli spettatori del passato erano forse più estatici e meno esigenti. 
   Il rito termina e ci si appresta al ritorno, si condividono emozioni del dopo rito, si è felici. Comunque sia andata, è stato un motivo di festa essere ancora insieme su questa terra che ne ha viste tante e ne continua a vedere a malincuore: vi sono luoghi dove quei botti hanno qualcosa di diverso e i cieli illuminano a morte gente innocente vittima del potere. Nei luoghi di pace vi sono purtroppo gli insoddisfatti che non apprezzano la sana ripetitività dei riti gioiosi e assistono solo per accompagnare chi invece continua ad emozionarsi. Allora ci si sente dire: "Ma son sempre uguali, cosa c'è di diverso?" 
   Anche l'amore è sempre uguale, eppure è sempre bellissimo. Anche il mare, i fiumi, i boschi, lo sguardo di un bimbo, l'affetto delle persone care, eppure ogni volta procurano emozioni nuove. 
   I riti ripetitivi fanno parte del nostro vissuto e come tali non vanno disprezzati: regalano attimi di gioia condivisa. Poi ci sarebbe il discorso nello specifico della pericolosità dell'operatore e della fabbrica dei fuochi, ma questa è un'altra storia.

martedì 3 settembre 2013

Tenera sorpresa

                                  


   Funzione religiosa all'aperto, un'atmosfera conciliante: il verde dei pini, la tranquillità del momento, sembra di essere lontani dal mondo con i suoi problemi. Non vi è distrazione, ma un ascolto piacevole e mistico che dona pace al cuore. 
   Ci si osserva e ci si ritrova, bello ritrovarsi come fosse un appuntamento. 
   Quest'anno una nuova presenza, un bimbo dal volto angelico: aspetto da cherubino, stessi capelli ricci e biondi, bellissimi gli occhi celesti limpidi e dolcissimi. Un bimbo piccino, forse ha solo tre anni, un bimbo che ascolta con serietà l'intera funzione: composto, assorto, immobile e con gli occhi rivolti all'altare. Giunge il momento della comunione e lui si pone a mani giunte, attende la sua ostia. 
   Il sacerdote lo guarda con infinita tenerezza, tutti i presenti lo osservano e ne gioiscono: pare un angelo mandato dal cielo. Al termine della distribuzione dell'ostia, il misterioso bimbo riceve il suo premio: un'ostia non consacrata, è felice la mangia e torna al suo posto sempre compito e a mani giunte.          
   Domenica successiva stessa scena: quel bambino è tornato e si è comportato allo stesso modo. 
   Una signora dice: "Mi piacerebbe sapere quale sarà il suo percorso di crescita." E un'altra: "Auguriamoci che il mondo non lo cambi." 
   La purezza dei bimbi e dopo? Una buona e amorevole famiglia è determinante, credo che il cherubino misterioso ce l'abbia: ho scorto i genitori dall'aspetto perbene senza fronzoli, quell'aspetto educato di sani valori.      
   Ciao bimbo misterioso, chissà forse i tuoi genitori passeranno da questi parti, a loro dico di continuare a coltivarti ancora con tanta dedizione: i fiori per crescere in bellezza richiedono cura e tanta attenzione. 



   p.s. (un breve scritto di rientro, a Voi tutti auguro una serena e bella giornata, con calma passerò a leggervi.)

mercoledì 10 luglio 2013

Buone vacanze

Amici, mi prendo una pausa, la classica pausa estiva, e vi auguro di trascorrere giornate serene che vi ritemprino  e vi diano nuova linfa. Vi lascio con quest'augurio e con una breve parte del mio secondo romanzo, spero di trovare un editore no profit. 
                                                BUONE VACANZE, a presto.

Romanzo


                      


   Lo sguardo di Osvaldo si soffermò sul mare che s’intravedeva attraverso la finestra, su quelle acque azzurre che luccicavano per i bagliori del sole, e fu in quel momento che gli balenò il nome da dare alla piccola.
   “Flora," rivelò lui "quando sono venuto da te la prima volta e le successive, ciò che mi ha colpito di questa casa è l’azzurro del mare che sembra entrare attraverso i vetri. Io sono nato in questo paese, ho trascorso anche la mia infanzia, ma con la mia famiglia abitavo al lato nord e di là si scorgono solo le case; vedevo il mare in estate, quando mi accompagnavano i miei genitori, mentre qui lo si ammira tutto l’anno, ecco perché questo posto mi affascina tanto! Bene, la bambina si chiamerà ‘Azzurra’, come il nostro mare. Che ne pensi cara?”
 “Come vuoi tu,” replicò Flora “se ti rende felice questa scelta, lo sono anch’io!”

   Questo piccolo brano l'ho estrapolato dal mio secondo romanzo, "Un addio senza ritorno", che giace in un cassetto ormai da tempo, mi capita di rileggerlo e di apportare nuove modifiche: è come se la mia precedente scrittura avesse bisogno di diverse rielaborazioni. 
   Sicuramente nel tempo si diviene più esigenti, un po' per la pratica, un po' per la maturità che va di pari passo con il tempo che scorre, e allora si ha voglia di crescere e di guardare oltre con un'ottica nuova.
   Avrei potuto proporvi un altro brano: il romanzo è abbastanza corposo e abbraccia quasi un secolo di una storia familiare, una saga che consta di due protagonisti principali, uno consequenziale all'altro e tutto ci riporta al capofamiglia in questione, militare retto e ferreo, che esercita la sua disciplina anche all'interno delle mura domestiche. 
   Il romanzo traccia la vita non solo dell'ufficiale ma anche dei personaggi che gli ruotano intorno, moglie, figli, parenti: tutto si riconduce a lui che segnerà il destino dei suoi cari e del secondo protagonista principale a cui il titolo del romanzo è dedicato.