venerdì 27 febbraio 2015

Impressioni di lettura

(Vi ripropongo una recensione di un libro dalla lettura distensiva, ma interessante: a volte val la pena rispolverare anche post precedenti, magari per tornare a parlarne e rifletterci un po'.)

                                       

   Mi hanno regalato un libro di narrativa che tratta di filosofia. In chiave ironica vengono presentati i sommi maestri della filosofia, i filosofi antichi; in quarta di copertina è scritto: "Altamente istruttivo e altamente divertente, questo è un libro di etica narrata. Una cosa nuova sul mercato delle idee. Una cosa di cui si sente sempre più il bisogno..."
   Innamorarsi e restarne soggiogati, nella vita vi sono vari innamoramenti e non solo di tipo sentimentale: l'autrice dopo aver letto "Storia della filosofia greca", libro scritto da Luciano De Crescenzo, al quale dedica un particolare ringraziamento, subisce un colpo di fulmine filosofico. Ma l'innamoramento nasce in lei sin dalle scuole elementari è lì che il seme radica con la conoscenza di Pitagora, in seguito amerà Platone per il "Simposio", Aristotele per il principio di non contraddizione, Epicuro per la concezione dell'amicizia e Cartesio per il cogito. Lei dice che senza di loro la sua vita sarebbe stata vuota.
   Giovanna Zucca, è un'infermiera e lavora come strumentista e aiuto anestesista; è laureata in filosofia e tiene parecchi seminari. Avete già avuto modo di conoscerla, attraverso la mia presentazione del suo libro d'esordio "Mani calde" che tratta la storia di un bimbo scampato alla morte dopo il coma. Questo libro è la libera rielaborazione della sua tesi di laurea e nella parte conclusiva, dedicata ai ringraziamenti, l'autrice con umorismo si addossa ogni responsabilità della sua eventuale "cialtroneria intellettuale" (queste sono le sue precise parole).
   La narrazione comincia con alcune righe tratte dal Parmenide di Platone: "Zenone, che cosa vuoi dire? Che se la realtà è molteplice, i molti devono essere insieme simili e dissimili, ma questo è impossibile, perché le cose dissimili non sono simili, né quelle dissimili?..."
   Siamo a casa di Giovanna che con tanta buona volontà tenta di leggere il Parmenide, fa molto caldo e la concentrazione è  scarsa, le disquisizioni filosofiche fra Socrate e Zenone sono astruse e incomprensibili, l'ontologia è difficile da apprendere.
   La scena si sposta a casa di una famiglia romana, stessa serata calda, in televisione un evento importante, una serata speciale di "Porta a Porta" con ospiti illustri, i mitici maestri della filosofia chiamati lì per discutere il tema della virtù come bene comune. Si parla di un evento straordinario con collegamenti satellitari, seduti in studio ci sono già il "divino" Platone, Aristotele di Stagira ed Epicuro di Samo; seduti tra il pubblico altri illustri maestri contemporanei, Gianni Vattimo, Massimo Cacciari e Luciano De Crescenzo. La famiglia romana, come tante altre, ha il televisore acceso, lo speciale di Vespa incuriosisce il signor Nando che richiama sua moglie Grazia; sopraggiungono in un secondo momento la fidanzata del figlio ed in seguito il ragazzo. I coniugi romani, a digiuno totale di filosofia, attraverso le spiegazioni della ragazza s'incuriosiscono e decidono di seguire il programma con molto interesse anche per imparare qualcosa. La signora Grazia comprende che gli argomenti filosofici riguardano la quotidianità e che la filosofia aiuta nella comprensione degli stessi.
   La scena si sposta, poi, in Sicilia, un professore di filosofia in pensione  non crede ai suoi occhi quando vede sul palcoscenico di "Porta a Porta" i sommi maestri; finalmente trattano la sua amata materia insegnata con fervente passione; crede che il tutto sia un artifizio metafisico e si irrita soltanto quando scorge De Crescenzo seduto tra il pubblico. Entrambe le situazioni sono narrate nell'idioma di appartenenza, infatti i dialoghi sono in perfetto romanesco e in perfetto siciliano.
   I filosofi durante la trasmissione sciorinano acuti pensieri  e disquisiscono sul valore della virtù, si scatena una diatriba che porta i telespettatori a comprendere meglio gli avvenimenti contemporanei alla luce della filosofia antica. Vespa ha molta difficoltà a condurre il programma, il tutto sembra sfuggirgli di mano e spera di placare i sommi maestri con l'ultimo ospite: durante la puntata una poltrona è rimasta vuota, si attende il Grande Cartesio, che involontariamente è stato dirottato altrove.
   Questo è un libro non solo etico, ma anche pedagogico: trattare un argomento importante, sotto forma di narrazione, è particolarmente adatto per coloro che necessitano di un approccio ad una materia che migliora il modo di pensare e di ragionare sull'esistenza nella sua totalità. Tutti noi ci chiediamo il senso delle cose e perché esistiamo, e questa è "Filosofia"; Giovanna Zucca si pone come obiettivo insegnare la filosofia dei Grandi, ossia l'amore per il sapere.

domenica 22 febbraio 2015

Inatteso epilogo

                       
 

   Un giorno, mancava un giorno, solo ventiquattr'ore e avrebbe dovuto scrivere l'epilogo di quella storia nata per un'esigenza. Chiuse gli occhi e s'impose di dormire: durante la notte avrebbe elaborato il finale perfetto.
   Che fastidioso prurito, forse un molesto insetto era la causa del disturbo. La parte gli prudeva e cominciò a sfregarsi senza sollievo, ma non aveva la forza di accendere la luce e di alzarsi per andare in bagno: nell'armadietto dei medicinali ricordava di avere una pomata antistaminica proprio adatta al caso. Passò la notte agitato e insonne, una specie di dormiveglia tormentato, una lotta col prurito. Al mattino scese dal letto e si guardò allo specchio, una grossa macchia violacea ricopriva buona parte dell'avambraccio e fu tentato di strofinarsi ancora: il prurito era più acuto. Cercò la pomata e la spalmò sull'eritema, finalmente un po' di sollievo, ma durò poco, molto poco: passò l'intera giornata a ungersi con l'unguento e ad applicare cubetti di ghiaccio sulla parte infiammata. Sperava che il fenomeno regredisse, del resto altre volte era successo: stranamente da qualche tempo era divenuto allergico alle punture d'insetto, in particolar modo a quelle della zanzara tigre. 
   La vita scorreva alla meno peggio, il lavoro d'amministratore aziendale, nonostante il fastidio che non accennava a diminuire, riusciva a svolgerlo, anzi nei momenti di massima concentrazione finiva per non grattarsi molto. S'accorse del problema un collega di ufficio, era anche un caro amico che lo esortò a recarsi da uno specialista. 
   "Ma dai," rispose Fulvio "che vuoi che sia. E' solo un banale prurito!" 
   "Banale non direi, cocciuto che non sei altro. Sai che facciamo, domani vieni con me dal dermatologo, devo farmi controllare una cisti che ho qui sul collo." 
   "E da quando si è manifestato il prurito?" chiese lo specialista "Ma davvero! Va avanti così da un mese, e come ha fatto ad avere una vita normale?"
   "Non capisco, è solo un prurito che si attenua con la crema e di notte riesco ad addormentarmi."
   "No, non è solo un prurito, un brufolo, come lei l'ha denominato. Vede questa escrescenza e l'alone violaceo intorno al brufolo, ho il sospetto che sia qualcosa di grave."
   Fu prelevato un piccolo frammento e analizzato, il referto fu catastrofico: ogni speranza era abbandonata: e non aveva neanche il tempo per metabolizzare il tutto, essendo un male all'ultimo stadio.
   L'amico era scioccato, ma doveva trovare delle parole di conforto e visto mai di possibilità di diagnosi errata o di guarigione improvvisa e inspiegabile. Fulvio si lasciò guidare: non aveva parenti, era solo a questo mondo, dopo che i suoi genitori erano scomparsi in un tragico incidente; l'unico punto di riferimento era il suo caro collega che era come un fratello per lui. Nei momenti di solitudine, quando si ritrovava nell'intimità di casa sua, finì per apprezzare tutto ciò che prima non riteneva importante e la paura di morire gli dette un senso di rilassamento mai provato prima, come se non gli importasse più nulla degli eventi. "Non avendo un futuro," si diceva "vivo con calma gli istanti che ancora possiedo."
   Dove trovasse la forza era un mistero e ancora di più, dove trovasse quella filosofia di vita. L'amico se lo chiedeva e avrebbe voluto scuoterlo: non gli sembrava normale un tale distacco, era a due passi dalla condanna e non scalpitava neanche un po'.
   Cominciò il decorso ospedaliero, la routine da protocollo e Fulvio rassegnato non batteva ciglio: si sottoponeva con forza alla devastante terapia, chi ne soffriva maggiormente era il suo amico fraterno. Ci fu una leggera ripresa e poi un peggioramento, un ricovero d'urgenza fu indispensabile, quando al dolore acuto subentrò una crisi respiratoria.
   "No, non è giusto, perché i migliori devono andar via, un ragazzo d'oro, era lui a incoraggiarmi!"
   Si svegliò madido di sudore e si tastò, lui c'era e si guardò il braccio scoperto, nulla non c'era nulla e non aveva prurito, però che incubo che strano sogno, aveva un cervello che non si riposava neanche di notte. Ma sì la risoluzione al problema, a quella storia andata oltre e alla quale avrebbe dovuto mettere una pietra sopra: gli serviva un epilogo perfetto. L'incubo evidentemente scaturiva dalle sue preoccupazioni, la situazione che si era creata non era facile e ancora più complicato era uscirne senza danno.
   Oggi toccava a lui aprire lo studio perché la sua assistente sarebbe giunta più tardi: gli aveva chiesto quel permesso in via eccezionale per motivi di famiglia. Fulvio lesse l'agenda degli appuntamenti e vide che alla prima paziente avrebbe dovuto devitalizzare un canino. Era un medico dentista e doveva la sua veloce ascesa proprio a quella paziente: una persona di spicco in città che contava conoscenze di riguardo, peccato lui avesse imbastito una tresca amorosa, una relazione che gli stava stretta e alla quale stava per mettere la parola fine.
   "Giulia, accomodati, oggi sei la prima. Vedrai non te ne accorgerai nemmeno!"
   "Ma come, neanche un bacio prima dell'intervento, ho la bocca profumata." e si avvicinò a lui vogliosa.
   Fulvio la allontanò con delicatezza, fingendo un attacco di tosse.
   "Sei raffreddato, mio caro? Se non stai bene possiamo rimandare."
   "Non preoccuparti, non è così grave."
   La devitalizzazione si svolse nel migliore dei modi, Fulvio nel tempo era divenuto un dentista esperto e buona parte della città si rivolgeva a lui, ed essendo un piccolo centro abitato la parola d'apprezzamento si diffondeva in fretta. Ma lui non stava bene con se stesso: era stanco di quella relazione con una donna sposata e non tanto giovane. Lei era la moglie del sindaco e quando si erano conosciuti in palestra, lui, che non aspettava altro, aveva fatto il cascamorto con la bella signora proprio per accaparrarsi possibili clienti. E così era andata, in brevissimo tempo lo studio divenne frequentato dalla gente bene, Giulia spargeva la voce in fretta e lui sapeva essere un buon amante.
   "Giulia, accomodati, dovrei parlarti."
   "Oh che faccia seria! Ci vediamo nel pomeriggio al solito posto, mi dirai tutto dopo, ora c'è mio marito che mi aspetta per una colazione di lavoro."
   "No, quello che devo dirti non può aspettare. La nostra storia non può continuare, dobbiamo lasciarci. Io non ti amo più e ho diritto a rifarmi una vita, ad avere dei figli. Resteremo buoni amici, io ti stimo tantissimo e conserverò sempre un buon ricordo di te, oltre che la mia gratitudine sarà eterna."
   "Ma davvero!" esclamò lei accesa in volto. "Ti andavo bene all'inizio della tua professione, cosa credi che non l'avessi un po' intuito. Ma mi dicevo, forse non è così, diamogli una chance, io conosco tanta gente, posso dargli una mano e forse non è come sembra. Però essere messa da parte in fretta e in malo modo, no e poi no. Io decido quando e come, misero verme!"
   La macchia violacea sull'avambraccio, dovuta alla caduta, si ricoprì di sangue che zampillava dal cranio fracassato; così lo ritrovò l'assistente quando aprì la porta dello studio impregnato ora del solo odore della morte. 

giovedì 12 febbraio 2015

Vittime innocenti

                   Risultati immagini per vittime bambini                                                                  

   Non c’è mai fine al dolore: gli occhi lacrimanti dei bimbi vittime delle atrocità dell’uomo implorano aiuto, implorano pace. Il loro sguardo penetra il cuore: sono occhi di sofferenza e di condanna per un mondo esacerbato ancora dal potere di sopraffazione. La religione, sentimento di rispetto per una divinità, alimenta cuori al servizio del male. Il fanatismo religioso è, purtroppo, un’arma acuminata per gente invasata che, calpestando ogni diritto umano, assoggetta a sé con violenza e martirio persone innocenti nate per sbaglio in un posto ove la sopravvivenza è ancora una sfida. 
   Gli occhi di quei bimbi conoscono il terrore del nascondimento, della fuga: molti sono nati sotto le bombe, molti sono venuti al mondo mentre le loro mamme fuggivano dall’orco cattivo. I fanatici crudeli alimentano la loro sete di rigidità, di asservimento con il sangue e lo strazio delle loro vittime; i loro proclami nascono da una credenza esasperata d'intolleranza verso chi ha idee diverse dalle loro. 
   Dall’inizio dei tempi l’uomo ha lottato per la sopravvivenza, ha dovuto difendersi dalle avversità, lo faceva secondo la sua conoscenza e con i mezzi che la comprensione gli portava a reperire; man mano l’esperienza ha forgiato le capacità di intuizione, ha affinato le tecniche, ma ancora non è riuscita a usare l’intelligenza con rispetto e amore.  
   Sono dei nostri giorni le notizie di guerre fratricide che insanguinano i luoghi in cui nacque la civiltà umana, luoghi in cui le religioni stridono fra loro per differente scuola di pensiero. Sono dei nostri giorni notizie di barbare uccisioni di bambini appesi a delle croci, il solo pensiero mi stringe il cuore fino allo spasimo. Sono dei nostri giorni notizie di bambini e adulti obbligati a morire e sono dei nostri giorni  informazioni di pulizie etniche da parte di dittatori assetati di sangue.
    In occidente esiste una condizione di libertà decisionale: la fede non ci è imposta e ancora la dittatura non ci appartiene, ma la vita anche in un mondo libero dai fanatismi è oramai una lotta. Crisi economiche la stanno impoverendo, l’uomo è sempre più disperato; per di più, a causa di queste guerre nei paesi extra-comunitari, frotte in fuga cercano riparo in un'Europa esasperata dalla crisi e l'Italia, essendo la porta del Mediterraneo, è l'unico accesso disponibile.
   Esiste un ago della bilancia, un oscillatore di valutazione capace d’interagire positivamente: vari Stati democratici si adoperano per trovare una soluzione che accordi le fazioni contrastanti e a volte le soluzioni finiscono per essere armate, e anche qui ci sarebbe da disquisire in quanto le armi producono commercio. 
   L’età del ferro segnò l’inizio del cambiamento, dell’evoluzione nelle tecniche di lavorazione, ma caratterizzò anche la fabbricazione di armi nate per la difesa: l’uomo non è capace di dialogare, ancora oggi la parola non stabilisce l’intesa.
   La Vita dono meraviglioso in ogni sfaccettatura viene calpestata da credenze esasperate, follie, dittature, possesso, prevaricazioni, domini, umiliazioni e atrocità che vanno oltre l’immaginabile. Ma la vita, ancora mistero per chi da sempre ne studia le origini, è un dono superbo, un dono per cui lottare in armonia e senza spargimento di sangue: un sorriso ricevuto è ricchezza interiore!





martedì 10 febbraio 2015

Possibile risveglio

                        

   Si può scrivere un articolo partendo dal nulla assoluto? In questo momento non ho la più pallida idea di ciò che dovrò argomentare. Annaspo, volgo lo sguardo, ho una camera studio che mi permette di orientarmi intorno; cerco un'idea, una piccola increspatura, ma che vorrò dire? Avete presente quelle pieghe un po' sollevate che formano delle grinze, ebbene è fra quelle grinze mentali che cerco l'idea. Ma come, con tutti gli argomenti che vi sono, sto tanto a lambiccarmi e a confondervi a tal punto che state già decidendo di cambiare lettura.
   Il detto e ridetto non interessa, occorre cercare qualcosa di particolare o perlomeno riesumato dal passato, non so un qualcosa che possa stuzzicare l'interesse. Leggo di qua, leggo di là, spesso lo facciamo e con i mezzi attuali ne abbiamo di materiale da spulciare ed è proprio in questo mio tentativo che riesco a leggere una notizia attuale, ma che si rifà al passato: la mia mamma aveva la consuetudine, specialmente in tarda età, di raccontarmi l'evento spesso, molto spesso, evidentemente temeva che potesse capitarle.
   Fa freddo e i senza tetto non hanno un riparo, dormono all'addiaccio come le pecore che comunque hanno una coperta naturale. Un'anziana donna è ritrovata in stato di ipotermia e dopo i controlli del caso è dichiarata morta. Il suo corpo è collocato in una bara di plastica che durante l'attesa ha sviluppato calore all'interno dell'abitacolo, calore sufficiente a far riattivare il corpo dell'anziana tornata in vita.
   Allora mi chiedo, se è proprio vero che un cuore che cessa di battere, possa riprendere la sua corsa? Non siamo a novembre e non so perché sto affrontando quest'argomento che sicuramente vi sta facendo fare tutti gli scongiuri del caso, ma è ciò che ho letto e che mi ha colpito. Credevo che, con le nuove tecnologie e competenze, non capitassero più avvenimenti di questo genere, e invece pare che questo non sia un caso isolato, anche altri si sono svegliati post-mortem. Ma che succede, non siamo ancora all'altezza di riconoscere un estinto vero da uno falso o siamo soltanto frettolosi e poco responsabili al compito del caso?
   Errore umano, finiamo per dichiarare, e di errori umani se ne commettono, errori gravissimi che si ripercuotono non su di una sola persona ma hanno una reazione a catena e l'uomo si sa ha le sue problematiche dalle quali non si stacca e la sua mente finisce per deconcentrarsi, però in caso di ruoli di estrema responsabilità dovrebbero selezionare personale capace di non commettere errori, per così dire umani.
   E' vero non siamo infallibili, ma più attenti potremmo esserlo e forse nel caso del cuore che riprende la sua corsa ci sarebbe da disquisire, anche perché non sono un medico e ciò che conosco è per pura documentazione fruibile secondo le mie possibilità.
   Ho tergiversato e vi ho introdotti in un campo che se da un lato vorremmo arginare, dall'altro dovremmo cercare di comprenderlo, non per tutelarci ma solo per saperne di più.
 

giovedì 5 febbraio 2015

Sfortunato amore

  

 (Anche se siamo nel terzo millennio, una storia vintage realmente accaduta è sempre interessante da raccontare, è come fare un tuffo in un passato ormai lontano. Di passi avanti ne sono stati compiuti, alcuni positivi e altri meno, ma ciò che conta è aver conquistato la libertà di amare la persona che riteniamo giusta per noi, o anche di non abbandonare il frutto di quell'amore.) 

    Lisia, dal nome altisonante, non ebbe una vita al pari del suo nome: fu obbligata dai genitori a rinunciare al grande amore della sua vita e costretta a legarsi in matrimonio ad un uomo invalido che la rese infelice da subito. Lisia era una bella ragazza dai capelli rossi, lunghi ed ondulati, raccolti lateralmente all’altezza delle tempie ornate con pettini e nastrini di raso; era anche una sempliciotta di bassa statura, ma con un corpicino niente male. All'età di diciassette anni, la madre le dette il permesso di frequentare il laboratorio da modista di una boutique di prestigio e, con impegno e passione, imparò a confezionare i cappellini di quell’epoca, siamo nel 1935. 
   Lisia si recava puntualmente ogni giorno al laboratorio e sicuramente non passava inosservata: un giorno accadde che un ragazzo di buona famiglia, un certo Pietro, si accorgesse di lei e da allora prese l’abitudine di aspettarla ogni giorno, solo per vederla passare. Lisia gli piaceva e spinto dal bisogno di parlarle, trovò un giorno il coraggio di raggiungerla e fermarla. Alla ragazza non dispiacque quell'incontro, così quotidianamente  presero l'abitudine di percorrere un bel pezzo di strada insieme e chiacchierando del più e del meno, nacque un'attrazione e un forte sentimento. Pietro e Lisia iniziarono ad appartarsi nei portoni poco frequentati, parlavano, si confidavano segreti, si scambiavano tenerezze e facevano progetti per il futuro; purtroppo i genitori di entrambi i ragazzi vennero a conoscenza di quello che stava accadendo e ambedue le famiglie convocarono separatamente la fanciulla.
   La madre di Pietro fu molto schietta con Lisia e, anche se la conosceva ben poco, le parlò sinceramente:
   “Vedi, cara, anche se non so molto di te, si vede chiaramente che sei una brava ragazza e che sei fatta per il matrimonio e per vivere un futuro felice, un futuro che, figlia mia, te lo dico come se fossi tua madre, Pietro non potrà mai offrirti! Egli non lavora, è un ragazzo viziato e se è così è tutta colpa mia." La donna era sinceramente accorata e se per il figlio non nutriva speranze di una buona riuscita, voleva mettere in guardia la sfortunata ragazza. "Io ho esaudito sempre tutte le sue richieste, i soldi non ci mancavano,  gestiamo un ristorante che ci ha permesso una vita più che dignitosa. Pietro, purtroppo, ci sta consumando tutto, ora siamo quasi sul lastrico e noi non possiamo più finanziarlo. Sai cosa fa Pietro ora per vivere? Il borseggiatore e un giorno o l’altro lo arresteranno, la nostra famiglia sarà del tutto infangata e io non so se avrò la forza di accettare un figlio tanto disgraziato!" lo disse con le lacrime agli occhi e tanta tristezza "Rassegnati, cara... lascialo perdere, tipi come lui non cambiano!”
   Lisia era sconvolta, lasciò quella casa con il cuore a pezzi, consapevole del fatto che amava Pietro e che per stare con lui era andata contro le regole del tempo: gli si era concessa e questo segreto, che non aveva raccontato a nessuno, neppure alla sua nipote-amica, ora le pesava come un macigno sul cuore.
   La madre di Lisia fu ancora più diretta e dura con la figlia.
   “Devi dimenticarlo, cancellarlo del tutto dai tuoi pensieri! Sappiamo bene chi è, cosa fa e quanto fa disperare quella povera donna di sua madre che avrebbe dovuto castigarlo al momento opportuno! Noi ti vogliamo bene, Lisia, ed è per il tuo bene che abbiamo deciso di darti in sposa a quella degna persona che l’altro giorno ci ha chiesto la tua mano! Oronzo ha solo un piccolo difetto fisico, non ha un udito eccezionale, ma in compenso ha un ottimo lavoro, fa il rilegatore di libri per una rinomata congregazione dei salesiani. Vedrai,ti farà felice!”
   Lisia ascoltò senza interrompere le parole della madre: non poteva opporsi alle regole del tempo e tra l'altro sapeva ormai di aspettare un bambino. Quella notizia non l'aveva ancora comunicata a Pietro che sicuramente sarebbe stato felice e le avrebbe chiesto di sposarlo. Ma dopo le parole della madre capì di non avere scelta, avrebbe rischiato, avrebbe sposato il non udente, anzi avrebbe dovuto farlo al più presto, prima che si fossero notate le sue rotondità.
   Quando Pietro apprese la notizia del matrimonio della sua “adorata fidanzata” andò su tutte le furie! Ogni giorno si appostava nell’attesa di vederla passare: era diventato difficile incontrarla da sola, Lisia non andava neanche più in laboratorio, non stava bene e la gravidanza taciuta incominciava a procurarle problemi di salute. Un giorno però Pietro esasperato avvicinò la giovane anche se era in compagnia  della madre e pur sapendo di non entrare nelle grazie della famiglia di lei, non poteva più attendere.
   “ Ma cosa ti ho fatto? Dovevamo sposarci, tutti i nostri progetti per il futuro! Il nostro amore! “ la incalzò disperato "Cosa ti è successo all’improvviso, hai smesso di amarmi?"
   Lisia, a testa bassa, non riusciva a guardarlo. Intervenne prontamente la madre che senza mezzi termini gli intimò di sparire per sempre: sua figlia stava per sposarsi con un brav’uomo al quale era stata già promessa.
   Il matrimonio ebbe luogo e Lisia iniziò la sua vita da moglie accanto a un uomo che non amava. Oronzo inizialmente fu gentile e comprensivo e seppe attendere che la bella moglie fosse pronta al proprio dovere di sposa. Quando giunse il momento l’uomo non si accorse di non essere il primo, in quanto scambiò la sofferenza di Lisia, che lo detestava, per patimento fisico d’altro tipo.
   Con il passare delle settimane la pancia divenne sempre più evidente e in famiglia, marito compreso, si pensava che sarebbe stato un parto gemellare per la crescita della pancia in così breve tempo, (all’epoca non esisteva l’ecografia e si procedeva per congetture). Lisia portava quel segreto nel cuore e sperava che alla nascita nessuno se ne sarebbe accorto: voleva far credere a tutti che il bambino veniva al mondo prematuro, ossia di sette mesi.
   Cominciarono le doglie, fu convocata l’ostetrica e fu preparato il necessario per il parto in casa; tutto avvenne senza complicazioni e venne alla luce un sano maschietto che l’ostetrica pose nelle mani del presunto padre felice attorniato dai nonni esultanti.
   “Complimenti! Auguri a tutti voi! È nato un bimbo sano e vispo!
   La madre di Lisia sollevata rispose:
   “Oh, per fortuna! Temevamo che fosse sotto peso, essendo un settimino!”
   “Ma quale settimino?" esclamò l’ostetrica, ignara del danno che stava per arrecare "Il bambino è al nono mese, perfetto per la nascita!”
   Tutti si guardarono in silenzio per lo stupore e in un attimo compresero che Lisia li aveva raggirati: quel bambino era il frutto del precedente e peccaminoso amore della donna.
   Nella casa salì l’agitazione, si udirono le urla e in pochi minuti cominciarono ad arrivare altri parenti informati dell’accaduto. Incuranti delle condizioni della partoriente, ognuno urlava contro di lei e qualcuno cercò di picchiarla. Lisia comprendendo la gravità della situazione, in preda al panico e ancora stordita dal parto, balzò fuori dal letto e cercò di raggiungere la porta della stanza con il sangue e i residui di placenta che le sporcavano le gambe. In camicia da notte corse a rifugiarsi nel cortiletto retrostante la casa. Il fratello, i suoceri e i genitori la chiamavano a gran voce, urlavano richiamando l’attenzione dei passanti e dei vicini sempre più incuriositi.
   “Venite, venite pure, entrate, c’è qui una puttana, una furba puttana!”
   Volevano picchiarla, ma non riuscivano a trovarla e si indispettivano ancora di più! Alla fine furono messi alla porta dal marito, tradito e umiliato! Da quel giorno ebbe inizio per Lisia una vita tormentata. Oronzo, il marito, non la perdonò per il resto della sua vita e poiché il suo udito non era un granché, fraintendeva ogni parola e gesto della moglie e tutto alla fine si ripercuoteva sulla poveretta che ebbe solo la sventura di incappare in un precedente amore sbagliato.
   Il bambino per i primi anni fu affidato ad una coppia di parenti senza figli e quel bambino Lisia lo vedeva sempre poco e di nascosto: il marito vigilava e controllava, proibendole ogni incontro.
   Storie di altri tempi, le ragazze madri erano una  vergogna per la famiglia, per cui o si sposavano con costrizione e conducevano tutta la vita nell’amarezza più nera, oppure cedevano il bambino ad una famiglia senza figli in cambio della più assoluta omertà.