lunedì 23 giugno 2014

Rimpianto

                                                              Ripropongo questo racconto per gli amici che non l'hanno letto.                   

   L’orizzonte aveva colori pervinca, le ricordava il prato di mammole che amava cogliere durante le sue passeggiate nei boschi, ne percepiva ancora il soave profumo tipico degli spazi aperti. Sospirò appoggiata alla balaustra del balcone e abbassò lo sguardo… rattristata: il cielo non le riportava la sua amata terra.
   “Devo andar via da questo posto ammuffito, non ce la faccio più, siamo indietro di cinquant’anni! Non c’è neanche lavoro ed io che ho studiato tanto!” sbottò Carmela alla richiesta di sua madre.
   “Carmelina che dici?” rispose accomodante la donna “Figlia mia, vedrai che ti arriverà la comunicazione che stai aspettando. Intanto potresti andare a dar lezione a Sante, quel ragazzino non può venire da noi.”
   L’insofferenza cresceva, doveva lasciare il paese che le dava solo profumi di fiori e familiarità, lei non voleva finire come sua madre devota sposa alle prese con la famiglia, i conti alla fine del mese e un tiepido rapporto fatto di rinunce e sopportazioni.
   Non aveva studiato per niente e la laurea in lettere voleva sfruttarla diversamente, non soltanto dando lezioni a domicilio a quattro mocciosi, per poi sposarsi con un paesano zoticone.
  Fece armi e bagagli e con i soldi accumulati partì, promettendo a sua madre di non farle mancare mai notizie e di tornare appena le fosse giunta la comunicazione d’insegnamento nella sua regione.
   Si guardò intorno e vide una casa modesta, se ripensava alla sua giù al paese, questa le sembrava meno funzionale e più misera. Era giunta in quel luogo euforica e pregna di speranze, sentiva che si sarebbe realizzata e che avrebbe trovato l’uomo dei suoi sogni. Ottenne l’insegnamento, ma la scuola era distante e disagevole, ore di pullman per stradine di montagna, per giungere a un istituto ubicato in un vecchio stabile freddo e trascurato, pareti scrostate e sporche, aule deprimenti e bagni del dopoguerra. Gli alunni ribelli erano poco inclini allo studio e ai sani valori, avevano alle spalle famiglie zotiche e irriverenti. Con forza e determinazione riuscì a imporsi, anche se per tutti loro era sempre la prof dell’estremo sud con mentalità diversa da loro, gente del continente.
   La madre di Carmela era a conoscenza che sua figlia era stimata e realizzata come insegnante di lettere e che presto sarebbe discesa al paese per farle conoscere il suo futuro genero, il preside della scuola: questo lei sapeva.
   L’amore fa brutti scherzi e Carmela aveva da un pezzo messo da parte le sue idee belligeranti, era divenuta vittima di un buzzurro ammaliatore che nonostante la mancanza di raffinatezza e cultura la seduceva in altro modo: quando lui la sfiorava lei non comprendeva più nulla, come faceva sesso lui nessun’altro e come spillava quattrini… Era riuscito a farsi accreditare sul suo conto lo stipendio della donna e le imponeva quel domicilio disagiato, tutto in nome del sacrificio per un’eventuale casa di proprietà; ignorante e rozzo, ma tanto sagace.
   “Sono contenta per te figlia mia.” le diceva la madre al telefono “Anche se avrei voluto che fossi qui. Peccato, si è aperta una scuola privata e la direttrice mi ha chiesto di te!”
   Era da un po’ che Remo tornava sullo stesso argomento mentre facevano l’amore: chiedeva a Carmela di accendere la telecamera; l’aveva comprata a una svendita dicendole che avrebbe filmato i momenti più belli. La donna si rifiutava, non le sarebbe piaciuto rivedersi: l’imbarazzo e la morale non gliel’avrebbero permesso.
   “Posso almeno farti una foto… dopo.” disse una sera “Sei così bella che ti vorrei ricordare, così!”
  Carmela cominciava a stancarsi, quelle richieste le pesavano e si era pentita di essersi fatta fotografare nuda, non comprendeva e non le piaceva.
   “Stasera viene un amico mio a cena!” annunciò Remo con la faccia di pesce lesso. “Sei stata femmina, ieri sera! Sempre più brava, la mia donna!”
   Che orrore, Remo l’aveva lasciata sola con l’amico che le aveva messo subito le mani addosso, stringendola con furia.
   “Ti ho vista!” esclamò con sguardo lascivo “Fai la femmina, anche con me! Ti pagherò bene, dolcezza!”
   Erano vicino al tavolo apparecchiato, lei prese la bottiglia di novello e rapidamente gliela fracassò sulla testa, poi corse via.
   Ora era lì… prima d’andar via per sempre. Aveva sporto denuncia e aveva bloccato il conto in banca. Le era andata male, pensò, ma si era salvata in tempo. Avrebbe cercato un’altra sistemazione, ma poi che sarebbe stato se lui fosse tornato a cercarla e per di più faceva l’insegnante in una scuola che non la gratificava. Doveva tornare a casa, questa era l’unica soluzione.
   Ripensò alle parole della madre, quanto le mancava! Le mancava anche la sua terra profumata di sole e genuinità. Al diavolo le sue idee di cambiamenti, non aveva da spartire nulla con quella zona e con i suoi abitanti. Poco dopo era in stazione con il cuore gonfio d’amarezza, ma di speranza.

10 commenti:

  1. questo è un racconto verità, al passo coi tempi, anche se in certe trappole ci cadono anche le donne del nord. Abbandonare la propria terra è sempre un avventurarsi in labirinti insidiosi, è molto difficile fiutare i pericoli fuori casa, lontano da casa. E' sempre un piacere leggerti, mi piace molto anche il tuo ottimismo, difficilmente chiudi un racconto senza lasciare un filo di speranza, uno spiraglio di luce.

    buona serata Annamaria

    TADS

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  2. E' vero lascio sempre un filo di speranza, caro Tads. Io sono portata a pensare che la vita sinché c'è, potrebbe offrire nuove opportunità e che tutto dipende dall'impegno personale, anche perché con la positività si è più combattivi. Mi scoraggiano soltanto i problemi di salute, quelli irrisolvibili, lì l'ottimismo non riesce nel suo intento.
    Grazie, e scusami se rispondo in ritardo, sto navigando con una chiavetta che è inaffidabile, fra qualche giorno la sostituisco.
    Buon weekend
    un abbraccio
    annamaria

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  3. Chissà :-) Anche mio papà era del sud, siculo esattamente, ma venne portato al nord quando aveva pochi mesi, forse per questo non gli mancava la sua terra natia. Credo che ogni posto abbia i suoi pregi e i suoi difetti, A volte chi si sposta se ne pente, altre no. Personalmente ho sempre pensato che i propri problemi vadano risolti nella propria anima, altrimenti dovunque si andrà li si ritroverà intatti. Tuttavia credo che chi sente un forte richiamo a provare nuove strade debba farlo, al limite tornerà indietro, come ha fatto la nostra, ma almeno senza il rimpianto di non aver tentato.
    Un caro saluto :-)

    www.wolfghost.com

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    1. Condivido il tuo pensiero: mai lasciare nulla di intentato.
      Trasferirsi da piccoli non causa grossi problemi, in seguito forse in età adulta potrebbe nascere la voglia di conoscere le proprie radici, tutto lì. Comunque ci si ambienta nel posto dove si cresce ed lì che poi si resta, tranne per quei casi eccezionali, tipo la storia che ho narrato.
      Ricambio di cuore e grazie.
      annamaria

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  4. Sei sempre bravissima, mia cara!
    Un abbraccio.

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    1. Sempre generosa, la cara Ale. grazie mille.
      tante affettuosità
      annamaria

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  5. Questo è quello che mi fa tremare per i giovani, miei nipoti compresi, che scalpitano per andar via in cerca di tutto. Ma ...
    Mi hai fatto ripensare al primo romanzo di Giuseppe Bonaviri, "La ragazza di Casalmonferrato", che ho letto di recente, un romanzo autobiografico che la dice lunga sulle speranze dentro quelle valigie di cartone legate con lo spago che partono da una stazione ferroviaria del sud. Speranze spesso disattese.
    Complimenti per la delicatezza del racconto.
    Un sorriso,
    Marirò

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    1. Non ho letto il libro, ma ne terrò conto. La storia si riferisce senz'altro ai migranti del sud dei primi del novecento o del dopoguerra, al tempo erano considerati degli appestati e c'era una vera discriminazione, quanti patimenti. Ora questo non c'è più, non siamo più considerati extra comunitari da allontanare. Solo che il richiamo delle proprie radici è forte e molti ritornano. I tuoi nipoti scalpitano perché non c'è lavoro e questo è molto mortificante.
      Ti ringrazio per l'apprezzamento molto gratificante.
      Un abbraccio
      annamaria

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    2. no, la storia è autobiografica, Giuseppe Bonaviri, medico cardiologo e entrato più volte nella rosa dei nomi per il nobel per la letteratura, partì da Mineo (CT) nel 1950, con una laurea e senza un cappotto. Tornò a Catania tre anni dopo con un cappotto, regalo della commessa di Casalmonferrato, che lo amò per tutta la vita.Morì pochi anni fa a Frosinone, dove esercitava la medicina. A Catania e a Mineo è comunque stato sempre presente e ha contribuito ad arricchire la vita culturale siciliana. Troppo forte l'amore per la sua terra natia e troppa miseria in quel Piemonte degli anni '50.
      marirò

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    3. Non sapevo e ti ringrazio per avermene parlato, acquisterò il libro, sarà la mia prossima lettura. Un grande uomo che ha dato lustro alla sua terra e per fortuna non è il solo: tanti meridionali sono noti per la loro passione, creatività e cultura.
      annamaria

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