lunedì 11 aprile 2016

Impressioni di lettura


                                       



   Ho ritrovato anche in questo romanzo lo stile di Màrai, scrittore ungherese di culto, quello stile fluido e attuale, quello stile che incatena e non lascia spazio ad interruzioni: l’abilità di Màrai sta nel destreggiarsi fra i vari registri dei personaggi che offrono un quadro fedele del contesto narrativo. Il tutto, di volta in volta, è raccontato sotto forma di monologo rivolto a un interlocutore privo di voce, un ascoltatore paziente che sta lì a raccogliere le confidenze senza interferire.
   Il romanzo è stato scritto dagli inizi degli anni quaranta e poi ripreso nell’epilogo trent’anni dopo e riguarda una vicenda che va dagli anni venti fino all’inizio del regime comunista in Ungheria con uno scorcio sull’America degli anni sessanta. La storia è divisa in tre parti, la parte conclusiva è quella più moderna nel linguaggio e ci presenta un po’ la vita statunitense degli anni in questione quando la tecnologia aveva semplificato la vita del proletario che, ottenendo prestiti, poteva permettersi quei beni di lusso venduti dai borghesi. La vicenda, oltre che riguardare un triangolo amoroso: due donne si contendono lo stesso uomo, è incentrata sulla descrizione della classe borghese vista attraverso gli occhi di due persone appartenenti al mondo rurale ungherese.
   La scena si apre in un'elegante pasticceria di Budapest, è un pomeriggio e una donna, Marika,scorgendo il suo ex marito, Peter, confida all’amica le vicende del suo infelice matrimonio e dell’assoluta dipendenza dal marito, uomo austero e affidabile legato ai formalismi e alle consuetudini. Per Marika crolleranno le certezze nei confronti del marito, quando ritroverà nel portafogli di Peter un nastro viola accuratamente riposto; un lembo di nastro, testimonianza di una passione bruciante per un’altra. In un monologo ben costruito Màrai narra la vita matrimoniale dei due borghesi, la nascita e morte del loro unico figlio, l’importante amicizia di lui con uno scrittore che non abbandonerà questa storia fino alla fine e infine la rottura del matrimonio.
   Nella seconda parte è Peter a parlare, Màrai offre la possibilità al lettore di apprendere la stessa storia con gli occhi del protagonista di turno. Peter, uomo colto e raffinato, appartenente a una ricca famiglia borghese, toccherà argomenti più profondi: ricordi di famiglia, crisi della classe borghese soffocata da rigide convenzioni e tensioni fra le varie classi sociali sul rapporto uomo donna; un soliloquio che si snoda in frasi lunghe e ricercate impreziosite da eleganti metafore.
   Nel terzo monologo entra in scena Judit, la proprietaria del nastro viola, colei che farà fallire il matrimonio dei due coniugi dell’alta società; lei la plebea poverissima che viveva con la sua famiglia d’origine in una fossa a contatto con i topi, lei che per sopravvivere va a servizio presso la famiglia di Peter il quale s’innamora della serva, ma sarà una passione che nulla concederà se non con il matrimonio. Judit racconta al suo innamorato del momento, un musicista, tutta la sua storia sin dagli albori; racconta la vita dei signori che poi saranno suoi suoceri, descrive ogni particolare di quell’esistenza fatta di lussi e di sprechi, di beni materiali ma non spirituali, di divari affettivi che sfociavano nell’infelicità.  La lingua nella quale si esprime Judit è semplice, ma al tempo stesso colta e ironica, intrisa di quel sarcasmo mai banale frutto delle sue conoscenze borghesi: Judit imparò in fretta tutto il saper vivere.     
   Nell’epilogo Màrai fa parlare Ede, il musicista, colui che dopo essere sfuggito all’AVO (famigerata polizia politica del regime comunista ungherese) va in esilio a Roma, dove incontra Judit e vive con lei un’intensa storia d’amore. Da lei apprende la sua storia in una notte in cui lei si confida mettendo a nudo la sua anima; lui inizialmente credeva di aver scordato, poi la storia si ricompone come in un puzzle e gli torna in mente e la ripercorre ad un altro interlocutore mentre è in un bar di New York come barman.
   Le vicende di “La donna giusta”si sviluppano dalla Budapest degli anni quaranta attraverso l’Italia fino a raggiungere gli Stati Uniti e ripercorrono le tappe della vita dello scrittore che, per sfuggire al detestabile comunismo ungherese, visse in esilio per il mondo. Màrai anche in questo romanzo si cala perfettamente nei panni dei personaggi: due donne e due uomini di estrazione sociale differente e li fa parlare con sensibilità e chiarezza, avvincendo il lettore in ogni passaggio ben costruito e altamente particolareggiato.
   Il titolo ci porta a una riflessione, il compagno o la compagna è la persona giusta? Cosa è giusto: il sentimento o la passione, il matrimonio o l’amore?

4 commenti:

  1. Deve essere una buona lettura, la tua recensione è completa e convincente. Non conosco lo scrittore, ne annoto il titolo.
    Un abbraccio, con stima,
    Marirò

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    1. Cara Marirò, allora prima di acquistare "La donna Giusta", dovresti prendere sempre di Marai il suo grande capolavoro, "Le braci" ecco leggendo questo libro mi sono appassionata a lui, se vuoi puoi leggerti la mia recensione sempre qui su questo blog, vai alla categoria "Riflessioni di lettura".
      Grazie e buona giornata.
      affettuosità
      annamaria

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  2. Una recensione molto bella e completa: ho annotato i due titoli.
    Buona giornata, cara amica!

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    1. Ti ringrazio, Maria è un autore di grande spessore.
      Buon pomeriggio, cara
      Un abbraccio
      Annamaria

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