Pensavo di protrarre e di continuare a pubblicare, ma oggi il pc mi ha salutato: l'ho acceso e ha esalato l'ultimo respiro. Ora è in rianimazione presso un centro assistenza e non so quando sarà pronto. È come se avesse voluto concedersi una pausa in concomitanza del periodo ferie.
Amici vi auguro buone vacanze di vero cuore, continuerò a seguirvi con il mio smartphone dal quale sto lasciando il comunicato.
Un abbraccio globale
Annamaria
giovedì 16 luglio 2015
venerdì 10 luglio 2015
Macchinazione (parte dodicesima)

Nel nostro DNA riceviamo anche i geni caratteriali, il percorso della
vita altera o smussa quei geni e Nicola a sua volta era stato educato al
rigore, alla durezza di sentimenti, alla disciplina avulsa da sentimentalismi. Col matrimonio aveva in serbo di trasmettere al futuro figlio quanto aveva
ricevuto, una sorta di riscatto dalle sofferenze patite, come se la mancanza d’amore scatenasse altra mancanza: sono gli esempi che formano l’individuo o possono
generare in lui un addolcimento che eviti le stesse pene. Caterina non riuscì a
dare un figlio a Nicola e lui un giorno per rabbia, che coltivava da tempo, stuprò
una domestica che si trovava in una casa di una signora che aveva chiesto l’intervento
dello stagnino più conosciuto del paese.
La giovane lo ricevette con atteggiamento provocatorio, lei non si
rendeva conto d’essere oggetto di desiderio: aveva un problema a livello
mentale, ora diremmo diversamente abile, per cui non si preoccupava se l’abito
era fuori posto e metteva in evidenza le sue grazie. Fiorenza era una bella
creatura dall’aspetto provocante, ma con la mente era molto indietro rispetto
alla sua crescita fisica: era rimasta una bambina ubbidiente e smaliziata.
Prestava servizio alla signora più in vista del borgo, era la moglie del
sindaco che l’accolse dopo che i genitori di lei erano morti per malattia, un
tifo li aveva stroncati a breve distanza l’uno dall’altro. La tal signora si
dispiaceva del ritardo mentale della giovane ma non sapeva che fare e oltre a
darle ospitalità e un lavoro, capitava che di tanto le affidasse, in sua assenza,
incarichi poco impegnativi: accogliere l’idraulico per una riparazione era cosa
che, secondo lei, la ragazza poteva adempiere.
Nicola aveva terminato di riparare il tubo
della vasca in pietra che era in giardino, faceva caldo, molto caldo, quell’estate
la calura era insopportabile. Egli osservò la ragazza, la luce fosforescente che
filtrava dalle foglie della magnolia illuminavano il corpo di Fiorenza, lo
esaltavano, i seni turgidi premevano attraverso il misero abitino in cotone che
con l’umidità s’era appiccicato addosso, s’intravedeva persino la mutandina;
non ce la fece più e chiese un bicchier d’acqua, nel mentre la seguì. La prese
di spalle e la strinse forte, in casa non c’era nessuno, e cominciò a baciarla
sul collo e poi scese là, dove era cominciato il suo oggetto del desiderio. Lei
non capiva credeva che lui volesse dimostrarle affetto: nel suo ricordo c’era
ancora il papà tanto bravo e amorevole, il caro padre che aveva attenzioni d’affetto
e di premura come un buon padre sa fare. Quel papà non era scomparso dai suoi
ricordi e la mente bambina era ancora ferma a quei dolci momenti familiari,
fatti di risate, di abbracci, di condivisione, di attenzioni. L’abbraccio si
fece più intenso, animalesco e lui le strappò l’abitino, la mutandina, lei non
capiva: il suo papà non la spogliava con forza, il suo papà era tenero e
gentile. Sprazzi di pensieri che non ebbero il tempo di avere una risposta, un
dolore lancinante le fece perdere coscienza, la penetrazione violenta e fulminea
le causò un dolore insopportabile, mai provato. Nicola scappò, via, e quando Fiorenza si ridestò,
non ricordava perché era lì per terra, era rimasta al momento del bicchiere d’acqua
che doveva portare al buon stagnino.(continua)
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racconto,
ritardo mentale,
stupro,
violenza
mercoledì 1 luglio 2015
Macchinazione (parte undicesima)
Victor adorava leggere e immergersi nelle storie altrui; non era il
primo libro che leggeva e aveva cominciato subito a farlo, sin da quando aveva
imparato a leggere con dimestichezza. Le suore dell'orfanotrofio erano aride nei rapporti con i bambini ma
regalavano sogni attraverso i libri, era un dono momentaneo: a fine lettura
dovevano riconsegnarli ed esporre a parole il contenuto della storia e ne discutevano
insieme, quelle suore erano delle ottime insegnanti. Ora che viveva una condizione
di repressione e semi povertà, in lui crebbe ancor più la smania di leggere: s'isolava dal
contesto abitativo, dalla realtà priva di sentimento e soprattutto, nonostante i
suoi quasi nove anni, sapeva che, le suore erano state brave in questo, attraverso
la lettura avrebbe perfezionato quegli studi che faceva a scuola. Il padre adottivo,
per fortuna, gli aveva permesso di continuarne la frequenza e dopo le elementari
lo iscrisse anche alle medie.
Il bambino per raggiungere la scuola ubicata in
un paese vicino era costretto a prendere la corriera e con la stanchezza dei lavori
pomeridiani e le levatacce il mattino presto, giungeva all'edificio scolastico ch'era stanco e
assonnato e finiva per addormentarsi sul banco. I compiti a casa di conseguenza
non li svolgeva in maniera corretta e si barcamenava come poteva, dopo aver rigovernato
la cucina dai piatti sporchi della cena: a lui toccavano anche tutti i lavori
di casa. Ma quando era nel suo spazio, che per quanto minuscolo era il suo senza
intromissioni, prendeva fra le mani il suo libro segreto e si perdeva nella
lettura delle avventure del piccolo principe che imparò a guardare le cose
della vita attraverso gli occhi del cuore.
Più Victor proseguiva nella lettura e più comprese che l’amore era la panacea dei mali di questa vita, lui non riceveva amore perché il padre Nicola non sapeva amare a causa dei vari dispiaceri che gli avevano tolto questa possibilità, rendendolo un uomo arido e privo di cuore. Egli come figlio, nonostante tutto, avrebbe fatto il modo per insegnargli ad amare e l’occasione capitò un giorno in cui Nicola era riverso sul letto febbricitante e delirante.
Più Victor proseguiva nella lettura e più comprese che l’amore era la panacea dei mali di questa vita, lui non riceveva amore perché il padre Nicola non sapeva amare a causa dei vari dispiaceri che gli avevano tolto questa possibilità, rendendolo un uomo arido e privo di cuore. Egli come figlio, nonostante tutto, avrebbe fatto il modo per insegnargli ad amare e l’occasione capitò un giorno in cui Nicola era riverso sul letto febbricitante e delirante.
“Papà, che ti succede, stai male?” chiese il bambino al rientro da
scuola.
“Va a chiamare il dottore, ma prima devo dirti che sei come ti volevo e
che mi somigli. Hai visto, Caterina, che son capace di fare un figlio, sei tu la
pianta secca e io ho fatto bene a farmelo fare dalla Giuseppina.” diceva con
gli occhi rivolti al cielo.
Victor non comprendeva, ma uscì subito di
casa e fece le stradine di corsa per andare dal dottore del paese, aveva nel cuore
la gioia di aver sentito parole quasi d’affetto per lui, in fin dei conti
Nicola non era poi così cattivo, pensò, sentiva dentro di sé che il loro rapporto
sarebbe stato diverso. Gli avrebbe fatto leggere il suo libro ricco di morale e
di buoni insegnamenti e il padre avrebbe ripreso ad amare, a guardare il mondo
con gli occhi del cuore; strano, un bambino che faceva riflessioni più grandi
di lui e fu questa spiccata meditazione associata a una intelligenza fuori dal
comune che l’evoluzione mentale del piccolo, Victor, prese un’altra piega.(continua)
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