
Una nube nera si delineava all’orizzonte, Federica aveva passato una notte insonne e quel cielo velato le incupiva l’anima. Stancamente si sedette sulla sua poltrona preferita e si lasciò andare ai ricordi.
Era tanto giovane e pregna di belle speranze: tutto le sorrideva. I genitori la riempivano di attenzioni, profitto scolastico eccellente e amici speciali. L’intero mondo era fra le sue mani, ogni nuovo giorno era come un annuncio felice da vivere nella sua pienezza.
“Mamma, oggi pranzo da Simona, non aspettarmi! Salutami papino, quando si sveglia!” e si avviò scendendo le scale a perdifiato: non vedeva l’ora di giungere a casa dell’amica.
Oggi andiamo a fare shopping, poi ci aspettano quei due ragazzi simpatici, chissà che non s'innamorino di noi, a me piace il ragazzo moro, è bellissimo! – meditava così Federica, mentre camminava allegramente lungo il tragitto che la separava da casa di Simona, la sua amica del cuore.
Con il fiato in gola suonò ripetutamente alla porta della sua compagna: aveva fretta doveva confidarle tutti i suoi propositi. Simona era un tantino pigra e bisognava stimolarla ogni volta, ma a lei piaceva così, in fin dei conti era contenta di condurre il gioco.
Pigiò il campanello più volte, ma nessuno le apriva.
Si affacciò una vicina.
“Chi cerchi?” chiese la donna “No, non c’è nessuno! La poverina è in ospedale.” rispose mestamente.
Federica ripercorse a ritroso il tratto di strada, la clinica non era distante, nel loro quartiere era sorto da qualche tempo un mega ospedale all’avanguardia.
Entrò in camera e scorse sul lettino la sua amica dal volto cadaverico e sofferente.
“Simona!” sibilò preoccupata, dopo essersi accostata “Cosa ti è successo? Perché sei qui? Ieri eri in perfetta forma, abbiamo preso accordi per oggi, non capisco!”
“Te lo dico io cosa è successo!”esordì furente la madre dell’amica. “Il tuo papino, il tuo adorabile padre perfetto, violentava mia figlia da mesi, e stamane Simona gli ha detto chiaro e tondo che l’avrebbe rivelato a tutti, che le sue minacce non le facevano più paura e lui l’ha ridotta così! Io l’ho denunciato quel maiale!”
L’esistenza le crollò addosso, si sgretolarono le sue certezze e il mondo le apparve ostile e malvagio. Lo sbigottimento lasciò il posto alla rabbia furente che s’impossessò di lei, non ebbe la forza di restare lì, si sentì sporca per quel padre schifoso che le era toccato come genitore.
“L’hanno arrestato!” disse fra le lacrime sua madre “Un uomo così perbene, un marito adorabile. Si saranno sbagliati. Dovevi vederlo, l’hanno buttato giù dal letto, non ha parlato!”
“Mamma, dobbiamo andar via da questo posto, la gente ci guarderà storto. Papà è uno stupratore!” si seppe in seguito che aveva violentato altre due ragazze, le quali si fecero vive dopo quella circostanza.
Quanti anni erano trascorsi? Sua madre era vissuta con lei che aveva trovato lavoro dapprima come cassiera in un supermercato e poi come responsabile in una catena di alimentari. Si era guadagnata la stima della gente, in quella città ai confini del suo stato nessuno conosceva il fattaccio. La madre di Federica era morta dopo pochi anni di crepacuore e lei viveva solo per il lavoro e la solidarietà: durante il tempo libero si dedicava all’assistenza degli anziani senza famiglia.
“Marcello, ti ho portato un brodo caldo, vediamo se ti vien voglia di mangiare?” annunciò allegramente Federica, a quell’anziano triste e solo. “Raccontami di te, perché non abbozzi mai un sorriso? E’ il tuo volto la causa dei tuoi problemi?”
“La mia faccia si è sfigurata durante un incidente d’auto.” rispose pacatamente “Ho perso la felicità, non per la disgrazia dalla quale sono uscito vivo, ma per non aver avuto la forza di difendermi quando avrei dovuto.”
“Da cosa, Marcello? Ora siamo amici, a me puoi dirlo.” esortò Federica comprensiva. Quell’uomo le suscitava sentimenti buoni.
“Non posso, ti perderei!”
“Quando ti sentirai pronto, io ci sarò.” comunicò lei in amicizia.
Quella nube si allontanò e rischiarò il cielo, era domenica doveva andare da Marcello. Gli avrebbe chiesto di venire a pranzo da lei, il calore di un’altra casa forse l’avrebbe rallegrato e chissà si sarebbe confidato; lei dimenticava le sue tristezze quando faceva del bene.
Suonò a quella porta, suonò ancora.
Che strano – pensò – è tutto come quel giorno lontano.
Nessuno le apriva, sentiva uno strano presagio. Ci pensarono i vigili chiamati da lei, sfondarono la porta e trovarono Marcello esanime riverso sul tappeto; stringeva una lettera fra le mani, in calce una postilla “PER FEDERICA” .
“Io non ho mai violentato nessuna. Sono stato accusato ingiustamente e l’infamia mi ha ucciso.
A quel disonore se ne aggiunse altro e non mi difesi, chi mi avrebbe creduto?
Tutto era contro di me. Avevo una sola colpa quella di non aver parlato.
La tua amica inscenò ogni cosa, si era infatuata di me ed era gelosa della tua felicità.
Mi perseguitava, diceva che avrebbe sempre asserito il falso.
Le altre ragazze furono indotte da lei, sperava che cedessi al suo amore.
Quando siete scomparse tu e tua madre, lei sperava ancora.
Ho espiato una colpa non mia.
Dopo sono vissuto solo, ma il Signore ti ha rimesso sulla mia strada.
Io ti ho sempre …”
“Oh, papino!” e scoppiò in un pianto disperato.