giovedì 4 luglio 2013

Irriconoscenza

                                                                            
            

   Una lacrima perlacea le scese sulla guancia, un rivolo sottile le bagnò le ciglia e lentamente inumidì la gota appoggiata e quasi nascosta dal guanciale. Uno sbattito di palpebra, un quasi visibile segnale della sua esistenza. In una piccolissima frazione di tempo tornò agli anni giovanili e al suo percorso, alla sua vita che era scorsa fra mille difficoltà.
   Mario l’amava e la desiderava, volle portarla con sé lontano dalla sua terra. Lei dovette integrarsi in un mondo diverso, aveva dalla sua la voglia di farcela e di dimostrare, a coloro che avevano osteggiato quell’unione, di aver fatto la scelta giusta.
   Il marito era sempre fuori per lavoro: alla catena di montaggio ci restava tutto il giorno; occorrevano i soldi degli straordinari e lui tornava a sera stanco, una cena rapida e poi crollava come un sasso. Lei era dispiaciuta, avrebbe voluto dargli una mano lavorando in fabbrica, ma la gravidanza non le permise quella decisione: era tutto il giorno sofferente per le nausee che le procuravano conati di vomito. Allo stabilimento non accettavano donne gravide con problemi, il capo era stato chiaro quella mattina in cui lei si assentò più volte per andare a vomitare anche l’anima.
   E Mario si prodigò a lavorare sino a tarda sera. Nacquero tre bambini, come avessero fatto a concepirli, lei se lo domandava: facevano l’amore sporadicamente e non c’era tempo, neanche, per quello. Ma lei era fertile: le bastava quell’unica e rapida volta per restare incinta. Ogni gestazione si presentò sofferta e il parto altrettanto. I figli crebbero, non fra non pochi problemi, e quando furono in età scolare, poté dare una mano al marito riprendendo il lavoro in fabbrica.
   Avevano i turni sincronizzati: quando smontava uno, montava l’altro. Non mancò nulla a quella famiglia: ogni necessità fu esaudita, ciò che mancò fu il riposo per loro genitori e lo stare insieme come ai tempi in cui si conobbero al paese. Lei non si lamentava: c’era la salute, bene prezioso; tutto il resto, diceva, poteva anche aspettare. Passarono gli anni e i figli ormai cresciuti si erano laureati, tutti con ottimi voti; il giorno della seduta di laurea erano loro a far giungere a casa fiori augurali con dedica ai genitori “ E’ stato merito vostro. Grazie!”.
    Mario era andato in pensione e lei ne aveva ancora per qualche anno, ora il tempo di stare insieme finalmente c’era, facevano progetti per una nuova esistenza e avevano anche programmato un viaggio, una crociera sul Nilo, sarebbe stata la luna di miele mai avuta. Lei si era comprata un bel guardaroba nuovo: il suo andava svecchiato, e aveva osato anche sull’intimo, perfino un babydoll rosso come la passione. Suo marito aveva sessant’anni e la guardava ancora con desiderio, da quando era a riposo: s’erano accesi gli antichi bollori. Lei se ne vergognava, dopo anni passati a reprimerli, quasi si era dimenticata come fossero, ma ora stava riscoprendo un mondo diverso, il viaggio da soli avrebbe rinverdito il loro amore.
   Era tutto pronto, i bagagli nell’entrata, raccomandazioni fatte all’unico figlio non sposato, occorreva solo andare a prendere l’auto che li avrebbe condotti al porto: la nave avrebbe salpato di lì a poco.
   E il piroscafo levò le ancore senza di loro, un infarto fulminante si portò via Mario, lasciando lei nello scoramento più totale, lo choc le causò una profonda depressione. Non tornò più al lavoro e non permise a nessuno di rimuovere i bagagli, Mario, diceva, sarebbe tornato e lei doveva far trovare tutto pronto.
   Passarono gli anni, il figlio celibe si trasferì all’estero: divenne ricercatore, in Italia non c’erano opportunità. Gli altri figli avevano le loro vite ed erano stanchi di sentire le solite lamentele. “La vita va avanti, mamma!” dicevano “Basta! Papà non tornerà più!”.

   La trovarono un giorno agonizzante: aveva sbattuto il capo allo spigolo del letto in ferro battuto. Rimase in coma a lungo, molto a lungo e i cari figli esasperati si batterono affinché staccassero la spina. La portarono all’estero e il tutto stava per compiersi, quando lei, che da un po’ sentiva i loro discorsi, ce la mise tutta a far scivolare quella lacrima. Il medico fermò ogni cosa, allontanò i figli e la tenne in ospedale per molto, molto tempo; la durata della riabilitazione le restituì una nuova vita e un nuovo amore. 

4 commenti:

  1. Bello, carissima Annamaria!
    Con un grande finale.
    Bacioni*

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    1. Grazie, Ale, troppo buona.
      un abbraccio
      annamaria

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  2. Mi piace quel finale positivo...una rinascita e la speranza...si...
    Ciao carissima..a presto
    ^^
    ps..FB e qui..per fortuna non ci si perde di vista

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    1. Ti ringrazio per aver gradito la conclusione di questa storia.

      Sai io sono iscritta a facebook da qualche mese e devo dire che non è poi così male, visto l'andamento sui blog almeno lì c'è più scambio di pensieri, di opinioni, l'importante è non farsi venire la mania compulsiva del social-network.

      un caro saluto
      annamaria

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