domenica 3 aprile 2016

Il sacrificio sminuito

                                                         
                               Risultati immagini per laurea in giurisprudenza

   Siamo nell’atrio dell’Ateneo per le rituali foto di gruppo con parenti ed amici, indosso ancora la toga pregna delle sensazioni emozionali e paradisiache vissute da questa mattina, dal momento in cui nell’aula Magna in fila ad altri candidati Dottori della Legge, attendevo la convocazione alla discussione della tesi di Laurea.
   Alle mie spalle ci sono tutti coloro che hanno condiviso questo percorso di studi e anche coloro che ne erano solo informati. Mi giro un attimo e saluto con lo sguardo carico di gratitudine i miei genitori che hanno permesso la realizzazione della mia aspirazione, i miei cari genitori che con il loro sostegno, appoggio morale ed economico mi hanno consentito di sudare sui libri anziché sudare sulla terra.
“Rodolfo”, ricordo ancora il tono di voce e l’espressione di mio padre, dal volto bonario arrossato dal sole. “Oggi ti sei diplomato, continua a studiare!” lo disse con parole semplici così com’era la sua conoscenza. “Sei bravo con le parole, tu devi fare l’avvocato, devi difendere noi lavoratori e tutti quelli che subiscono!”
   Papà! Tu hai desiderato per me un avvenire diverso dal tuo, hai voluto che io non mi sporcassi le mani con la terra, che non mi spezzassi la schiena chino sui campi sotto i vari cambiamenti climatici, dicevi : “Mio figlio farà il signore e combatterà i signori e tutti quelli che si approfittano di noi onesti lavoratori!”
   Sin da piccolo avevo mostrato inclinazione allo studio, in seconda elementare sbalordii la maestra con un componimento dalle riflessioni profonde e alle scuole medie i miei temi venivano letti in classe: la mia passione era l’italiano, ma non per questo tralasciavo le altre materie, le studiavo tutte, più vedevo mio padre sudare sulla terra e più lo ricompensavo applicandomi sui libri. Questo fu il mio motto “studiare e poi studiare” per pareggiare i sacrifici del mio genitore che mi tenne lontano dal suo lavoro per fare di me un acculturato dalle mani pulite e carezzevoli.
   Non ci furono dubbi, il classico fu la seconda tappa di studi e io al mattino presto salivo sul treno per raggiungere il capoluogo di provincia dove frequentavo il liceo più rinomato della città, rinomato per l’insegnamento serio e professionale e per la disciplina; i migliori laureati avevano conseguito la maturità classica presso quell’istituto, era un fiore all’occhiello, un vanto personale il diploma di quel liceo che portava il nome di un illustre filosofo.
   Dalla pubertà alla prima giovinezza feci lo studente pendolare mai con rincrescimento, ma con soddisfazione d’appagare la mia sete di cultura e inorgoglire i miei genitori che a differenza di altri del loro ambiente, non mi chiesero mai di continuare il lavoro agreste di famiglia che per quanto faticoso e vincolato alla bontà del cielo, era comunque un’occupazione che non lasciava a bocca asciutta. Con le giornate corte, mio padre e io rientravamo quasi assieme, io ben vestito e curato e lui sporco di terra e sudato. Lo osservavo e dentro di me provavo sofferenza, eppure l’avevo visto sempre così: il suo aspetto non era cambiato, ma dopo la mia fanciullezza sentii nascere sensazioni nuove e meditazioni diverse.
   Non provavo vergogna per i suoi abiti da lavoro e per la sua mancanza di cultura, al contrario cresceva in me il dolore per non poterlo aiutare ad alleviare le sue fatiche, mi sentivo un opportunista che sfruttava l’occasione donata, mettendomi comodo davanti alla scrivania al riparo della mia camera. Ci riunivamo intorno al tavolo verso sera, per l’unico pasto del giorno e i miei genitori chiedevano solo di me e della mia giornata scolastica, appena accennavo un riferimento su di loro eludevano la domanda, volevano che io parlassi esclusivamente del mio studio.
   “Rodolfo”, esordì in tono perentorio una sera mio padre. “La devi smettere di pensare a me! Sei tu quello che mi dà la forza di lavorare sempre di più, lo studio è ugualmente faticoso, ti impegna con la testa!”
   Che genitore… quanta saggezza, quanta bontà d’animo! Egli sin da ragazzino aveva lavorato nei campi con mio nonno, corrugandosi la fronte battuta dal sole e sciupandosi le mani sempre nell’onestà più assoluta, rispettando le regole del padrone, del proprietario terriero che esigeva e sfruttava con sfacciata acrimonia, calpestando i lavoratori mansueti, senza voce.
   Durante l’estate non cercavo la distrazione, la mia vacanza ce l’avevo a portata di mano … la campagna. Seguivo mio padre nei campi mettendomi a disposizione: era una vera gioia rendermi utile quando le scuole erano chiuse, dall’alba al tramonto a contatto con la natura e con mio padre che veneravo. Adoravo quei momenti tutti nostri e quel dolce conversare, mentre sbocconcellavamo i panini imbottiti preparati da mia madre nella pausa veloce; seduti al fresco della quercia secolare eravamo in due ad asciugarci il sudore con i fazzoletti colorati: quella condivisione era per me qualcosa di speciale! Il volto sorridente e tranquillo di mio padre mi penetrava il cuore, pendevo dalle sue labbra: quei racconti puri, semplici di un vissuto alla luce del sole, erano più interessanti di tanti sciocchi dialoghi giovanili. Ritornavamo a casa su di un modesto treruote che arrancava ad ogni salita e faticosamente riprendeva la corsa sul rettilineo, ma la stanchezza non ci impediva di cantare le canzoni del momento, come fossimo stati entrambi ragazzi: lui per me era un amico, molto più che amico.
“Come è andata oggi?” esordiva mia madre che ci accoglieva sempre con il sorriso, mentre i profumi della cucina giungevano alle nostre narici. Noi al lavoro e lei in casa ad attenderci. Queste erano le nostre estati, bisognava sacrificarsi e risparmiare in nome della cultura, in nome del mio avvenire.
   Il primo  traguardo era raggiunto: avevo conseguito la maturità classica con la massima valutazione. Fu organizzata una festicciola all’aperto dinanzi alla nostra casa situata alla periferia del paese, una di quelle abitazioni a piano terra dotate anche di un piccolo spazio verde: un giardino ridotto, simile ad un cortile. Per l’occasione furono invitati anche i miei amici e parenti stretti, tutto si svolse in armonia a suon di musica, e fra una leccornia e l’altra…
   “Rodolfo, che farai ora? Andrai all’università?” rispondeva mio padre al posto mio: “Farà l’avvocato!”
“L’avvocato?” riprendeva mio zio. “Ce l’ha lo studio? Solo i figli degli avvocati fanno la professione, gli altri sono solo servi dei legali, servi non pagati!”
   “Rodolfo è bravo, lui ce la farà con le sue forze!”
   Era questa la certezza di mio padre e non ammetteva repliche!
   Ricordo ancora oggi il mio primo esame: Diritto Privato! Questo fu il primo approccio con la Facoltà di Giurisprudenza, questo fu il mio esordio. Studiai con interesse e passione le norme giuridiche di quella materia, assimilandola paragrafo per paragrafo e la sera precedente all’esame, restai sino a tardi con il libro fra le mani, passeggiando avanti e indietro nella mia camera parlando a voce alta, mentre i miei genitori bisbigliavano fra loro:
   “Povero figliolo… che la Madonna l’accompagni, domani!”
   Tornai a casa fiero e soddisfatto, di aver ricevuto la ricompensa per me stesso e per i miei genitori: sul libretto universitario immacolato e intonso, compariva segnata ora la prima riga, con la dicitura, “Diritto privato- trenta e lode” , seguita dalla firma del docente d’esame che aveva elogiato e premiato la mia preparazione.
   Fu un susseguirsi di successi: in tre anni bruciai tutte le tappe. Studiavo costantemente non concedendomi distrazioni e il mese in cui la facoltà era chiusa, preparavo un piano di studi per la sessione successiva. Avevo fretta di arrivare, mi dicevo: “Avrò più chance con la mia giovane età!”
Mia madre era preoccupata, voleva che mi concedessi delle pause, che alleggerissi la mente.
   “Rodolfo, vai al mare con gli amici, ti farebbe bene un po’ di sole!”
   “Va tutto bene mamma… va tutto bene!” le dicevo, mentre la stringevo a me fortemente. Che donna: tutta la sua vita era stata un sacrificio! Da ragazzina aveva dovuto occuparsi dei suoi quattro fratelli, quando mia nonna morì per un epatite e poi con mio padre, brava persona, aveva combattuto la miseria ed in seguito i sacrifici economici, senza mai lamentarsi e incoraggiando sempre tutti. La forza di mio padre era lei, solo lei!
   La tesi in “Diritto del Lavoro” è stata un successo, mentre la esponevo oltre che dal mio Relatore ricevevo sguardi di compiacimento anche dai Docenti presenti, nessuna interruzione: tutti in religioso silenzio!  Nelle mie orecchie risuona ancora :
- Le conferiamo il titolo di Dottore in Legge: votazione“110 su 110 con Lode e Plauso”!     
Sto per lasciare l’Aula Magna, i miei parenti mi attorniano, quando il mio Relatore, rinomato avvocato, mi indica di raggiungerlo.
   “Prenditi tutto il tempo che vuoi.” mi dice cordialmente. “Ne hai bisogno, ti aspetto poi nel mio studio per il praticantato!”
   E’ il mio primo giorno da Dottore praticante, prima di uscire di casa i miei genitori mi guardano con soddisfazione.
   “Auguri Rodolfo, te lo dicevo io che avresti fatto l’avvocato”, aggiunge mio padre. “Sono fiero di te… ricordati di noi lavoratori sfruttati!”
  “Papà, per ora devo fare solo il tirocinio, ma terrò sempre a mente ciò che mi hai insegnato. I tuoi ideali, sono anche i miei!”
  Entro nello studio megalattico con circospezione, mi viene incontro il Docente Avvocato.
   “Ti aspettavo Rodolfo.” si era instaurato un rapporto familiare: il suo tono era pressoché paterno. “Ho già predisposto la tua scrivania, sono sicuro che questi due anni voleranno in fretta, poi… resterai con me come collaboratore, non posso lasciarmi scappare un genio come te!”
   Mi sento al settimo cielo, prendo possesso della mia postazione e senza perder tempo comincio a visionare alcuni fascicoli, ora devo mettere in pratica ciò che ho acquisito con la teoria, la voglia di fare è tanta, non dovrò deludere me stesso, i miei genitori ed il mio Dominus che credono in me.
Trascorro i due anni di tirocinio fra il tribunale e lo studio, dove in quest’ultimo sono il primo ad arrivare e l’ultimo ad uscire, porto anche il lavoro a casa per studiare ogni minuzia, ogni strategia processuale: il mio obbiettivo è sempre lo stesso imparare per raggiungere la meta.
   “Papà hai davanti a te l’Avvocato che desideravi, sono abilitato! Ho superato gli esami a pieni voti! Sono terminati i tuoi sacrifici e potrò finalmente incominciare a guadagnare anch’io! Il professore mi ha chiesto di restare con lui, gli sono indispensabile!”
   Occupo un’altra stanza più consona al mio ruolo: sono un professionista a tutti gli effetti, dotato anche di computer personale; mi accomodo sulla nuova sedia in pelle imbottita e per un attimo mi lascio andare mentalmente.
  “Potrò comprare la nuova auto al papà che va in giro ancora con quel vecchio catorcio, e alla mamma che continua a lavare i panni ancora a mano faticosamente, le farò consegnare la lavatrice, poi… ci sono anch’io, ma per quello c’è tempo, l’importante è che non peso più sulle spalle di mio padre, unico lavoratore d’una famiglia monoreddito!”
   Lavoro da sei mesi come professionista abilitato, sostituisco il mio Dominus in alcuni processi civili e recentemente in un caso particolare ho firmato al suo posto con il mio cognome (non ho potuto esimermi, quando mi ha chiesto di fargli da prestanome), tutto va alla grande meno che… per un particolare decisamente rilevante, sono ancora a carico di mio padre: lo stimato Docente Avvocato non mi ha ancora gratificato economicamente, mi attendevo almeno una modesta somma di incoraggiamento: nulla, neanche un centesimo e neanche una parola al riguardo.
   Mi dicono : “Gli inizi sono così non si può arrivare subito, sei già fortunato a far parte del suo staff. Ti pagherà, ti pagherà e ti farai anche la clientela!”
   Sto perdendo la pazienza, il tempo passa e l’unico compenso ricevuto è stato il contentino natalizio lasciato in una busta sulla mia scrivania, con tanto di biglietto augurale “ Buon Natale: questo è solo l’inizio!”... assieme al biglietto fanno capolino 500 Euro! 500 modeste euro, dopo tutto il lavoro sbrigato solertemente e instancabilmente… non ho neanche il coraggio di dirlo a mio padre! Comunque andrò avanti, persevererò, ho dalla mia la giovane età: riuscirò a spuntarla!
   Un giorno una brutta notizia mi giunge allo studio, sono io a prendere la telefonata.
   “Rodolfo”, mi dice mia madre angosciata. “Tuo padre ha avuto un collasso, stiamo per accompagnarlo al pronto soccorso!”
   Non ho avuto neanche il tempo di udire la sua voce per l’ultima volta, la sua anima è già volata in cielo; non ha sofferto mi dice la mamma abbracciandomi e io sento più che mai di non aver esaudito il desiderio di mio padre, risuonano ancora nelle mie orecchie le sue convinte parole:
“ Mio figlio farà l’avvocato, per difendere noi lavoratori sfruttati!”
   “Mamma, devo andare.” le dico sommesso, tenendo a freno tutta la rabbia che ho in corpo. “Devo  farlo per papà, io sarò quello che lui voleva! Quel relatore tanto magnanimo mi sfrutta e basta, non posso neanche accattivarmi i suoi clienti perché essi non vengono da noi, il mio Dominus si occupa di società.”
   Lascio la mia terra con rimpianto, ma combatterò affinché il mio sacrificio e quello dei miei genitori venga considerato, per dare voce a coloro che non ce l’hanno e per contrastare sopra ogni cosa le ingiustizie… le prevaricazioni perpetrate dai potenti.
   “Ce la farò papà, vedrai… in futuro sarò l’Avvocato dei tuoi sogni!”







                                                   
                                                 
                                                   

                                     
        

                                                 

                                  
                                     
                                      
                                   

    















9 commenti:

  1. Chi non ti legge non ti merita! Questo racconto è stupendo, emozionante. Un abbraccio, cara.

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    1. Troppo buona, cara Ale.
      Ti ringrazio tantissimo, o mia affezionata amica.
      Ricambio di cuore
      annamaria

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  2. Un racconto che sa tanto di realtà, purtroppo! Quanti giovani ci sono che pur dando tutto sé stessi rimangono a spasso! :-( E quanti genitori faticano per dare un futuro a un figlio che rimane disoccupato!
    Molto brava, scritto davvero bene e in modo scorrevole e coinvolgente: a metà lettura mi sono accorto di essere "rapito" nonostante la trama "semplice" ;-)
    www.wolfghost.com

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    1. Ti ringrazio, caro amico, per l'apprezzamento lusinghiero che mi dà gioia. È una realtà molto presente, purtroppo.
      Ti auguro un buon proseguimento di giornata.
      Un caro saluto
      Annamaria

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  3. Un racconto bellissimo, mia cara amica!
    Sai, mi hai ricordato John Grisha.
    Ti abbraccio.

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  4. L'ho riletto proprio volentieri :-)

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    1. Grazie, troppo buona.
      Ricambio di cuore
      annamaria

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    2. Grazie, troppo buona.
      Ricambio di cuore
      annamaria

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