mercoledì 9 aprile 2014

La forza di lottare






                                                  

   C’eravamo stati varie volte, era lo stesso angolo di paradiso che ci aveva visti insieme, un famoso giorno in cui avevamo deciso di unire le nostre vite. Da quel giorno eravamo ritornati, come se avessimo dovuto ripercorrere un itinerario già collaudato e che volevamo ritrovare per quella magia tutta speciale.
   La natura si offriva generosa e dall’alto del colle miravamo le maestose scogliere dove i flutti tempestosi s’infrangevano schiumosi, mentre il sibilo del vento autunnale spostava l’ultimi sprazzi della foschia mattutina. Pier Paolo mi afferrò la mano amorevolmente e mi guidò attraverso la stradina acciottolata: gli piaceva essere a contatto con la bianca scogliera per respirare l’aria iodata che gli dilatava i polmoni, ossigenandoli.
   “E’ sempre bellissimo!” sussurrò “Si è lontani dalle angustie della vita, dal suo squallore!” soggiunse rammaricato.
   Era il mio uomo e lo amavo, peccato che tutto stava per terminare: quella era l’ultima volta e la magia di quel luogo non l’avremmo più vissuta.
   Tutto era cominciato per un’esigenza, una fottutissima esigenza che aveva steso le sue maglie e stava per chiudere il laccio sulla nostra esistenza. Avremmo dovuto fare il grande passo, prendere l’ardire e liberare noi e loro dal giogo divenuto pesante; non avevamo scelta: le minacce incombevano come un boia dall’accetta affilata.
   Ci era piaciuta quella casa nel borgo antico, era talmente pittoresca con la scala a chiocciola arabescata in ferro battuto, la zona notte al piano superiore e l’abbaino con la vetrata a cupola. Non possedevamo tutta la somma e un amico fidato ci consigliò uno stimato professionista e perorò la nostra causa; avremmo risarcito la somma in breve tempo: era irrisoria, il benefattore comprensivo avrebbe atteso. Come facemmo a non capire che era tutto uno stratagemma per avvilupparci e per estorcerci altro denaro: la somma crebbe a dismisura e non reggevamo il ritmo. La disperazione fu la nostra compagna ed eravamo costretti a fingere per il benessere dei nostri figli, due adorabili adolescenti in crescita, la cui età è talmente vulnerabile.
   Eravamo felici, avevamo realizzato il nostro sogno e con i nostri stipendi d'insegnanti avremmo saldato il debito; ne era valsa la pena: la casa era a nostra immagine e somiglianza. I ragazzi erano entusiasti: avevano i loro spazi, le camere si prestavano a zona-palestra e angolo della musica. Risuonavano di voci giovanili quelle mura, è bello permettere ai figli di ricevere tanti amici.
  “Il doppio della rata, mi devi!” disse una mattina lo scagnozzo del viscido finanziatore, ero andata io all’appuntamento. 
   Rimasi annichilita, non mi aspettavo tale richiesta. In seguito a nulla valsero le nostre motivazioni e le pretese divennero più pressanti; se non avessimo adempiuto, tutto si sarebbe ritorto contro i nostri amati figli: avevo già ricevuto minacce di morte.    
   “Dobbiamo farlo, cara.” mi ricordò avvilito Pier Paolo “Non abbiamo via d’uscita. Tutti insieme per sempre!”
   Era una domenica mattina, prospettammo una gita fuori porta, i ragazzi docili ed euforici ci seguirono in macchina; sarebbe stato facile, un volo dal cavalcavia, un volo per l’eternità.
   “Mamma, il papà di Flavio è stato licenziato, era l’unico a lavorare!” mi confidò mio figlio. Eravamo in auto da poco, era il luogo perfetto per le confidenze, a casa non ci s’incontra, il tempo libero è assorbito dagli impegni.
   “Mi spiace davvero” risposi, conservando ancora un po’ d’attenzione alla realtà. “Come faranno?” soggiunsi.
  “Loro sono una famiglia che non si scoraggia, cambieranno città. Non importa, perderò il mio migliore amico, ma ci terremo in contatto!”
   Fu quella l’occasione, il guizzo, la forza: la disperazione lasciò il posto alla volontà, alla determinazione. Avremmo lottato, l’avremmo denunciato, avremmo chiesto una protezione, saremmo vissuti momentaneamente in incognita, magari in un luogo fuori dal mondo, avremmo, avremmo … tutto questo avremmo fatto: la vita non si sopprime a chi l’hai donata, la vita va rispettata. 
   Guardai il mio uomo e compresi che non l’avevo sostenuto abbastanza, toccava a me prendere una decisione.
  “Pier Paolo, rientriamo in auto!” esclamai. 
   Avevo rimuginato sul da farsi durante la passeggiata che credevamo sarebbe stata l’ultima. 
   “Voglio far conoscere ai ragazzi quell’altro scorcio naturale. Lascia che guidi io!” esordii con gioia. 
   Stavo per donare a tutti la continuità!

4 commenti:

  1. buongiorno Annamaria,
    sei veramente unica...

    ..."dove i flutti tempestosi s’infrangevano schiumosi, mentre il sibilo del vento autunnale spostava l’ultimi sprazzi della foschia mattutina"...
    questo passaggio è semplicemente stupendo

    bellissimo l'attimo in cui la donna prende le redini in mano, il decisionismo femminile, quando c'è, fa la differenza

    un abbraccio, buon weekend

    TADS

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    1. Troppo generoso, caro amico, tu sei un maestro nell'arte dello scrivere.
      Le tue parole mi gratificano tantissimo e ti ringrazio.
      Le donne sagge sanno come e quando intervenire e sanno anche influenzare l'animo maschile.

      Ricambio di cuore
      annamaria

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  2. Un grande applauso, mia cara amica, sia per la scrittura, sia per il messaggio.
    Abbraccio forte*

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    1. Grazie, carissima, scusa il ritardo, il tempo è tiranno per me in quest'ultimo periodo, ma mi rifarò, spero.
      Un grande abbraccio.
      annamaria

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