mercoledì 23 gennaio 2013

Il viandante


                                                                                                                               


   Quella primavera aveva tardato ad apparire, ma ora era un'esplosione di colori e di umori. Le gemme facevano capolino: parevano richiamare l’attenzione e Rosy finalmente si beava del risveglio della sua campagna romagnola. Avevano avuto una stagione lunga, fredda e piovosa. Giornate sempre uguali pasticciate di grigiore freddo e di umidità pungente, le cui perlacee goccioline s’insinuavano ovunque, anche nei meandri della mente appesantita dai pensieri foschi.   
   Era giunta verso mezzogiorno in quella campagna, il sole alto nel cielo l’aveva richiamata e Rosy aveva abbandonato il suo ufficio in pieno centro cittadino. Il cemento edilizio la stava schiacciando, come tutto il resto, ma questa volta il lavoro da professionista poteva attendere: non doveva spiegazioni a nessuno.
   Scese dalla macchina, si guardò intorno e si illuminò.
   “Ci sono le prime foglioline, che belle! Mi stavate aspettando, volevate che vi vedessi, che venissi qui a coccolarvi!”
   Parlava a voce alta Rosy: non c’era nessuno. La sua esternazione era frutto del cocente dolore che ancora non l’abbandonava; erano trascorsi nove mesi, quanto una gestazione, e lei viveva con quella piaga nel cuore che la dilaniava e non le dava pace.
   “Amore, oggi mi fermo tutto il giorno in ufficio, c’è il consiglio d’amministrazione!” annunciò Rosy al suo uomo. “Spero di essere qui per cena, almeno passiamo la serata assieme.”
   “Dolce fragolina, va tranquilla!” cantilenò Armando. “Ti raccomando di dar da mangiare alla bambina; lei, anche se non ha voce, reclama cibo lì dove si trova!”
   “Lo sai che non potrei dimenticarmene, da quando sono incinta, ho una fame da lupo.” rispose lei con gioia, e poi abbracciandolo gli sussurrò: “Ti amo, sei tutta la mia vita, a stasera!”
   Uscì di casa felice: non le mancava nulla. Aveva un lavoro importante e, dopo sette anni di matrimonio, amava Armando come il primo giorno. Era proprio un marito adorabile e finalmente sarebbero stati una famiglia completa: la piccola Eva, attesa a lungo, stava per nascere e tutto andava per il meglio, la gravidanza era perfetta.
   Il consiglio d’amministrazione slittò al giorno dopo e Rosy decise di fare una sorpresa ad Armando. Aprì la porta di casa dolcemente: era in anticipo, avrebbe così preparato un pranzetto con i fiocchi e poi apparecchiato la tavola a puntino. Entrò in cucina e vide due calici sul vassoio d’argento, uno dei due flutes era sporco al bordo di rossetto. Si guardò intorno stranita: non comprendeva; allora, si aggirò per casa, come per dare una risposta a se stessa, quando udì delle voci sommesse provenire dallo studio. Si affacciò e li vide… suo marito e una rossa dalla pelle bianca come la luna. Essi erano nudi sul tappeto persiano, dono di nozze dei nonni. Rosy si risvegliò in un letto d’ospedale che lasciò da sola: scomparvero in un sol colpo suo marito, che allontanò per sempre, ed Eva che non vide mai la luce.
   Il lavoro la assorbì, ma non le dette la pace, la sua mente era ferma a quel giorno maledetto e a quel porco d’uomo che le aveva strappato la gioia di divenire mamma, ed era per questo che ogni cosa nascente per lei… era una creatura da rispettare e proteggere.
   Tornò spesso in quella campagna per seguirne gli sviluppi e notò una mattina un viandante sporco che aveva visto anche il giorno precedente. S’incuriosì e lo spiò per non farsi notare, non voleva dare spiegazioni: fuori dal suo ufficio, poteva essere informale e calarsi nei suoi pensieri. Si accorse che il pellegrino era seduto al fresco della quercia e con lo sguardo perso nel vuoto, bisbigliava parole a fior di labbra.
   ‘Anch’io lo faccio’, pensò ‘siamo uguali; forse soffre profondamente quanto me?’
   Rosy uscì dal suo nascondiglio e si rivolse allo sconosciuto con pacatezza:
   “Buongiorno, vuole dell’acqua fresca? Ho una bottiglia in auto nel vano frigo.”
   Il viandante misterioso la guardò incuriosito e con mestizia, mentre tracciava con una canna strani ghirigori sulla terra, mormorò:
   “Yo no hablo tu idioma.”
   “Ho capito, vieni dalla Spagna. Va tutto bene, io ho studiato la tua lingua.”
   Seppe poi che si chiamava Francisco e che aveva attraversato buona parte della penisola iberica e mezza Italia a piedi: era in viaggio da… non sapeva dire quanto e non voleva tornare nella sua patria. Il suo parlato era stentato e smozzicato, come se la mente avesse subito uno choc e stava lentamente riprendendosi. Rosy comprese e da quel momento smise di pensare a se stessa, sentì che doveva dare una mano al pellegrino per farlo riappropriare della sua vita che sicuramente era degna d’essere vissuta. Gli propose una colazione a casa sua, egli passivamente acconsentì, forse era agli estremi. Giunti a casa, Rosy indicò a Francisco il bagno, lo fece con molto tatto e scaltrezza, augurandosi che si ripulisse da tutta la polvere che aveva accumulato sul suo corpo e potesse dare così una sferzata alla sua anima.
   Sentì lo scrosciare dell’acqua. ‘Ce l’ho fatta!’ esultò ‘Spero che indossi anche la roba pulita che apparteneva a quel verme di mio marito, spero che la noti sullo sgabello!’ pensò Rosy compiaciuta.  
   Si sentì euforica, come non le accadeva da tempo, allora apparecchiò velocemente la tavola, aveva in frigo degli affettati, dei formaggi e anche dell’insalata verde; stappò, poi, una bottiglia di Sangiovese e predispose nel cestino il pane casereccio. ‘Non manca nulla,’ si soffermò a pensare.
   Lui comparve poco dopo in sala, era un’altra persona; un fior di uomo, un moro con degli occhi scuri, profondi, e ciglia lunghe che gli donavano un’aria molto, molto sexy.
   “Non so neanche come hai fatto a convincermi.” biascicò in un italiano stentato. “Quando sono entrato nel tuo bagno, guardandomi allo specchio non mi riconoscevo più; poi, mi sono rivisto dopo la doccia ed ho compreso che non vale la pena sprecare la vita per chi non la merita.”
   “Lascia stare, siamo in due a dover dare merito a quest’esistenza che ci appartiene. Vieni a tavola affoghiamo le nostre pene in questo profumato vino e saziamoci con quello che c’è. Conosci anche l’italiano, molto bene… meno fatica per me!”   
   Francisco, mentre era a tavola, lentamente recuperò quei ricordi che aveva allontanato come fastidiosi e distruttivi; la sua memoria in un flashback tornò al pomeriggio in cui le sue certezze caddero miseramente, al pomeriggio in cui ascoltò senza essere notato.
   “Consuelo, porquè? No te gusta mas!”
   “Parla con la tua lingua, io ti comprendo e tu lo sai.”
   “Bellissima morettina, ho rispettato i patti, tuo marito è a capo del personale, in poco tempo ha avuto una bella carriera; lui non lo sa, ma lo deve a te.”
   “Certo, certo, ma ora voglio di più non mi basta quello che guadagna; devo sostituire l’auto con una più degna di me e poi dobbiamo arredare la casa con mobili d’epoca, ricercati: un comò stile Luigi XV è da sempre nei miei desideri.”
   “Se vuoi, potrei organizzare un incontro speciale. Tu non rischi nulla, nessuno vedrà il tuo bel faccino, porterai la maschera anche questa volta.”
   “Sei un sudicio, un maiale che, però, onora gli impegni. Ricordi quando sono venuta a perorare la causa di mio marito, semplice impiegato della tua azienda. Tu ti sei alzato e dopo avermi ascoltato, molto spudoratamente mi hai detto che la carriera ci sarebbe stata, se ti avessi dato in cambio una raffinatezza, un’estasi particolare; l’hai detto così, senza mezzi termini.”
   “Già, ci siamo intesi subito. Tu sei andata alla porta, hai dato una sola mandata e ti sei fatta prendere qui sulla mia scrivania. Che temperamento, che donna sei, Consuelo!”   
   Francisco cominciò ad ansimare, quei ricordi gli toglievano il respiro. Sua moglie, la cara dolce ragazza che lui credeva onesta, limpida come le acque della sorgente, era invece una puttana d’alto bordo che mercificava il suo corpo per vivere nell’agiatezza, e lo faceva passando da lui … ignaro d’ogni cosa. Lui che credeva di progredire nel lavoro per i suoi meriti finalmente considerati.
   Rosy notò il suo pallore ed udì il fiatone.
   “Che ti succede, fai uso di bomboletta per l’allergia? Se vuoi ho l’inalatore, anch’io ho questo problema!”
   “Grazie, non è come pensi, semplicemente ho ricordato; è solo un fenomeno nervoso.”
   “Sta tranquillo Francisco, se vorrai mi racconterai la tua storia, altrimenti va bene lo stesso. Poi, ti narrerò la mia, credo che molte cose ci accomunino. Io ero in quella campagna per seguire la rinascita della natura, nascita a me strappata e tu invece eri lì, dopo aver vagabondato per chissà quale atrocità subita. Siamo due derelitti che la vita ha messo sulla stessa strada.”


10 commenti:

  1. E' splendido, cara Isabel!
    Sei veramente una SCRITTRICE.

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  2. Ti ringrazio, carissima Ale, il tuo apprezzamento mi dona gioia.
    Io amo la scrittura e ci metto l'anima, adoro la narrativa: è quella che sento mia, anche se non disdegno altri generi, un po' secondo lo stato d'animo.
    Buona giornata, un abbraccio.
    annamaria

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  3. Il fascino delle campagne romagnole (più contenute e meno industriali di quelle emiliane ma comunque loro prime cugine) odoranti di Tonino Guerra e di Giovanni Pascoli è la degna cornice di questo bel racconto (fanne uno brutto ogni tanto per stupirci, benedetta ragazza....) in cui si incontrano due dolori, diversi nei contorni ma identici nella sostanza (i dolori, nella sostanza, si somigliano tutti).

    E come sempre c'è anche l'implicito, l'inespresso che è la spezia forte di tutta la vera letteratura: l'implicito innamoramento di Rosy per il bello e dannato (anche se seduto sulla terra di Romagna era solo dannasto), l'identificazione col marito, il rituale del mettere dentro l'involucro del marito (i vestiti che in quel triste mezzogiorno non aveva più) "un vero uomo". E le verità imparate quando e come non si dovrebbe. Ma c'è un modo indolore per imparare le verità, che quasi mai sono belle, che quella è la dimensione (se mai) del sogno.

    Un fortissimo abbraccio.

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    1. Buongiorno, Luca, comincio bene la giornata, con il "benedetta ragazza" mi fai tornare indietro di svariati anni. La tua disamina, scritta con cura e raffinatezza, è eccellente e coglie aspetti del mio racconto veramente interessanti. Le campagne romagnole mi sono rimaste nel cuore, le visitai tempo fa durante un viaggio in compagnia della mia famiglia, ecco perché le ho scelte come cornice. Io non sono propriamente campanilista per cui non elogio soltanto la mia terra, infatti in vari racconti ho scelto terre diverse.
      Come sempre spero che nei dolori nasca una gioia superiore, come fosse una sorta di premio, e ciò a volte capita: tanti risorgono in meglio dopo un grande dolore e vivono una seconda opportunità più soddisfacente.

      Grazie per il giudizio e per il bel commento.
      Ti auguro un buon fine settimana.
      ricambio affettuosamente.
      annamaria

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  4. Cara Annamaria, quando è il dolore ad accomunare due persone che s'incontrano, inevitabilmente il processo di conoscenza poggia su basi imponenti... sarà che in quei momenti si sente ancora di più la necessità di verità, di trasparenza, di onestà... grazie alla condivisione si fa chiarezza dentro di sé e certamente può nascere quella gioia superiore di cui parli tu...
    un super abbraccio!

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    1. Buongiorno, cara Maria, il dolore accomuna, infatti è proprio così: nella condivisione forse si può metabolizzare il tutto e iniziare una nuova vita.
      Ti auguro una buona domenica.
      Ricambio con affetto
      annamaria

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  5. Conosco il fascino sottile della campagna romagnola, vivendoci da diversi anni:)

    Due storie dolorose, in fondo come tante nel loro genere. Un incontro nella cornice bucolica...quasi predestinato. Un racconto raffinato e coinvolgente. Grazie, cara Annamaria.

    Ti auguro un buon inizio di settimana con un abbraccio affettuoso.
    Annarita

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    1. Grazie a te, cara Annarita, per l'apprezzamento gratificante.

      Ricambio di vero cuore.

      con affetto
      annamaria

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  6. Il tradimento non è un giochino che si possa perdonare facilmente perché perdonare è una cosa e sentire un'altra. Si perdona con la volontà, che è l'amore profondo di noi stessi, ma lo sdegno non si acquieta facilmente. Cerchiamo di vigilare sulle nostre pulsioni, teniamoci caro il marito o la moglie, salvaguardiamo i nostri bambini e non perché lo dica la religione nella quale siamo nati, ma perché è sufficiente la semplice ragione umana. Altrimenti i derelitti, figli in primo piano, si moltiplicheranno. Proprio stamattina mi raccontavano lo sfascio di due genitori separati, ma questi non crescono mai?

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    1. Gran brutta cosa il tradimento: la famiglia è troppo importante, i figli sono i diretti interessati, ma pare che questi adulti, che in fin dei conti non sono maturi abbastanza,non tengano a mente il danno che provocano. Perdonare non è facile, ma aiuta a vivere e a continuare il percorso terreno e a ricostruirsi una nuova vita.

      Grazie, cara Mimma, ti lascio un saluto mattutino.
      annamaria

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