sabato 25 aprile 2015

Macchinazione (parte terza)



   
   La permanenza a casa della mamma di Giuditta fu più lunga del previsto e di cambiare casa non pareva rientrasse nei progetti del subdolo calcolatore, giunse a convincere sua moglie che ai fini delle tasse di successione, essendo lei l’unica erede, sarebbe stato più opportuno intestarle prima la casa.
   “Sai, amore mio, perché dover pagare dopo, non conosciamo il futuro. Ora non ci manca nulla: il mio lavoro va alla grande, la casa di moda è divenuta mia. Metti che in seguito, quando tua madre non ci sarà più, ma mi auguro che sia il più tardi possibile, le cose potrebbero mettersi male per il mio lavoro, tanto da non poter sopportare il costo della successione; potresti perdere la casa e con essa tutti i suoi ricordi, e i parenti si sa che in questi casi non sono d’aiuto. Del resto tua mamma continuerà a stare con noi, è vedova non andrà da nessun’altra parte e mi par di capire che sia rimasta fedele alla memoria di tuo padre.”
   Giuditta accecata dalla dannosa persuasione del marito, parlò alla madre, che adorava suo genero tanto gentile e disponibile, e convenne con la figlia che sarebbe stato giusto recarsi dal notaio per redigere l’atto di donazione, non ebbe neanche la più pallida idea di lasciarsi l’usufrutto.
   Cominciavano a giungere voci di presunti tradimenti da parte di Victor, lettere anonime che mettevano in guardia l’ingenua moglie. Lei le strappava: avrebbe messo la mano sul fuoco per lui tanto caro e affettuoso. Le aveva illuminato la vita, non facendole mancare proprio nulla: regali costosi, cene e svaghi sempre con amici, e viaggi, viaggi da sogno, pareva che la luna di miele non fosse mai finita. Nel frattempo erano nati due bambini, ma c’era la mamma che subentrava in quelle uscite della coppia: se ne occupava totalmente durante le vacanze, le serate e uscite straordinarie. Giuditta si confidava con l’amica del cuore manifestandole  la sua gioia, la sua totale fiducia nel confronto del marito e mai aveva smesso di pentirsi di essersi sposata tanto giovane e inesperta; non solo: ora era certa che quello fosse l’amore vero.
   “Sei certa, che significa, prima non lo eri?”
   “Avevo dei dubbi, mi è piombato all’improvviso, ci siamo sposati in fretta e non ero neanche incinta; tu sai che sono andata vergine all’altare.”
   “Lo so, lo so. Con l’educazione ricevuta e il lavaggio mentale che abbiamo subito. Ma, ora mi devi dire, a letto come si comporta?”
   “E’ tenero, romantico, se non fosse per strani giochetti che devo subire, ma fa parte del dovere coniugale.”
   “Ma che dici, non sei obbligata, altrimenti è violenza!”
   “Ma no, sono sua moglie!”
   Era una mattina d’estate, faceva tanto caldo, la città si era quasi svuotata: accadeva sempre più spesso durante il weekend che la gente aveva imparato a conoscere; sabato e domenica, gite fuori porta o un due giorni per un viaggetto breve. Marisa era sola in casa, i genitori si erano recati dai nonni al paese. Essendo di un’altra regione, capitava che in estate andassero da loro nel fine settimana, lasciando la figlia a casa che in tutta tranquillità si preparava all’esame da affrontare prima delle vacanze: solo ad agosto poteva staccare la spina dallo studio. Frequentava la facoltà di medicina e il suo obiettivo era quello di prendere la specializzazione in cardiochirurgia, sentiva dentro di sé una passione sempre più crescente per la professione del medico al servizio delle vite umane. Un suono veloce la destò dalla concentrazione, era il campanello d’ingresso, guardò nello spioncino e vide Victor; contrariata si allontanò in silenzio cercando di non far rumore, non voleva noie e, poi, essendo sola in casa non voleva farlo entrare. Non si fidava di quell’uomo, era successo in più occasioni che tentasse un approccio: braccio sulle spalle, abbracci più vigorosi, sguardi ammiccanti, tutte avvisaglie che una donna sa interpretare, per questo motivo non frequentava la coppia, era costretta solo quando si recavano in visita i suoi genitori, e se l’amica manifestava il suo disappunto, lei le ricordava che lo studio non le concedeva tregua.
   “Lo so che ci sei. Ti ho vista alla finestra con un libro in mano. Non ti farò perder tempo, devo chiederti un consiglio su Giuditta.”
   Aprì la porta e lo fece accomodare. Lui, dopo aver sciorinato una plateale confessione sulla freddezza della moglie, le chiese un bicchier d’acqua, giunse persino a manifestarle i suoi dubbi sulla possibilità che si fosse innamorata di un altro, la sua vita non sarebbe stata più la stessa, che avrebbe fatto senza di lei? Mentre Giuditta era in cucina per versare l’acqua nel bicchiere, all’improvviso lui le piombò di spalle e la immobilizzò con una mano contro la parete e con l’altra mano le tappò la bocca. 

(continua)

4 commenti:

  1. e ci lasci così, col fiato sospeso? Io ho il cell in mano e sto per chiamare il 113 ..povera Marisa, è il difficoltà con quel farabutto e a noi non resta che aspettare....
    Dai, su, Annamaria, sii buona e non cadere in tentazione di far diventare il tuo racconto un thriller :-) Intanto ...Buon 25 Aprile

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    1. Vedremo, carissima Licia, buon 25 aprile anche a te. Grazie e a presto. Un bacione
      Annamaria

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  2. Ciao annamaria!
    Molto intrigante il tuo racconto e spero non finisca male eh,in tutta sincerità amica cara sei davvero brava!
    Buona domenica,ti lascio un sorriso e un grande abbraccio :)

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  3. Ti ringrazio tanto per l'apprezzamento. Ti auguro la buonanotte.
    A presto, ricambio di cuore.
    annamaria

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