
Un pizzico di civetteria. Oh, cosa sarà mai! si disse. Era pur vero che affrontava un lavoro serioso, uno di quelli che mai si sarebbe aspettata, ma era giunto e Dio solo sa quanto aveva sofferto e sperato e da oggi era il Direttore Capo dell'Istituto di Pena più duro del circondario. Ce l'avrebbe fatta: doveva. E nessuno l'avrebbe osteggiata o denigrata.
Entrò. Varcò quella soglia che tanto l'affliggeva: un tempo, abbastanza remoto, lei era stata ospite di quella casa circondariale, ospite forzata. Sua madre l'aveva partorita lì, fra quelle anguste e squallide mura, e per un determinato tempo ne aveva trascorso la primissima infanzia; mai nessuno dei suoi stimati parenti si era premurato di venire a cercarla, di portarla lontano da quell'ambiente e lei era cresciuta così, chiedendosi, dopo, dove fosse stata la sua famiglia. Disumani! Aveva coltivato un odio sottile, odiava il genere umano in particolar modo il genere parentale, molto meglio gli estranei: doveva a loro, se aveva conosciuto un'esistenza diversa fuori dalle mura penitenziarie .
"Mammina, cosa c'è lì fuori?"
"Il mondo." le rispondeva la madre, e lei Giulia non comprendeva cosa fosse il mondo. Formulava quella domanda da quando aveva sentito le compagne della mamma dire che fuori era bello, ecco perché poneva con insistenza quella domanda. Per lei esisteva quella stanza con le sbarre alla finestra e ne osservava il cielo che s'intravedeva, quadrati di azzurro o di nubi, piccoli squarci di luce che poteva mirare completamente durante l'ora d'aria di sua madre che in quel luogo penitenziale non l'affidava a nessuno.
"Io e te, sempre insieme!" diceva soventemente "Solo noi due, amore mio!" Ricordava come diveniva belva se qualcuna le si avvicinava, ricordava il tono minaccioso e furente di lei, si facevano da parte quando sua madre indirizzava uno sguardo severo, poi comprese il perché e ne comprese anche il motivo.
"Filomena o dovrei dire dottoressa, anche se mi riesce difficile."
"Lasci perdere, avvocato, continui a chiamarmi con il mio nome, lei è come un padre per me."
"Non esageriamo, non sono così vecchio, del resto quando ti ho conosciuta bimba ero un giovane laureando e tuo padre era il mio relatore."
"Un docente che poi divenne il suo miglior amico, disparità d'età ma intesa su tutti i fronti."
"Eri una bambina bellissima e del resto anche ora..."
"Troppo generoso. Ora mi dica, qual'è il mio ruolo?"
"Occuperai questa postazione, accanto alla mia camera; vedrai, sarai un eccellente avvocato penalista."
Filomena si fermava sino a tardi, aveva preso a cuore quel lavoro, lo sentiva suo e voleva portarlo avanti con alacrità: sperava di continuare a svolgere la professione, in quello studio, magari come avvocato associato. Studiava ogni passaggio, ogni indagine, e si occupava con soddisfazione della stesura degli atti processuali che studiava anche a casa; se suo padre fosse stato in vita, sarebbe stato fiero di lei.
Era una serata d'inverno estremamente fredda e piovosa e Filomena si era attardata più del solito: l'indomani prendeva il via un processo penale ai danni di una donna incriminata di omicidio per la morte del marito. Dalle indagini risultava che il delitto era preterintenzionale: la donna non aveva intenzione di ucciderlo, e viste le ripetute vessazioni alle quali era sottoposta, la reazione di lei era stata quasi una conseguenza rivelatasi fatale mentre cercava di difendersi. Filomena era talmente assorta che era rimasta alla scrivania con la sola luce della lampada da tavolino, sentì un fruscio ma non volle darne peso, ormai con le sue indagini era spesso avvolta da un'atmosfera sinistra e non voleva che i suoi pensieri la suggestionassero, perciò ignorò quell'impercettibile sibilo. Tutto si svolse in frazioni di secondi, una misteriosa figura coperta in volto da passamontagna le giunse alle spalle e le pose un laccio alla gola, mentre con una voce cavernosa le raccomandava di tacere se voleva salva la vita. Inizialmente non poté riconoscerlo, ma sentì il suo peso quando la scaraventò sulla scrivania e fulmineamente la stuprò; lei dovette subire stringendo i denti: il laccio stringeva e stringeva. Le mani della giovane erano libere e mentre lui godeva insaziabilmente, lei raggiunse il tagliacarte e lo affondò sulla schiena del violentatore, non smise neanche quando lui cadde insanguinante a terra; la donna delle pulizie, il giorno dopo, la trovò in stato confusionale sull'uomo in una pozza di sangue. "Maledetto porco!"esclamò, quando i poliziotti la portarono via: aveva fatto in tempo a vederne il volto, era il suo Avvocato padre.
Fu condannata, da quella violenza nacque Giulia che vide la luce in galera e visse nel luogo di pena oltre i tre anni stabiliti dalla legge, dei suoi noti parenti stimati in città neanche l'ombra. Giulia entrò in seguito nella casa famiglia gestita dalle Suore e istituita per i figli dei detenuti e per tutti i giovanissimi con seri problemi sociali; la madre in un momento di acuta depressione si tolse la vita e mise fine al suo tormento.
"Ricordo tutto, mamma. Ero piccina, ma non ho dimenticato il tuo amore e il tuo sguardo malinconico e l'odio che avevi per il genere umano. Ricordo con dolore quando venivo in visita e mi chiedevi di restare con te, mi chiedevi di portarti via. Ora sono io a dirigere questo posto. Che salto di qualità, vero mamma? Tutto torna, tu saresti stata un eccellente avvocato penalista, io ora dirigo il luogo che ti vide reclusa, il luogo che ti umiliava. Sono passati venticinque anni, ma vi sono ancora le secondine di un tempo, quelle che non compresero mai il tuo dolore, quelle che ti insultavano come fossi stata una prostituta. Dicevano che te l'eri goduta. - Quella se l'è cercata! - questo dicevano. E guardavano me come la figlia della puttana assassina. Tutto torna, mamma: ora sono qui e se la vedranno con me." (continua)