“No! Dimmi che non
è vero? Arrivo subito!”
Era corsa a
perdifiato: la sua auto si era ingolfata e a quell’ora di notte non c’erano
mezzi in quel borgo abbandonato, un concentrato di poche anime. Una ventina di
caseggiati sparsi sopra un’ampia collina scoscesa, dove si erano insediati i
cittadini stanchi del caos urbano. Un villaggio che di notte assumeva le
caratteristiche di una città presepe, per l’armoniosa disposizione delle sue
case a mo’ di anfiteatro.
Nella fretta non
aveva preso il cellulare e ora non le conveniva tornare indietro: la sua
villetta era dalla parte opposta rispetto al posto dove si stava dirigendo, un
bel tratto che si percorreva con quindici minuti di cammino fatti a passo
veloce. La sua abitazione e quella dei genitori erano agli antipodi fra loro,
le separava la campagna e un tratturo percorribile con la jeep. A quell’ora le
convenne percorrere quel tratturo, lo fece con il fiato in gola e le vennero in
mente tutte le volte in cui ci era passata, scherzando e giocando con il suo
papà, quando le faceva vedere il gregge in transito che, durante l’inverno, si
trasferiva al luogo mite. Quei belati e quell’odore erano nel suo cuore, sapeva
che cambiava la stagione, non solo dagli alberi che si spogliavano, ma anche
dalle bestie che per svernare si dirigevano altrove.
Era buio pesto e le
venne un certo timore: la campagna di notte non era rassicurante e nonostante
il rapido passo, buttava un occhio ai cespugli. La pallida luna illuminava la
vasta zona, infiltrandosi fra le fronde in riflessi perlacei. Scorse la
traiettoria di un’ombra sinistra, una sagoma sinuosa. La paura crebbe accelerandole
i battiti del cuore. Si sentì braccata e senza via d’uscita, non poteva neanche
richiamare l’attenzione urlando richieste d’aiuto: non c’era nessuno e la
prossima casa era ancora distante.
Accelerò maggiormente
il passo, una civetta stridette in uno sbattito d’ali che ruppe il silenzio, le
volò sulla testa, fece giri concentrici come se volesse comunicarle un tragico
evento. Si guardò le mani, erano libere: non aveva preso neanche la valigetta
da medico. Quella telefonata l’aveva colta alla sprovvista, stava dormendo e la
fretta d’accorrere l’aveva mandata in tilt. Un medico dovrebbe conservare il
suo selfcontrol, ma erano i suoi genitori e con gli affetti le reazioni sono
differenti.
La porta di casa
era aperta, l’interno era buio, ebbe paura: quella sagoma sinistra l’aveva
seguita, se l’era portata appresso, come fosse stato il fantasma della morte
che attende le sue prede. Cercò in tutte le stanze, dopo aver richiuso l’uscio.
Invocò i suoi genitori, essi non risposero e d’improvviso si accese la luce e vide
riverso sul divano esanime, un uomo che non era suo padre. Si avvicinò e notò prima
d’ogni cosa la ferita sanguinante alla testa e lei si paralizzò. Era un medico
legale, avrebbe dovuto conservare sangue freddo, invece il panico s’impadronì
di lei, un buco allo stomaco e poi …
Lo squillo del telefono
la riportò alla realtà. Rispose a fatica con un pronto stentato.
“Dottoressa, c’è un
cadavere da esaminare!”
“Arrivo subito!” Nonostante
l’agitazione di quell’incubo si vestì alla svelta, oggi avrebbe effettuato la
sua prima autopsia e non si sentiva per niente tranquilla. Le indagini lo
richiedevano, andava smascherato il colpevole. La sera precedente s’era
addormentata in ansia, temeva di non farcela e l’incubo le aveva dato ragione,
ma lei aveva scelto quella professione specializzandosi in criminologia . Si
ricordò le parole del suo maestro: “La prima volta, sarà dura, poi andrà sempre
meglio; la giustizia non farebbe il suo lavoro senza di noi medici legali!” Senza
indugi, indossò il camice, era pronta!
Impugnò il bisturi,
ma quello sbattito d’ali le ronzò nella testa, più forte, sempre più forte, un
vortice la stava risucchiando e poi un paf.
“Amore, svegliati!
Lo sciopero è terminato, oggi si ritorna a scuola!” mormorò Luca dolcemente.
Federica si girò e,
riaprendo gli occhi, riconobbe il suo ambiente. Schizzò dal letto, gettandosi
fra le braccia del suo uomo. Tirò un sospiro di sollievo, mai la sua vita le
parve così bella. Accantonò i problemi scolastici, le beghe con gli alunni, era
così difficile insegnare, e disse:
“Mai più un
thriller dopo cena! Non uno, ma due sogni, un sogno nel sogno. Sai, caro, adoro
fare l’insegnante!”