
Come le sarebbe piaciuto riappropriarsi della precedente banalità, di quella vita sempre uguale scandita dai soliti ritmi. Un'esistenza scontata, lei l'aveva denominata, un'esistenza blanda alla quale non bisognava chiedere il come e il quando o il che si farà: la progettualità non c'era e si conosceva anzitempo quello che andava fatto. Le feste ogni anno finivano per accentuarle quel senso di grigiore e per quanto in definitiva non aveva nulla che non andasse, un marito fedele e innamorato, dei figli sani e diligenti, lei era stanca della mancanza di quell'organizzazione imprevista e imprevedibile, ovvero sia avrebbe voluto vivere le festività all'insegna dell'innovazione, rispettare le tradizioni certamente, ma vivere i giorni speciali tutti insieme sotto una luce diversa, una luce dallo sfavillio nuovo. Allora sapendo che andava incontro alla solita programmazione scontata, ogni anno le prendeva l'insoddisfazione e ne sentiva il peso; cercava di mostrarsi serena e appagata ma dentro di sé covava quel senso di frustrazione, di malinconia che la sviliva, oh quanto la sviliva! Poi al termine dei rituali, quando riprendeva la normalità, le si alleggeriva il cuore e adorava la quotidianità recuperata, quella dei giorni normali in cui non doveva dar conto a nessuno, di quei giorni in cui decideva per sé: marito e figli erano alle loro occupazioni e lei viveva il tempo secondo i suoi canoni.
La vita è strana, tanti vivono il disagio dell'emarginazione sofferta, di quella povertà che non permette di godere di un'esistenza normale e a volte scontata, ma pur sempre un'esistenza fatta di rituali vissuti al riparo della propria casa con gli affetti più cari, e per quanto la situazione sia ripetitiva e quindi forse non stimolante, è una situazione di privilegio apprezzabile: questo Silvana se lo diceva ora in quel letto d'ospedale, nell'assoluta immobilità rifletteva sulla sua precedente vita che avrebbe voluto tale e quale, non una differenza, la sua vita uguale, scontata ma viva, viva nel senso della totale e splendida autonomia che fino a ieri le apparteneva.
Era successo tutto all'improvviso, era l'antivigilia di San Silvestro e sapeva già che l'indomani avrebbe trascorso a casa il fine d'anno, mai un fuori onda veglione di mezzanotte in uno dei tanti locali della città, l'attendeva il solito cenone a base di pesce e contorni vari, per finire zampone e lenticchie. Come odiava l'odore di lenticchie: era così nauseante! Era stufa anche della bottiglia di spumante stappata alla mezzanotte in attesa davanti al televisore che trasmetteva i rintocchi dei secondi mancanti all'anno nuovo; loro, i protagonisti dello spettacolo in ghingheri parati a festa, lei col solito pulloverino rosso e quell'aria stanca da factotum tuttofare. Poi gli auguri sempre uguali, abbracci e baci a profusione, un accenno di degustazione del piatto propiziatorio di buona sorte, un'ulteriore scorsa al programma in onda sulla tv di stato e dopo una mezzora di sosta sul divano, teneramente stretta al marito che non la lasciava un attimo: dopo vent'anni era ancora innamorato come il primo giorno, andava a dormire mentre fuori il roboante festeggiamento giungeva sonoro e comunicava l'esistenza di vitalità celebrativa del nuovo anno. Lei sapeva che, a poco meno di ventiquattro ore, ancora una volta si sarebbe ripetuta la solita commemorazione di fine anno e sapeva anche che quest'anno sarebbero stati in due: i figli avevano deciso di cambiare atmosfera, beati loro si diceva. Allora le era presa una rabbia, avrebbe voluto gridarla al mondo intero, ma lei no: era una persona controllata, sopportava tutto per il bene dell'unità familiare. I primi tempi aveva provato a ribellarsi, ma non era accaduto nulla: suo marito aveva trovato il modo per condurre l'acqua al suo mulino e con il passare degli anni le proteste di Silvana si annullavano sul nascere e la vita scorreva precisamente come la voleva lui, il consorte. Ricordava con chiarezza come si era svolta l'ultima giornata da persona sana, anziché infuriarsi e urlare, era scesa velocemente da casa e stava per andare in stazione, voleva sparire e non farsi ritrovare neanche da "chi l'ha visto", come odiava quel programma che suo marito guardava con assiduità, odiava la sua totale metodicità: giungeva a casa sempre alla stessa ora, non sgarrava mai. Doveva fare in fretta, perché non ci aveva pensato prima, stupida si diceva, stupida e tollerante. Farneticava e gesticolava, mormorava persino; mise un piede in fallo e inciampò all'incrocio, mentre sopraggiungeva un motorino che la scaraventò per aria, poi il nulla e quest'odore di disinfettante. Quest'odore e il volto di suo marito distrutto dal dolore, a capo chino appoggiato al suo cuscino non l'aveva lasciata un attimo dal momento del ricovero d'urgenza, la corsa in ospedale e l'intervento. Suo marito era rimasto con lei, sempre e solo con lei, seduto ad una sedia non l'aveva abbandonata tutta la notte e ne spiava le mosse. Le asciugava il volto cosparso di goccioline, le sussurrava tenere parole, le diceva che sarebbe tornata normale, solo un po' di pazienza; la riabilitazione certamente, ma poi normale, e a stento tratteneva le lacrime. Povero caro, lui l'amava; ora lo comprendeva, lui semplicemente l'amava. Le sue amiche erano in angoscia per i loro mariti che rientravano tardi e ne spiavano i movimenti controllando ogni cosa perché non si sentivano amate e considerate. Le sue amiche festeggiavano alla grande nei locali "in" della città, cambiavano atmosfera, ma si lamentavano perché non ricevevano un gesto di tenerezza e d'amore, e a letto erano anni che il dovere era diventato solo un dovere sporadico, mentre suo marito era appassionato come il primo giorno e lei, Silvana, doveva tenerlo a bada. Dio com'era stata ingrata!
Lo guardò negli occhi, mancava solo un'ora alla mezzanotte, e gli disse: "Desidero tanto le lenticchie, amore mio!"
Lo guardò negli occhi, mancava solo un'ora alla mezzanotte, e gli disse: "Desidero tanto le lenticchie, amore mio!"
BUON 2013 A TUTTI!