lunedì 8 febbraio 2016

Verso la libertà

            

   Avvoltoi neri, come la pece, stavano divorando la sua materia grigia, fagocitavano i pensieri, fieri di quel pasto fresco. La sua vita bruciata sull’altare della quotidianità divenuta, ormai, spettro lontano. Fanciulla perbene del tempo che fu, cresciuta con sani valori purtroppo sepolti.
   Era partita dal suo distante paese, rischiando la vita: la sua povera famiglia non aveva i mezzi per il sostentamento e il fratellino ammalato richiedeva cure,  doveva andare;  con la sua volontà e determinazione avrebbe lavorato per dare ossigeno a loro e cure mediche a Igor.
   S’imbarcò su quel natante della speranza, affrontando il viaggio estenuante, stipata assieme ad altri come bestie; giorni di navigazione fra flutti impetuosi e insidiosi, rischiando il naufragio. Luba approdò, fra varie peripezie, sporca e disidratata; toccò la terra straniera e tutto il resto non contava. La attendeva un amico conosciuto al suo paese, un tipo cordiale e gentile che si era offerto di trovarle un lavoro e una sistemazione in incognita. Buone prospettive e inserimento in un paese straniero, in quella nazione che spesso aveva guardato con interesse attraverso il video di una vicina più danarosa.
   Il giorno dello sbarco fu accompagnata in un posto sperduto in collina, un casolare dalle persiane rosse circondato da alberi di frutta; un suggestivo paesaggio che acquietò l’ansiosa Luba: temeva di non risultare gradita ai signori, ai datori di lavoro, per via della sua mancata conoscenza della lingua. Il volto ameno del caro amico, che le rivolgeva sorrisi rassicuranti, la confortò. La bella Luba dalla pelle di luna e occhi cristallini come il mare entrò timidamente e fu fatta accomodare in una stanza spoglia e disadorna, dalle pareti grezze macchiate di sudiciume incrostato. Un’unica finestra con una cancellata richiamò l’attenzione di Luba che, restando in piedi, sbirciò con preoccupazione la porta chiusa a chiave dal di fuori: nel silenzio aveva udito il cigolio della serratura e anche lo scalpiccio dei passi che si allontanavano.
   Le ore passavano e dal sole splendente fece capolino la luna, la stanza divenne buia e lei ebbe paura, allora cominciò a urlare per richiamare l’attenzione. Era seduta per terra, non c’erano sedie in quella stanza, le mancavano le forze e si sdraiò sfinita: era a digiuno, non mangiava dalla sera della partenza.  Sentì aprire la porta e vide un rozzo uomo dal passo sicuro che, senza rivolgerle la parola, le piombò addosso fulmineo, mentre il suo degno compare la immobilizzava, serrandole la bocca con un cerotto. Fu violentata crudelmente e bestialmente in tutte le posizioni, mentre lacrime di dolore sgorgavano copiose dai suoi occhi puri. La mattina dopo fu trascinata a forza in un’altra camera e l’uomo becero sogghignando, tuonò:
   “Tu sei cosa mia, io ti faccio lavorare e tu vivi!” 
   Giorno e sera con uomini diversi, la violenza continuò non più nella stanza spoglia, ma in una camera con il letto a baldacchino, sinché un pomeriggio in cui, per distrazione la porta d’entrata era rimasta incustodita, Luba corse fuori a perdifiato e con il fiatone in gola giunse sull’orlo del dirupo di quell’incantevole collina.  Il cuore furiosamente le rimbalzò nel petto obnubilandole la mente, una voce interiore divenne sempre più insistente.    
   “Spogliati solo per te e vai verso la libertà!”, e si lasciò andare.  

8 commenti:

  1. Un racconto forte e toccante allo stesso tempo. Sarebbe bello considerarlo solo frutto di fantasia, ma credo che a cercare tra gli innumerevoli casi di schiavismo, che purtroppo è lungi dall'essere solo un ricordo di un lontano passato, prima o poi troveremmo una storia umana molto simile.
    www.wolfghost.com

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    1. E ve ne sono tante, purtroppo, povere ragazze che partono, credendo di avere un'opportunità.
      Grazie, buona giornata.
      annamaria

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  2. Quante vite che non sappiamo si sono lasciate andare da quel burrone!Alcuni mesi fa ho ascoltato degli psichiatri di un centro accoglienza migranti della mia città. hanno raccontato cose spaventose, specie per le donne. Oltre la metà è destinata per sempre alla follia, la mente non regge l'orrore che le povere ragazze subiscono sin dai barconi.Inimmaginabile quanto l'essere umano sappia essere schifoso!

    Un caro saluto e buona continuazione di settimana
    Marirò

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    1. L'essere umano è peggiore di una bestia feroce, e ogni giorno ascoltiamo notizie raccapriccianti.
      Grazie, ricambio di cuore.
      un abbraccio
      annamaria

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  3. Forse, il tuo capolavoro!
    Brava, amica mia.

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    1. Troppo buona, cara Ale, ti auguro un felice weekend e grazie di cuore.
      un abbraccio
      annamaria

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  4. ciao Annamaria,
    hai scritto una angosciante verità che si perpetra ormai da decenni, effetto collaterale di una penosa gestione della immigrazione da parte dello Stato che gira la testa di fronte alle tragedie. Alle povere disgraziate che si lanciano nel burrone bisogna aggiungere quelle uccise dai boia magnaccia, spesso solo per dare l'esempio e ammorbare eventuali progetti di ribellione da parte delle altre. Forse il livello di civiltà di un Paese si misura anche su questo fronte, e c'è chi ancora considera incivile la legalizzazione della prostituzione, l'unico modo per ridurre al minimo massacri e schiavizzazioni.

    buona settimana

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    1. Anch'io sono per la legalizzazione, si toglierebbero dalla strada tante ragazze e ci sarebbero controlli medici. E tra l'altro pagherebbero le tasse, il che sarebbe giusto.
      Grazie per il passaggio sempre gradito.
      Un abbraccio
      Annamaria

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