
Aveva parcheggiato
l’auto e s’avviava, come ogni giorno, al capezzale di un caro amico, un
prezioso amico. Ettore aveva un’adrenalina coinvolgente: egli sprizzava
un’energia capace di smuovere ogni cosa ed ora era in quel letto in attesa
della fine. Vichy provava rabbia e rancore: era impotente dinanzi a quel corpo
che avrebbe voluto smuovere per donargli nuova vita.
“Perché vuoi per te
le persone migliori? Chi sei stupida signora dal volto enigmatico?” si
chiedeva.
“Va in altri
luoghi, c’è una miriade di gente immeritevole e, invece, tu le lasci in vita.
Perché? Perché vuoi per te le persone come Ettore?”
Il candore di
quella stanza d’ospedale le aggrovigliava maggiormente i dolenti pensieri,
quasi che quel luogo la rendesse più adirata. Guardava l’amico e soffriva, non
riusciva a sottrarsi dalle meditazioni rabbiose che fluivano come un’onda
impetuosa.
“Siamo nel terzo
millennio,” pensava “scoperte in campo medico, scientifico e tecnologico, eppure
ancora non sanno come curare, te, generoso Ettore. Odio tutti i medici, odio
questa vita, se esiste un Dio dovrebbe far qualcosa!”
Si erano conosciuti
alla fiera del libro, Vichy ed Ettore, e avevano subito simpatizzato. Egli era
un lettore accanito, oltre che un insegnante di lettere pregno di passione:
trascinava i suoi alunni all’apprendimento anche dei grandi classici, era
difficile resistergli; le sue lezioni erano coinvolgenti e mai tediose. Il pomeriggio
nei ritagli di tempo, si occupava anche di volontariato, andava in giro per gli
ospedali in veste di clown per portare un sorriso ai bimbi in fase terminale.
Vichy aderì a quella splendida e lodevole iniziativa, la vita della giovane
ebbe una svolta positiva: apprezzò l’esistenza da un’altra prospettiva e
cominciò a riflettere sulla generosità umana e sulla possibilità che ci fosse
un’entità superiore, pian-piano si stava convertendo alla fede, il miracolo lo
compiva Ettore.
Vichy, precedentemente,
era una persona scettica; varie delusioni, sia nel campo affettivo sia in
quello lavorativo, avvaloravano le sue convinzioni: la bontà e la disponibilità
non premiano. La giovane svolgeva una professione non nobile, dopo essere stata
introdotta nel giro dal suo ex fidanzato, vendeva il suo corpo e non sapeva
come uscirne: la paura l’attanagliava, non voleva finire su di un piano di
marmo all’obitorio. Con Ettore comprese che la dignità va
perseguita, a qualunque costo, ma non aveva ancora trovato il coraggio di
smettere e si riprometteva che avrebbe fatto il possibile per farla finita. Ora
la vita le crollava e non sapeva come fare. I tortuosi sentieri dell’impotenza
la bloccavano e le ostacolavano il cammino, si vide in un campo senza uscita, i
cui rovi spinosi le sbarravano il passaggio. In ospedale c’era una statua di un
Santo, non lo conosceva e mai avrebbe voluto sapere chi fosse, anzi la sua
presenza la irritava. Lo guardò rabbiosa e con sprezzo gli rivolse i più
avvilenti e dissacratori pensieri.
“Smettila di stare
su quel piedistallo!” gli disse, osservandolo con un ghigno beffardo “Bello
prendersi gli onori. Se tu me lo fai tornare come prima, ti giuro che la faccio
finita con la mia squallida vita!”
Erano trascorsi due
mesi, due lunghi estenuanti mesi, Vichy sapeva che l’attendeva un giorno
difficile. Ettore era agli estremi: era in coma profondo, la giovane s’era
preparata a vivere con lui l’ultimo viaggio. Parcheggiò l’auto, salì all’ultimo
piano del reparto oncologico e quando giunse nella stanza il letto era vuoto.
“Dove l’hanno
portato?” chiese alterata “Avevo lasciato il mio numero di cellulare, volevo
essere informata della sua morte!”
“Stia calma, stanno
eseguendo una risonanza al paziente. L’abbiamo trovato in piedi, in perfetta
salute.” rispose gioiosa l’infermiera di turno.
Il referto di dimissioni
fu esplicito: “Guarigione avvenuta per
cause inspiegabili!