venerdì 24 marzo 2017

Le scarpette rosse

     Anche in un momento in forte tensione, una lettura tenera addolcisce il cuore; questa breve storiella fa parte di un ricordo del passato.            




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   Erano lì belle, lucenti, uniche. Spiccavano in quella vetrina: fra tante anonime e scure, quelle scarpette sembravano uscite da un libro di fiabe.
   Elisabeth non staccava lo sguardo: le desiderava, da quando le aveva viste in quello scialbo negozio di calzature, ne era rimasta conquistata, doveva possederle per calzarle… per volare alto.
   Passava ogni giorno dinanzi a quel punto vendita, ma tirava sempre dritto; ogni mattina Elisabeth percorreva lo stesso tratto di strada prima di giungere a scuola: era un percorso obbligato, non vi erano altre vie.   Le scarpette di vernice rossa avevano un che di magico,  agli occhi di Elisabeth sembravano fosforescenti: la tonalità cambiava a seconda della luce. Il modello semplice, di quelle piccole calzature da bambola come la sua, era valorizzato da un cinturino fermato da un bottoncino.
   Viveva una vita modesta Elisabeth, ma essendo molto fantasiosa, era attratta, nonostante avesse solo otto anni, dai begli abiti con i suoi accessori. Quel paio di scarpe rappresentava per lei la conquista del benessere che avrebbe voluto: alla sua età immaginava che giungesse una fata buona a trasformare la sua casa in una più confortevole e a donare al suo papà un lavoro meno faticoso e più redditizio. 
   Le scarpette del desiderio erano sempre allo stesso posto; il negoziante le lucidava, le poneva in un’altra angolazione, ma esse rosse e patinate non lasciavano quella vetrina. Il papà di Elisabeth aveva intuito il desiderio di sua figlia. Si era accorto, quando la portava a passeggio la domenica mattina, come guardasse quella vetrina e gliel’aveva anche chiesto. Gli occhioni malinconici di Elisabeth si erano illuminati e lei aveva indicato le bellissime calzature; poi si era fatta coraggio, sussurrando: “Me le compri?”
   Da quel giorno, in poi, tutte le sere, quando si incontravano a cena, lei guardava suo padre e lo supplicava con lo sguardo; tacitamente continuava a inviargli il messaggio.
   Le scarpette rosse erano sempre in quella vetrina dell’anonimo negozio di quartiere, nessuno le comprava; sembrava stessero aspettando lei, solo lei, la bimba fantasiosa che quando desiderava non  comprendeva i ‘se’ ed i ‘ma’, giunse anche a ripetere a voce sempre la medesima, concisa frase: “Me le compri?”
   Il papà rigido incominciò a crollare. Un pomeriggio fiero, prese sua figlia per mano e la condusse dinanzi alla vetrina del desiderio.
   “Entriamo!” disse.
   Il negoziante prese le lucenti scarpette e le fece provare a Elisabeth che, guardandosi allo specchio, esclamò: “Non mi stanno bene, non mi piacciono più!”
   L’oggetto del desiderio, col possesso che stava per compiersi, smetteva di esercitare il suo fascino, lasciando nello sconcerto il papà.
   In futuro Elisabeth per quel padre fu sempre colei che cavalcava la volubilità.




8 commenti:

  1. Sì, è vero, succede di desiderate tanto qualcosa e quando alla fine stai per conquistarla, questa perde la sua fascinazione. Siamo volubili? A volte sì, cambiamo idea senza una vera ragione, altre volte siamo quelli del tutto e subito o basta più.
    Complimenti per il racconto, conciso e tenero.
    Un caro saluto,
    Marirò

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    1. Ti ringrazio per l'apprezzamento, è sempre un piacere trovarti da me. Ti auguro una buona giornata.
      un abbraccio
      annamaria

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  2. carissima Annamaria,
    ho più volte lodato la tua penna e la tua bravura nell'esprimere sensibilità d'animo, toglimi una curiosità "tecnica", perché tendi ad esprimerti sempre con l'imperfetto??? ti viene più facile??? è solo una domanda, non è assolutamente una critica, sia chiaro.

    un abbraccio sincero

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    1. Caro Tads, ti ringrazio per l'apprezzamento che gradisco tantissimo, per quanto riguarda la scelta della narrazione temporale al passato, l'imperfetto mi sembra più appropriato per situazioni antecedenti al presente, mi nasce spontaneamente ripesando a certi avvenimenti ricordo da me poi romanzati. Ho scritto storie anche al presente e forse sarà come tu dici che mi riesce più facile l'imperfetto, oppure è quello che in me stimola la narrazione, comunque poiché spesso i fatti sono datati e il tempo passato mi sembra più logico. Puoi farmi tutte le domande che vuoi: sei tu il mago della penna.
      Buon pomeriggio, caro amico.
      ricambio di cuore
      annamaria

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  3. ho scritto più o meno la stessa cosa anche a Ili6, siete dotate di un significativo talento, credimi che quando io dico "significativo" esprimo qualcosa di grande. Penso che un uso diverso dei verbi sarebbe un valore aggiunto, se in un passaggio, altrimenti detto capoverso, alterni passato remoto e presente (alla bisogna anche l'imperfetto), crei uno stato emotivo più coinvolgente, è una altalena identificativa. Ogni volta che leggiamo un racconto sentiamo l'inconscio bisogno di viverlo, interpretarlo, renderlo nostro, entrare in un ruolo... l'imperfetto è la negazione di tutto ciò, in qualche modo ci esclude. Scusami tantissimo se mi sono permesso di esprimere un mio punto di vista. Sei un po' come un Ferrari senza benzina ;)

    un grandissimo abbraccio

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    1. Ti ringrazio per il suggerimento narrativo, ne terrò conto: i tuoi consigli sono preziosi. E ti ringrazio anche per il carburante amichevole.
      Buona notte
      affettuosità
      Annamaria

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  4. Fra i tuoi migliori racconti. Volubile? O forse piuttosto reale? Un po' io mi vedo in lei.
    Un abbraccio, cara.

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    1. Grazie, cara amica, per il gratificante giudizio. Quando si è piccini si cambia spesso idea, ma vi sono genitori che non la cambiano nei confronti dei figli, come se quest'ultimi non fossero mai cresciuti.
      Buona notte, un abbraccio.
      Annamaria

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