sabato 31 dicembre 2016
BUON ANNO!
Siamo alla fine di un anno ricco di eventi che hanno movimentato la nostra quotidianità, eventi dei quali avremmo fatto volentieri a meno, ma non è possibile essi ci investono: accadono punto e basta. Non ci siamo fatti mancare nulla, dicono che la piattezza giornaliera porti alla noia, dicono chi? Forse le eccelse menti che non conoscono la corsa contro il tempo, l'affanno problematico delle famiglie, il dover perdere tutto e per forza di cose ripartire da zero senza aver il tempo di piangersi addosso? E poi trovarsi privati dell'affetto più caro, perché un folle invasato crede di essere il giustiziere senza macchia. Credere che i sacrifici di una vita possano giacere immacolati e crescere per far fronte a probabili evenienze.
Chi occupa posti privilegiati ha il potere di elargire accattivanti sermoni, finge di calarsi nei panni sdruciti e scomodi, assume anche un'espressione di compatimento, come se la sofferenza ingiusta la provasse sulla propria pelle. La vicinanza nei momenti tragici è conforto, certamente, ed è conforto prezioso chi si prodiga nell'aiuto disperato di salvare vite umane mettendo a rischio le proprie; è conforto chi in una lotta estenuante si batte per cercare l'antidoto al male incurabile che ora sempre meno la fa da padrone, ed è conforto il sostegno di chi, pur sapendo che forse non tornerà più a casa, continua a offrire il suo aiuto nei luoghi dove la parola pace è sconosciuta. Ecco dove esiste l'assoluta inadempienza che genera sfaceli, esiste anche un'umanità preziosa che cerca di tamponare i disastri umani. E noi che ne subiamo i flussi, possiamo solo coltivare la speranza e continuare a fare nostro il motto "Sinché c'è vita, c'è speranza!"
Buona fine, dovrei augurare ciò ma non mi piace: nella parola fine leggo un augurio di non continuità; allora Buon San Silvestro e Buon Capodanno a tutti e in gamba più che mai, altrimenti come facciamo a mettere in atto i propositi di cambiare questo mondo? AUGURI!
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lunedì 19 dicembre 2016
Buon Natale
(Questo post è di qualche anno fa, ma è ancora perfetto ecco perché mi sento di condividerlo nuovamente)
Carissimo, chi l'avrebbe detto che ti avrei scritto, alla mia età poi! Vorresti forse sapere l'età? Ma dai, lo sai che una signora è quasi sempre reticente e preferisce lasciare agli altri il calcolo della sua età: è così bello quando sottraggono anni, è come recuperare una ventata di gioventù, e noi donne non lesiniamo i complimenti mai, anche quando giovani lo siamo per davvero.
Quest'anno ho deciso di rivolgermi a te, di scomodarti, del resto non ti ho mai disturbato in passato: tu non facevi parte del mio mondo natalizio, dalle mie parti quando ero una bimba si aspettava l'Epifania per ricevere doni.
Il natale è alle porte, carissimo, e i bambini si affrettano a consegnarti le loro letterine, sai anche i miei nipotini l'hanno fatto, che bella età è quella: non si conosce nulla del mondo torbido che ci tocca in sorte. Nell'aria l'atmosfera natalizia è malinconica e i luccichii, gli addobbi non riescono a illuminare i cuori spenti dai problemi sempre più crescenti che ci avviluppano ogni giorno e ci deprimono; e anche chi ha una vita pressoché normale, non ce la fa a restare indifferente. E poi diciamocelo francamente, è come una situazione a catena e anche chi non se la passa male potrebbe precipitare e affondare; ma anche se così non fosse, non si può gioire sapendo che intorno a noi il malcontento e la sofferenza dilagano sempre più. Famiglie che vivevano una condizione di benessere, si ritrovano oramai a combattere contro la povertà e i disagi di una vita di stenti senza sbocchi e senza futuro; un'esistenza dove la vita umana non conta quasi nulla e la si sopprime con molta facilità: ti alzi la mattina e apprendi che la tal persona stimata non c'è più e che il tal dei tali è stato ucciso per quattro spiccioli. Viviamo una vita dove la meritocrazia conta meno di niente e allora chi si è impegnato, pensa che avrebbe fatto meglio ad andare a divertirsi invece di aver sgobbato ed essersi privato della leggerezza di una giornata meno faticosa, e chi è stato sempre onesto, si dice che avrebbe fatto meglio a frodare il prossimo in quanto la trasparenza non premia.
Carissimo, in questo mondo da adulti i buoni non ricevono premi e chi si comporta in maniera retta viene perseguito, a differenza di coloro che possono e assoldano chi sappiamo per farla franca; pensa che l'Italia è forse l'unico paese dove esiste la prescrizione e poiché i processi si trascinano per le lunghe con costi elevatissimi che gravano sulla traballante economia, chi dovrebbe finire in galera resta impunito.
Lo so che ne sei dispiaciuto e che vorresti fare man bassa di tutti i disturbatori e disonesti di questa società, lo so che vorresti, come so anche che ti è toccato in sorte di non poter intervenire perché l'uomo giunge alla comprensione attraverso i suoi errori. Però c'è qualcosa che potresti fare, per natale potresti donarci nuovamente la speranza: l'abbiamo persa e non va bene, con essa si guarda al domani con ottimismo e coraggio, quella sana voglia di fare che cerca l'impegno; voglia anche di combattere i soprusi, di emergere e di farla in barba agli uomini di potere che ci hanno privato anche dei sogni.
Giustizia, solo giustizia, dove chi sbaglia paga! E diamine abbiamo superato gli anni di piombo, l'austerity dovuta alla crisi petrolifera, il terrorismo e andando più indietro la famosa crisi del '29 detta anche Grande depressione: se tu ci porterai in dono la speranza, ci rialzeremo come sempre è stato!
BUON NATALE A TUTTI!
venerdì 9 dicembre 2016
Saggia decisione
"Ma è lui?" Osserva tra lo stupore e l'angoscia. Una strana entità è apparsa dal nulla, come una figura evanescente avvolta da un'aura di mistero. Sgrana gli occhi e il tutto diviene più nitido: sta tornando in sé. Contempla meglio l'ambiente e il torpore della mente fa posto alla consapevolezza di esserci e riconosce la figura misteriosa.
Cosa gli sarà accaduto, si chiede? Il suo volto è cadaverico e pare trattenga una forte emozione. Forse deve comunicarmi qualcosa di tragico e io sto perdendo tempo in elucubrazioni, ora gli parlo e glielo chiedo. Ma perché non articolo parola e sto qui solo a pensare? E lui, perché non mi parla? Quando l'ho guardato con stupore non ha battuto ciglio, non ha mi rivolto la parola, non ho visto nessuna espressione sul suo volto. Dove sono? Comincio ad aver paura; eppure mi tasto, ci sono, mi vedo in questo letto d'ospedale. Ma guarda, è arrivato un medico; non lo conosco e sta parlando con il mio fidanzato che ha un'espressione tenera e angosciata! No... piange! Ma perché? Io sto bene, ne sono sicura: adesso gli parlerò e lo abbraccerò, gli farò tornare il sorriso sul suo volto diafano e scavato intorno agli occhi, povero caro! Ehi, guardami; guardami amore mio!
Lo so, sono responsabile: ora ricordo. Ho voluto percorrere quel rettilineo a tutta velocità, volevo testare il nuovo modello, volevo sentire il fruscio nelle orecchie, il sibilo del vento sulla faccia; avevo alzato anche la capote ed ero al settimo cielo. Tu mi scongiuravi di rallentare, di tenere d'occhio la carreggiata; mi hai minacciato, volevi scendere dall'auto, più volte hai cercato il pulsante sullo sportello; eri disposto a voler andar via anche con l'auto in corsa. Perdonami, amore mio, ora so di essere stata una scellerata; ho anteposto lo stupido piacere del brivido alla sicurezza, ma la vita umana conta più d'ogni cosa. Tu stai soffrendo: io ti vedo, ma sei vivo e incolume. Non andar via!
Che fai, mi lasci da sola? Lo sai che ho paura e qui non c'è nessuno. Come posso farti capire che ci sono e che non devi abbandonare la camera. Devo spostare qualcosa, devo darti un segnale, devo farti intuire che sono viva e che sono disposta a chiederti venia per tutta la vita.
Ho la sensazione di essere in un corpo che non mi appartiene, non riesco a esserne padrona. Ti vedo, ma non mi rispondi; è come quella volta che mi trovai fra il dormiveglia e non riuscivo a muovermi e a parlare, forse sono ancora in quello stadio di semi incoscienza, che sofferenza! Ma se spostassi un dito, se sollevassi appena appena un polpastrello, forse tu, tesoro mio, ti accorgeresti di me?
Lo so, sono responsabile: ora ricordo. Ho voluto percorrere quel rettilineo a tutta velocità, volevo testare il nuovo modello, volevo sentire il fruscio nelle orecchie, il sibilo del vento sulla faccia; avevo alzato anche la capote ed ero al settimo cielo. Tu mi scongiuravi di rallentare, di tenere d'occhio la carreggiata; mi hai minacciato, volevi scendere dall'auto, più volte hai cercato il pulsante sullo sportello; eri disposto a voler andar via anche con l'auto in corsa. Perdonami, amore mio, ora so di essere stata una scellerata; ho anteposto lo stupido piacere del brivido alla sicurezza, ma la vita umana conta più d'ogni cosa. Tu stai soffrendo: io ti vedo, ma sei vivo e incolume. Non andar via!
Che fai, mi lasci da sola? Lo sai che ho paura e qui non c'è nessuno. Come posso farti capire che ci sono e che non devi abbandonare la camera. Devo spostare qualcosa, devo darti un segnale, devo farti intuire che sono viva e che sono disposta a chiederti venia per tutta la vita.
Ho la sensazione di essere in un corpo che non mi appartiene, non riesco a esserne padrona. Ti vedo, ma non mi rispondi; è come quella volta che mi trovai fra il dormiveglia e non riuscivo a muovermi e a parlare, forse sono ancora in quello stadio di semi incoscienza, che sofferenza! Ma se spostassi un dito, se sollevassi appena appena un polpastrello, forse tu, tesoro mio, ti accorgeresti di me?
Non so forse ho dormito, vedo la luce filtrare attraverso le imposte e se ben ricordo sono rimasta da sola nella camera, sin quando non è giunta una signora con il camice bianco che ha iniettato nella flebo una sostanza, sicuramente un calmante soporifero. Mi osservo per quel posso e constato che sono legata a una macchina, chissà da quanto tempo sono qui? Non potrei dedurlo dal mutamento della natura, non so se questa struttura che mi ospita è situata in un giardino: a casa mia le prime gemme mi fanno intuire l'arrivo della primavera e i frutti sugli alberi mi indicano l'estate piena.
Penso e ripenso, posso solo far questo, ma sono viva e sento che ce la farò a riappropriarmi della mia vita che sarà diversa: meno sregolatezze e più saggezza, e soprattutto tanto amore da donare al mio uomo per sempre; forse non mi basterà una vita per farmi perdonare.
Sento dei rumori, si apre la porta, entra il mio fidanzato accompagnato dal dottore di prima, si avvicinano al mio letto mi osservano e il medico stacca il respiratore. No, sto morendo! Io sono viva, perché... Oddio soffro troppo, sento come una stretta alla gola, non ce la faccio...
Penso e ripenso, posso solo far questo, ma sono viva e sento che ce la farò a riappropriarmi della mia vita che sarà diversa: meno sregolatezze e più saggezza, e soprattutto tanto amore da donare al mio uomo per sempre; forse non mi basterà una vita per farmi perdonare.
Sento dei rumori, si apre la porta, entra il mio fidanzato accompagnato dal dottore di prima, si avvicinano al mio letto mi osservano e il medico stacca il respiratore. No, sto morendo! Io sono viva, perché... Oddio soffro troppo, sento come una stretta alla gola, non ce la faccio...
Ripose il libro terrorizzato, aveva proseguito la lettura sperando in un lieto fine e invece la storia affrontava il tema dell'eutanasia; sentiva ancora i brividi e aveva le pulsazioni accelerate: si era sentito parte integrante di quella storia, il merito era senz'altro dell'autore, bravissimo non c'è che dire! Si ricordò del suo appuntamento. Simone, suo cugino, stava per passare a prenderlo: dovevano andare in discoteca con la macchina nuova dello zio, una Porsche Cayenne. Lui e suo cugino avevano compiuto da poco diciotto anni e Simone che amava il rischio, avrebbe sottratto l'auto a suo padre. Ebbe paura, prese il cellulare e scrisse un breve messaggio: "Ho trentanove di febbre, verresti a farmi compagnia?" Gli avrebbe parlato della storia, l'avrebbe dissuaso, chissà? Comunque ci avrebbe provato!
sabato 26 novembre 2016
Liberazione
S’intravedeva una striscia
luminosa, una fessura brillante, quasi uno squarcio in quel cielo cupo di fine
settembre. Alzò pesantemente il capo e volse lo sguardo come a voler penetrare
il punto più fulgido e si vide lontana in un mondo surreale privo di ogni
cattiveria e fini reconditi, privo di “paure”. Ali leggere l’avrebbero condotta
lì dove tutto è bellezza, purezza, gioia di un’esistenza beata. Avrebbe gioito:
nulla l’avrebbe scalfita, le paure non avrebbero più albergato nel suo cuore e
avrebbe assaporato la vita come mai le era stato concesso.
Difficile far comprendere
il perché di ogni cosa: chi vive in una sua dimensione non riesce a penetrarne un’altra,
se non dopo aver vissuto in prima persona quelle sensazioni. E la leggerezza
nel cuore le avrebbe concesso la beatitudine di esperienze comuni per altri, ma
non per lei che non poteva essere come loro: nel suo profondo io vivevano le
PAURE, quelle che non aveva cercato e che le erano state donate
inconsapevolmente.
E la vita scorreva: occorreva farlo; si va avanti e si cerca
una possibile convivenza con quelle angosce, che poi si diceva anche altri
provavano, non era la sola; ma quel pensiero la confortava solo un po’perché
doveva sempre fare i conti con quelle fobie.
Quando era cominciato, quando?
Ricordava… ma certo era una bambina e aveva trovato davanti un ostacolo così
improvviso che era corsa via, per lo spavento si era rifugiata nel suo nido
confortevole ma non terapeutico; quell’ostacolo era stato aggirato ed era
così rimasto nei suoi meandri celebrali:
non aveva potuto rielaborare quella paura che sicuramente si
sarebbe trasformata in una gioia appagante.
E quella strana fobia si era allargata a macchia d’olio: lei temeva
tutta la categoria appartenente a quel primo ostacolo, anche i più innocui
esemplari di ogni genere e specie erano giganti pronti a farla fuggire, a risvegliarle
quell’ansia frustrante, grosso handicap per chi non vuole isolarsi dal mondo.
A quella paura se ne erano
aggiunte altre che rientravano sempre nella sfera delle possibili minacce o pericolosità
che avrebbero messo a rischio la sua vita, perché il nocciolo della questione
era proprio questo: mettere in pericolo la sua vita! L’amore materno e il suo
patema d’animo di un’esperienza con un epilogo drammatico, aveva creato una
sorta di protezione eccessiva nei confronti di lei a tal punto da renderla insicura
e sulla difensiva.
E poi come darle torto, quale madre non farebbe lo stesso
dopo aver perso la sua creatura? Una madre dopo è sempre vigile e teme, vive
nell’angoscia e i suoi timori, anche se velati, finiscono per essere recepiti,
assimilati: l’amore protettivo è un’arma a doppio taglio.
Difficile essere genitore e
anche lei lo sapeva: era madre, e spesso si domandava che forse avrebbe potuto
fare di meglio, anche i suoi figli avevano delle mancanze, piccole, ma pur
sempre mancanze e un genitore desidera erroneamente la perfezione che un essere
umano mai possiederà.
Quella fessura luminosa stava
per allontanarsi, chinò il capo e si disse che dopo tutto quelle fobie non le avevano
impedito altre esperienze, altre emozioni e le avevano dato delle inclinazioni
forse più appaganti delle paure che, in fin dei conti, in alcune situazioni
riusciva ad arginare con la comprensione di chi le voleva bene.
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mercoledì 16 novembre 2016
Genere fantasy
E se ci trovassimo in una realtà
straordinaria, impensabile, fantastica, in un mondo da favola, come in un bel
sogno infantile? Se dovessimo svegliarci e trovarci in una dimensione
allucinante, un’esistenza mai vissuta e respirata solo attraverso i libri? Ah,
ecco, la sera precedente magari ci siamo addormentati con quel libro fantasy,
una storia irreale che ci fatto sorridere, giusto per alleggerire l'atmosfera e conciliare il sonno. Potremmo
suggestionarci a tal punto da trovarci faccia a faccia con un popolo di creature altissime dai lunghi
denti aguzzi e sporgenti abbelliti da tatuaggi differenti, uno per ogni dente:
vanno tanto di moda i tatuaggi che in definitiva potrebbero apparire anche
all’interno della bocca e i denti sono perfetti come campo di lavoro in
miniatura, incisioni e disegni micro davvero artistici. Nell’immaginario
assisteremmo a una mostra di sorrisi
sconvolgenti e ammiccanti in un'orgia di un carnaio folle che non osa sciupare
i loro denti, per cui non mangia e vive del piacere di un’esteriorità grottesca
che man mano si sgretola. Corpi allampanati privi di forze che tentano di
recuperare il cibo ormai pietrificato dalla loro sfrenata passione per la vanità
e in una sorta di analogia con il Re Mida, che trasformava tutto in oro,
anch’essi periranno. Una realtà immaginata per farci riflettere sulle vacuità
della vita.
La fantasia non ha limiti e da sempre lo
scrittore brillante ha creato storie per gli appassionati dell'irreale che non
affascina solo i bambini; il fantasy veicola un messaggio, uno spunto di riflessione
sui veri valori della vita. E se l'horror procura emozioni da brivido per chi
ama impressionarsi, il fantasy nella sua leggerezza comunque dona quel fiabesco
che avvincendo la mente le trasmette un
insegnamento.
Harry Potter è un esempio di letteratura per ragazzi, un romanzo di
formazione che ha conquistato il mondo intero ed è stato tradotto in 77 lingue
tra le quali il latino e il greco antico; la storia del maghetto e dei suoi
amici ambientata nella scuola di Magia e Stregoneria ha affascinato anche gli
adulti dell’intero mondo planetario, a tal punto da avere un impatto fortissimo
sulla cultura popolare. Storie fantastiche e imprevedibili, ricche di colpi di
scena, nelle quali i protagonisti vivono la contemporaneità del mondo reale:
tutto è legato al tempo della stesura del libro, magia a braccetto con i tempi
nostri. Le esperienze degli adolescenti protagonisti non si fermeranno alla
loro giovane età, ossia a quegli aspetti che riguardano le emozioni e gli
errori tipici adolescenziali, i ragazzi cresceranno interiormente e fisicamente,
e affronteranno proprio tutte quelle problematiche che fanno parte del mondo
degli adulti: il potere politico, la strumentalizzazione mediatica, il razzismo,
l’oppressione del più debole, la vecchiaia e i suoi errori, la depressione e la
morte. Temi forti del mondo maturo ambientati nel mondo magico che per quanto
possa sembrare affascinante in realtà è più complicato e pericoloso della vita
vera. Ed è questo lo spunto sul quale il lettore deve riflettere: la magia non
semplifica le cose; nel libro sono contenuti una serie di nozioni affinché il
lettore possa risolvere i vari misteri.
Il genere fantasy ricco di atmosfere è dominato da personaggi che in una
sorta di condivisione lottano per il bene superando prove difficili, ostacoli
che in definitiva sono riconducibili all’esistenza umana così travagliata ed
esposta a rischi e pericoli; lottare per non soccombere alle lusinghe del male,
essere scaltri e combattenti per il raggiungimento di fini nobili che renderebbero
il mondo vero realmente straordinario.
sabato 5 novembre 2016
Sciocca considerazione
Amo prendere il caffè
mattutino guardando la televisione, è un po' come affacciarmi sul mondo per
venire a conoscenza delle ultime notizie; m'imbatto in una trasmissione Rai i
cui conduttori sono degni di enorme stima: lei è una scrittrice, giornalista e
tanto altro; lui, un docente in filosofia e tanto altro. Ospite uno scrittore
opinionista che recentemente ha suscitato clamore per una frase apparsa in un
suo post, la frase recita così: "Vedere le chiese crollare è divertente!"
Ora qui si apre
tutto un mondo che va aldilà della fede, delle proprie convinzioni religiose,
ma lui durante l'intervista ha affermato che Dio permette i crolli, i terremoti, in quanto nel primo testamento dall'Altissimo giungevano le punizioni e che le
calamità naturali, le pestilenze erano punizioni destinate ai peccatori.
Tutto
si evolve e ciò che appartiene al passato non rientra più nella nostra forma
mentis; un Grande che ha fatto la storia, un tale GESU', nel secondo testamento
ha sovvertito quelle regole, insegnando l'amore per il prossimo, la
condivisione, il perdono, e rimarcando il fatto che Dio, padre buono, offre
sempre un'altra possibilità, per cui non punisce ma ama; tutto il resto è
frutto delle leggi della natura e della poca avvedutezza dell'uomo, anzi aggiungerei della disonestà dell'uomo.
Il
conduttore di questa trasmissione mattutina, a fine intervista, ha
chiuso l'argomento con una grande, grandissima frase: "Io sto dalla parte
di Dio che nella sua perfezione ha creato la vostra imperfezione!"
Ahinoi, sarebbe un divertimento far crollare opere maestose di alto valore
artistico e culturale? Sarebbe un divertimento accatastare macerie polverizzando il talento dei grandi maestri artistici, talento che richiama migliaia di persone da tutto il mondo per appagare la sete di conoscenza, cultura e di quell'arte certosina e talentuosa da custodire che ci fa ottenere il primato di nazione con maggior numero di siti inclusi nella lista del patrimonio dell'umanità?
Ma lui, lo scrittore, ha precisato che secondo
l'etimologia "divertire" è inteso come deviare, volgere altrove, ma
deviare da cosa? Deviazione dall'arte, dalla cultura, dal patrimonio di arte
sacra? Saggio e profondo il conduttore Guido Barlozzetti che, intervenendo in
ultima battuta, ha sottolineato l'imperfezione umana!
venerdì 28 ottobre 2016
Impressioni di lettura
Il titolo di questo libro è un bigliettino da visita sul tema portante del romanzo stesso: le ceneri rappresentano la distruzione, ciò che resta della combustione e in questo caso una vita cancellata, un passato doloroso che vive come una ferita nel cuore di chi resta, infatti la combustione arde nel ricordo e nell’anima. Elisabeth Gille, autrice di questo bellissimo libro, è la figlia minore della scrittrice Irène Némirosky, che in più occasioni ho avuto l’onore di presentare con le mie impressioni di lettura. E se da una madre eccelsa abbiamo gustato i suoi capolavori letterari, altrettanto in Elisabeth troveremo note armoniche di scrittura, un affresco descrittivo emozionante. In fin dei conti, “Un paesaggio di ceneri” è il proseguimento del capolavoro “Suite Francese” scritto dalla Némirovsky prima di essere deportata ad Auschwitz e se nel primo è narrata l’occupazione nazista in Francia, nel secondo libro la storia prosegue anche dopo la guerra.
Il romanzo comincia con un NO categorico, un rifiuto che echeggia nel silenzio di un collegio: il clima lugubre sconvolge mentre le suore tentano di spogliare una bimba, Léa, dai suoi abiti di lusso e le strappano la bambola che stringe spasmodicamente a sé. L’operazione si rivela difficile, ma l’attenzione di Léa si sposta sulla camerata e su di una bambina dai grandi occhi azzurri, Bénédicte più grande di lei di due anni, ospite di quel collegio; sarà proprio lei ad occuparsi della nuova arrivata a insegnarle le regole di sopravvivenza: siamo in pieno conflitto e i genitori affidano le loro figlie alle suore. Léa non comprende quel distacco e attenderà il padre per molto tempo; parlerà della sua esistenza gloriosa, del suo benessere: in fin dei conti lei ha solo cinque anni e si trova immersa in una dimensione che non le appartiene. La sua amica del cuore l’aiuterà a sopravvivere e la proteggerà in varie situazioni anche quando lasceranno quel collegio e diverranno quasi sorelle: il padre e la madre di Bénédicte adotteranno Léa, quando si renderanno conto che i genitori della bambina non faranno più ritorno essendo stati deportati ad Auschwitz. La protagonista proverà il dolore di essere stata abbandonata dalla sua famiglia che se avesse voluto, a parer suo, avrebbe potuto rifugiarsi in America; lei porterà nel cuore per sempre la ferita dell’abbandono e sarà una creatura fragile che cercherà consolazione nelle ferite procuratesi ad alcune parti del corpo. Smetterà di cercare i genitori, quando comprenderà gli orrori della guerra perpetrati nei confronti degli ebrei; vedrà filmati raccapriccianti sui lager e sulle cataste umane finite nei forni crematori. E a questo dolore devastante si aggiungerà nell’epilogo quello della perdita della sua amica del cuore.
Elisabéth Gille, nel reale, al tempo della seconda guerra mondiale, essendo figlia di genitori ebrei, scappò con sua sorella maggiore aiutata da una tata e visse inizialmente in vari collegi. Le due sorelle potettero contare su di una rendita di tremila franchi al mese che l’editore della loro madre mise a disposizione attingendo dai diritti d’autore del famoso libro “David Golder”, pubblicato dalla Némirovsky a soli trent’anni. Le due sorelle con questi soldi vissero e studiarono e la figlia maggiore dopo cinquant’anni ricopiò il manoscritto “Suite Francese” e lo dette alle stampe, manoscritto che le fu affidato dal padre prima di essere arrestato; il copioso quaderno era custodito in una pesante valigia che trascinava assieme alla sorella minore. Elisabéth dovette rinunciare alla sua bambola per quella valigia, ecco perché in questo romanzo si fa accenno nella parte iniziale a una bambola strappata e gettata nel fuoco: il crepitio delle braci è il dolore della perdita non solo dell’oggetto ma di quei genitori massacrati ingiustamente. Essi si erano convertiti al cattolicesimo, ma la Francia che apprezzava la scrittrice non aiutò la donna e non le concesse mai la cittadinanza. Quel paesaggio di ceneri avrebbe potuto essere un prato verdeggiante.
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martedì 25 ottobre 2016
Un addio
(oggi voglio proporvi un estratto a caso di un mio romanzo che racconta la storia di un ufficiale dei carabinieri, ma soprattutto porta il lettore alla vera storia: quella di Francesco figlio, un'introduzione ampia per conoscerne il genitore e poi si alzerà il sipario sul protagonista.)
Giunsero così nel
Salento, in un paesino ameno e tranquillo distante dal mare qualche Km. Tutta
la costa pugliese è bagnata dalle acque e il Salento è la parte terminale
lambita da due mari, con città costiere che s’affacciano sull’Adriatico e altre che dalla
parte opposta sono bagnate dal Mar Ionio. Il paese dove si stabilì Osvaldo con
la sua famiglia era nell’entroterra ionico, mare differente dall’Adriatico per
la colorazione delle sue acque verdi e cristalline, con spiagge ricoperte di
sabbia fine e biancastra.
Essi presero
possesso dell’alloggio militare a loro riservato che si affacciava, anziché
all’interno della caserma come nel precedente, su di un viale alberato di una
zona semi-centrale del paese.
Flora era al
settimo cielo, non avrebbe più avuto davanti ai suoi occhi i muri grigi della
caserma bozzolo come l’aveva denominata lei e della quale prigione di seta si
era sentita crisalide, questa volta c’era sotto la casa, situata al primo piano
di un palazzo, una comune via ricca della sua quotidianità, di quelle vicende
semplici che avrebbe osservato dall’alto del balcone magari per curiosare,
oppure direttamente in strada quando avrebbe portato a spasso i bambini per i
vicoli del borgo; perché in fin dei conti ciò che più le era mancato negli
Abruzzi era il contatto con la semplice realtà giornaliera.
Ben presto Flora
s'integrò in quel posto, con il suo fare amichevole e disponibile conquistò
tutti gli abitanti e anche coloro che inizialmente avevano avuto timore ad
avvicinarla, per inferiorità sociale o per soggezione; si resero conto che la
moglie del capitano con la sua umanità non faceva distinzioni di sorta, bensì
apprezzava nella gente le loro virtù morali.
Azzurra e Iris ogni
mattina venivano accompagnate da un attendente
all’istituto di suore, dove frequentavano la scuola elementare una e la
materna l’altra, rivelandosi ben presto delle bambine educate con grandi capacità
d’apprendimento; i maschietti ancora piccini erano con la mamma o con la balia
che affiancava Flora nella loro crescita.
Osvaldo s'integrò
subito nella nuova caserma, riscuotendo stima ed apprezzamenti, di lui
ammiravano quell’autorevolezza pronta all’ascolto, quella determinazione
partecipe: egli era l’esatto contrario del precedente capitano che incutendo
terrore mal disponeva i carabinieri all’operato, facendoli detestare l’Arma e
la scelta stessa di aver intrapreso quella carriera.
Un giorno Flora
incominciò ad accusare strane nausee seguite da vomito, inizialmente pensò ad
un’indigestione, ma poi i conati si susseguirono anche nei giorni seguenti,
allora la balia dallo strano nome spagnolo “Consuelo” che viveva gran parte del
giorno in quella casa e più che tata era divenuta un’amica, manifestò il suo
sospetto:
“Signora, tu sei
incinta! Nascerà una nuova creatura, qui in questa bella provincia salentina.”
“Non è possibile!”
obbiettò Flora “Mio marito in Albania a causa del tifo è divenuto sterile!”
“Ma Flora,”
continuò la tata “i medici non sono il Padre Eterno! Perché non andiamo dal
dottore? Una visita non ti costa nulla!”
Quel sospetto di
Consuelo fu avvalorato dalla diagnosi del medico che dopo la visita fece le sue
congratulazioni: “Faccia tanti auguri anche al capitano per il quinto figlio in
arrivo! In effetti… il mio collega, lì in Albania, non ha sbagliato diagnosi,
l’infiammazione ai testicoli provoca la sterilità. Evidentemente… il buon Dio
vuole offrirvi un altro dono!”
Osvaldo, nonostante
fosse in quel periodo quasi sempre di malumore, accolse la notizia con molta
gioia e fu allora che ricordò nuovamente il volto del monaco che con il suo
suggerimento gli aveva salvato la vita.
“Flora, quel frate
che mi è apparso al porto di Durazzo è San Francesco di Paola! L’ho riconosciuto
fra le immaginette che custodisci nel tuo libro di preghiere. Sono certo che
era Lui! Flora, i suoi bellissimi occhi sono ancora impressi nel mio cuore! Se
nascerà maschio, si chiamerà Francesco!”
“Anche se sarà
femmina avrà lo stesso nome, ma al femminile, San Francesco di Paola è il santo
della carità, il suo amore per noi va premiato non solo con il nome, ma anche
con l’eterna devozione a Lui ed a Dio che l’ha inviato come messaggero!”
Questa
era una precisa allusione nei confronti del marito
che, anche essendo credente, disdegnava le chiese per via dei loro ministri che
riteneva ipocriti approfittatori. (continua)
venerdì 14 ottobre 2016
Taciuta verità
Una nuvola di raso
e perline luccicanti occhieggiava nella penombra della camera che vedeva il
nuovo giorno. Rosa osservava il sontuoso abito e un groppo in gola le faceva
detestare quello sfavillio ingannevole come la sua partecipazione. Fra un po’
avrebbe preso il via la musicalità del giorno più importante, se tale fosse stato…
anche per lei. Si agitavano pensieri in tumulto, sensazioni che non aveva osato
confidare e che l’avrebbero schiacciata, mettendola nel dileggio familiare. Non
aveva osato rivelare la sua vera natura, quella che aveva scoperto di possedere
e che avrebbe causato uno sconvolgimento.
Gli amori giovanili
nascono anche sui banchi di scuola e Rosa era stata corteggiata dal primo della
classe, Ivan, che si era proposto di aiutarla nelle versioni di greco così ostiche
per lei. Un ragazzo educato che aveva ricevuto la piena approvazione dalla mamma
di Rosa.
“Mamma quella
lingua morta, è un vero tormento.” si lamentava, e di rimando sua madre: “C’è
Ivan, lo sai quant’è bravo!” divenne un membro di quella famiglia e la ragazza
subì anche la sua corte.
Nacque così un fidanzamento, approvato da
tutti, che si protrasse nel tempo, per via della giovane età di entrambi che dopo
il liceo frequentarono anche la stessa facoltà. I giorni si susseguirono in un
crescente di vicende e di emozioni; nei pensieri di lui lo studio e Rosa che
amava alla follia; in quelli di lei anche l’amore quieto per lui.
Dopo la laurea Ivan
iniziò il praticantato nello studio del padre avvocato, mentre Rosa in quello
di un amico di famiglia. Ada, segretaria efficiente, dal volto mascolino, ma
con un aspetto intrigante, strinse subito amicizia con Rosa, elargendole
spiegazioni e consigli.
Rosa era inquieta: da
quando frequentava quello studio, la sua vita interiore era mutata. Non
riusciva a capire cosa fosse e la sua pacatezza aveva fatto posto
all’irrequietezza che si acuiva tutte le volte in cui Ada le si rivolgeva con
il suo ammiccante sorriso.
“Vorresti accompagnarmi
alla sfilata di moda questa sera?” cantilenò Ada, dopo vari mesi. “Andiamo via
da sole, il tuo Ivan farà altro!”
Erano davanti al
portone di casa di Rosa, la serata si era svolta bene, la nuova collezione
aveva riscosso successo, quando Ada l’abbracciò e le cercò le labbra.
“Vieni da me!”
sussurrò “Ti farò conoscere l’amore, conosco la tua inquietudine!”
Cominciò una
relazione nascosta che portò ad alte sfere Rosa, la quale visse la sua duplice
vita all’insaputa di tutti. Il fine settimana fra le lenzuola con Ivan, al
quale concedeva una spenta passione, e nei giorni lavorativi fra vari
espedienti si appartava con la segretaria. Quella celata passione le apparteneva
a tal punto che bramava Ada, come mai aveva desiderato il suo futuro marito. Ada
era un’amante eccezionale, romantica, premurosa e sapeva come accenderla di
desiderio.
“Ti rendi conto Ada,
abbiamo fissato la data delle nozze e incominciano fra un po’ anche i
preparativi. Sono nell’inferno, ti desidero e mi detesto!”
Rosa conosceva il
moralismo della sua famiglia, i loro preconcetti, e continuò con la sua farsa che la stava uccidendo.
Il giorno delle
nozze era giunto, fra un po’ quella casa si sarebbe animata per lei che aveva
il cuore in lutto.
Non se la sentiva
di giurare sull’altare, non poteva offendere la sacralità del luogo. Era una
codarda: non aveva la forza di rivelare la verità, solo un gesto estremo
l’avrebbe salvata. Uscì di corsa, ancora tutti dormivano e si diresse all’auto,
entrò e mise in moto raggiungendo l’abitazione di Ada, luogo deserto; scese
dalla sua vettura, tappò il tubo di scappamento, entrò nuovamente, bloccò
ermeticamente i finestrini dell’auto, accese il motore e poi attese che il sonno
eterno le desse la libertà.
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martedì 4 ottobre 2016
Strappare il cuore
Crediamo che le storie, per noi inconcepibili, siano dilatate per essere più accattivanti e che ciò che ci raccontano, intrecciato da misteri, sia inverosimile o perlomeno pensiamo che le vittime dell' ingiustificato rancore abbiano delle colpe.
Quando assistiamo a programmi televisivi che riuniscono famiglie dopo un lasso di tempo inaccettabile, pensiamo che sia stato costruito e che non potrebbe mai essere possibile che, nella stessa regione o città, vivano figli o genitori che s'ignorano fra loro, continuando la loro vita come se il proprio sangue non esistesse.
Poi veniamo a contatto con le reali persone che ci raccontano il loro dramma, ce ne fanno partecipi e allora ci rendiamo conto che, anche senza un motivo importante, vi sono figli e genitori che per presa di posizione o cocciutaggine, decidono di non far parte più della loro famiglia d'origine, troncando ogni rapporto per sempre.
Infine il tormento ha una risoluzione, dopo anni e anni di attesa, di speranza e di determinazione sofferta, uno dei due parenti stretti fa il primo passo e tutto torna a brillare: si cancellano le incomprensioni, i malintesi, le assurde invettive, tutto si appiana; basta il ritrovamento di una lettera mai pervenuta o di una maturità tardiva a far cadere le barriere, a far riabbracciare quelle persone che si ignoravano da anni.
Ma a quei fili che si riannodano, mancano i fili colorati della vita non vissuta insieme, dei momenti di festa solenne, di quelle celebrazioni che procurano emozione, di partecipazione alla vita nei suoi progressi e combattimenti vari. Resterà sempre un vuoto antecedente che non sempre ha risposte, e chi si era intromesso per spezzare quei fili dovrà fare i conti con una coscienza che non possiede e tenterà il possibile per far rivivere l'inferno che tanto lo soddisfaceva.
Io conosco una situazione del genere e ogni volta che mi veniva raccontata con immane mestizia, provavo disorientamento e sinceramente dubitavo, come se la vittima che stava patendo avesse almeno uno scheletro nell'armadio. E invece era solo godimento di chi metteva i bastoni tra le ruote per gelosia di non occupare il primo posto.
Come può un figlio/a a farsi condizionare così? Come può strappare dal cuore tutto il bene ricevuto e soprattutto l'amore del genitore? Come può dimenticarne le lotte, gli impegni, i sacrifici, l'amore smisurato ricevuto? Un genitore ama a tal punto che, anche dopo un muro di silenzio inconcepibile, silenzio in cui si era strappato l'anima e avrebbe voluto farla finita, basta un cenno e va e non fa domande: ciò che conta è il ritorno di chi si era perduto!
giovedì 22 settembre 2016
Impressioni di lettura
Lei non c’era quella mattina
in cui le torri gemelle saltarono in aria, non c’era nel senso che non era esattamente
lì, ma si trovava a Manhattan nel suo appartamento. Lei non aveva l’abitudine
di accendere al mattino la televisione e quella mattina lo fece, come se il
silenzio della morte soffiasse anche lì e le procurasse un’inquietudine strana.
La sua attenzione fu calamitata allo schermo che trasmetteva l’immagine di una
delle due torri gemelle che bruciava come un fiammifero. Non riusciva a
comprendere, pensò a un corto circuito, poi apparve un aereo che volava basso,
s’infilò nella seconda torre come un coltello s’infila in un panetto di burro,
allora lei comprese che si trattava di un aereo Kamikaze. Le sono stati sempre antipatici i kamikaze per
la loro teatralità del gesto, per dare smalto alla loro amorfa figura, per
essere ricordati quasi fossero eroi. Oriana è stata inviata di guerra, è
vissuta a stretto contatto con le realtà più sanguinarie perché anziché
rimanere protetta nell’albergo destinato ai giornalisti, lei scendeva in campo,
toccava con mano le crudeltà e i pericoli: quando scriveva i suoi reportage nelle
parole c’era il fuoco delle forti emozioni e delle paure vissute sulla sua
pelle. Eppure quell’undici settembre ciò che vide sullo schermo fu più agghiacciante
dei vari conflitti che aveva toccato con mano, perché in guerra, lei dice, si
va per ammazzare mentre quei corpi in fiamme si ammazzavano lanciandosi nel
vuoto per non morire bruciati vivi.
E’ straziante leggere i
passaggi di quel doloroso evento, ogni parola, ogni riga sanguina dolore e lei
lo descrive minuziosamente come in un effetto rallenty. Il titolo del libro ci
fa comprendere tutto il suo dolore, tutto l’acredine a cui fa seguito
l’orgoglio di poter esprimere in assoluta franchezza, senza far sconti a nessuno
il suo pensiero, perché secondo lei è la paura il male peggiore. Questo libro è
una predica nei confronti dell’Occidente e lo spunto nasce dopo l’undici
settembre, quando il direttore del Corriere della sera le affida il compito di
scrivere un articolo sull’attentato, un articolo che per la corposità diverrà
poi un libro e romperà quel muro di silenzio cercato dalla Fallaci rifugiatasi
proprio a New York per sua scelta.
Nel libro affronta il tema
dell’invulnerabilità americana che secondo lei era un concetto sbagliato, in
quanto più un paese è democratico e aperto, non governato da un regime
poliziesco, più subisce o rischia dirottamenti e massacri. L’America essendo multietnica,
moderna, aperta all’accoglienza, al rispetto, all’ospitalità non proibisce a un afgano giunto a far visita a un
suo parente di frequentare poi una scuola di pilotaggio o un’università dove
studiare chimica, biologia e perfezionare quel desiderio cattivo di voler distruggere
l’apoteosi della magnificenza: le torri gemelle appunto. Ma l’America anche nel dolore si è stretta in
un solo abbraccio al di là del proprio credo e colore e tutti hanno gridato: “Dio
benedica l’America!” Questa è la forza dell’America: l’attaccamento alla
propria nazione.
E quell’undici settembre dà lo
spunto a Oriana per trattare altri temi e punta il dito su tutto l’Occidente, sui
vari politici e sui famosi accordi, sull’Italia della quale sente di non
appartenere, perché non è l’Italia per la quale ha combattuto quando faceva
parte del Corpo volontari della libertà durante il periodo nazi-fascista. “E’ un paese così diviso, l’Italia. Così
fazioso, così avvelenato dalle sue meschinerie tribali! Si odiano anche
all’interno dei partiti. Non riescono a stare insieme nemmeno quando hanno lo
stesso emblema, lo stesso distintivo. Sono gelosi, invidiosi, piccini, non
pensano che ai propri interessi personali e per questo si tradiscono, si accusano.”
Si rivolge agli italiani privi di ideali, ai non nazionalisti che hanno
abbandonato da tempo il concetto di
patria, concetto per il quale tanti
giovani hanno donato la vita e hanno creduto nei valori della propria nazione.
Non le piace l’Italia dei voltagabbana che pur di riempire la pancia segue la
scia del momento e si entusiasma per le vacanze all’estero e per il calcio. E
non le piace la pseudo Unione Europea che lei definisce un “Fallito Club
Finanziario” che spacca in due l’Occidente e che c’impone una moneta unica e
non difende la sua cultura e la sua civiltà, ma la vende.
Affronta il tema dell’islam
che vorrebbe assoggettare l’Occidente istituendo un nuovo Impero Ottomano,
quell’islam moderato che secondo lei non esiste: basterebbe leggere il Corano e
i vari precetti fatti di divieti e imposizioni. Lei ha visto in faccia l’islam,
è stata a contatto con quella realtà, ha intervistato capi di Stato islamici e
per intervistare uno di loro, ha dovuto anche fingere un matrimonio, ma non solo
durante un’intervista le veniva puntata
un’arma al cuore. Parla anche di presunto scontro fra culture, di fondamentalismo
islamico e molto altro.
Un romanzo appassionante fatto
di rimandi storici, di parole forti che scuotono le coscienze, ma è anche in alcuni
punti ironico e capita di passare dai brividi al divertimento, ma soprattutto
leggere Oriana vuol dire sentirla dentro forte, prorompente, in una sola parola
VERA .
Perché parlare ora di un
romanzo pubblicato nel 2001? E’ semplice perché ora a distanza di anni possiamo
comprendere meglio quella rabbia e capire che le sue accuse erano giuste e
premonitrici, infatti è da un po’ che si riprendono citazioni e interviste
della Fallaci, così criticata e accusata. Lei puntava il dito sull’Europa che stava
diventando una provincia dell’Islam e diceva che il fenomeno americano non si
sarebbe ripetuto in Europa, terra composta solo da un’unione di stati che non
ha un’entità compatta, perché l’humus in
cui affonda le sue radici non è lo stesso e soprattutto non parla la stessa lingua,
ha patrie diverse, culture diverse e diverse bandiere.
Quindi l’Europa è solo una
grande famiglia che non si dichiara guerra per espansione e conquista, come
accadeva nel passato e durante gli ultimi conflitti mondiali e il che non è
poco; ma non basta perché si sfascerà come un castello di carte e di inganni. E
l’Italia, la nazione del cuore della quale si sentiva di non appartenere per i
motivi sopra descritti, ma poi aggiungeva - guai a chi me la tocca, l’Italia dovrebbe
avere il coraggio con dignità e serietà di non consegnarsi al nemico, di non
spalancargli le porte o lasciarsi ricattare, l’Italia deve essere fiera della
sua identità e salutare la bandiera ponendo una mano sul cuore!
mercoledì 7 settembre 2016
Ritrovata coscienza
(un piccolo racconto di rientro, buona lettura)
Ed era venuto il
giorno della consapevolezza, mai avrebbe pensato che la vita potesse cambiare
rotta. Era accaduto all'improvviso e si era ritrovata privata del consueto al
quale non aveva mai dato importanza. Le era scesa una doccia fredda: comprese
la precarietà delle certezze e di come non avesse considerato tutto ciò che la
circondava e che ora l’affascinava.
Si osservò. Era sempre la stessa ma i suoi
occhi coglievano particolari prima irrilevanti, perché erano con lei da sempre.
La bellezza del tappeto di fiori, il verde delle piante ornamentali collocate
in giardino e l’immensa zona living della casa d'élite affacciata sul parco,
ora avevano una sua visione diversa. Tutto ciò era per lei scontato: ne faceva
parte dalla nascita, non aveva sudato sangue per guadagnarselo. E allora si attaccava
alle inezie ed era sempre alla ricerca di nuove emozioni. C'era stato un tempo
in cui aveva partecipato alle risse di piazza: dove c'era una pacifica
manifestazione, lei con altri "radical chic" accorreva e calandosi un
passamontagna, armata di bastone, sfasciava vetrine di negozi, una botta e via.
Successivamente volle provare il brivido del lancio dei sassi, conobbe un altro
gruppo appartenente alla città bene, giovani ricchi nullafacenti, tediati della
vita: nulla li emozionava ma i sassi dal cavalcavia sì, e allora si aggregò. La
fece franca, nessuno sospettava: apparteneva a una famiglia prestigiosa con una
morale esemplare, mai avrebbe potuto essere perseguita e tra l’altro con il
camuffamento non si era fatta riconoscere.
Abbandonò questo stile
comportamentale: le venne a noia e meditava di arruolarsi in qualche zona
sperduta, avrebbe combattuto in nome di un presunto Dio che nulla chiedeva se
non la pace, per i sostenitori del male era l’esatto contrario.
I genitori non
c'erano mai, che strano rapporto: da piccola affidata alle baby sitters e da
grande nei collegi di lusso, che stramba famiglia! Era cresciuta privata del
contatto amorevole, quando tornava a casa i genitori o erano al lavoro o erano
fuori per altri scopi, per cui non era necessario comunicare loro ogni sua iniziativa,
le servivano per ora solo i soldi per il biglietto aereo e altri denari per la
sopravvivenza iniziale e a questo le sue carte di credito erano più che
sufficienti.
Il viaggio alla ricerca del brivido non ebbe mai inizio: le carte
di credito improvvisamente erano azzerate e dei genitori non v’erano tracce. Erano
scomparsi insieme al conto in banca, anche in azienda non sapevano dove fossero
e gli ordinativi esigevano la loro presenza; c’erano decisioni da prendere,
spedizioni importanti da effettuare.
Viveva ancora nel suo guscio dorato che
non poteva permettersi e del quale ne apprezzava in quel momento il valore. Non
conosceva il lavoro, non sapeva prendere decisioni imprenditoriali, aveva studiato
con scarsi profitti e quella laurea in economia non l’aveva mai conseguita; si
ritrovava con un modesto diploma da ragioniera e con lo sgomento nel cuore,
altro che brivido da terrorista e aizzatrice di folle.
Un filmato attirò la sua
attenzione, era una notizia di cronaca nera, una notizia di dolore: vittime innocenti
in un ATTENTATO. Corpi sparsi sul pavimento di un noto locale, altri fuori sul
selciato e gente terrorizzata che inebetita offriva i suoi sguardi pietosi.
Spense il televisore, la decisione era presa!
venerdì 8 luglio 2016
Buone vacanze
Ci sarebbero tanti temi da affrontare, potremmo dire che ogni giorno ci alimentano con una varietà che nutre anche lo spirito; pare che il delitto, l'uccisione, la violenza, la corruzione siano pane quotidiano per cui potrei benissimo scriverne: ho tanto materiale dal quale attingere, direi che gli argomenti non mi mancano. Ma siamo in estate perché affliggere anche questi spazi nati per un po' d'evasione, di lettura che ritempra e fa evadere; perché dare sempre lo stesso carburante a noi che già ci abbuffiamo per via satellitare, per via web e col cartaceo se ci va di acquistarlo? I racconti soft non interessano, la narrativa ha fatto il suo tempo; pensate un po' mi ha scritto un editore, quando gli ho inviato dei miei racconti, che la qualità c'è ma loro pubblicano altro genere. Bene allora è giunta l'ora di prendermi una pausa, diciamo estiva e vi auguro con tutto il cuore di ritemprarvi ovunque voi siate o andrete.
BUONE VACANZE a TUTTI!
BUONE VACANZE a TUTTI!
domenica 26 giugno 2016
La bisbetica domata
"Non ce la faccio più! Qualcuno mi
aiuti!" urlava a squarcia gola e le parole si diffondevano in tutto il
circondario. Ma nessuno prestava attenzione o perlomeno si mostrava preoccupato
o dispiaciuto. Gli abitanti del luogo continuavano la loro vita come se quelle
parole non le avessero mai udite. Ogni mattina alla stessa ora e il pomeriggio,
poco dopo l'imbrunire, le frasi accalorate viaggiavano sulle onde del suono.
Era un vasto residence costituito da dieci
palazzoni, sistemati a raggiera, che s'affacciavano sui vialetti stretti
convergenti su di un ampio viale abbellito da giardini privati degli
appartamenti a piano rialzato; quindi un flusso continuo di persone percorreva
lo stradone principale, per accedere nei vialetti secondari conducenti ai portoni
delle abitazioni. Durante la giornata il residence era attraversato da
condomini e nell'atrio principale i suoni dei residenti convergevano, rimbombando come una eco in una voragine montana.
La vita scorreva all'interno di quel residence in
una mescolanza di sensazioni, umori, dispiaceri, vocii, tutto si avvertiva e si
subodorava attraverso le finestre aperte al momento del cambiamento d'aria o
durante i mesi caldi; le vite altrui viaggiavano e penetravano altre intimità
in una mescolanza di emozioni. La tecnologia aveva anche dato un colpo di
familiarità costretta, le conversazioni al cellulare sui balconi non erano più così personali e, come in una sceneggiata da
palcoscenico, in quel complesso residenziale, per forza di cose, si viveva la
vita anche del vicino o del dirimpettaio senza farne parte.
Lei era sensibile, molto sensibile, e quel giorno
in cui le urla angosciate si diffusero maggiormente nell'aria, scese di corsa
e, ignorando la raccomandazione della sua vicina di casa, andò a suonare
all'appartamento del portone accanto che aveva l'esposizione esterna come la
sua: non aveva resistito alle urla di aiuto, di dolore, alle urla insistenti e reiterate. L'accolse una donna sui cinquant'anni stravolta e
ben vestita che non comprese il perché della sua venuta, la trattò in malo modo
e condannò il suo intervento; la giudicò invadente, non dandole nemmeno il
tempo di potersi spiegare e la spintonò verso la balaustra delle scale. La
vicina, quando la vide rientrare mestamente, scosse il capo come a volerle
ricordare il "te l'avevo detto". Ma lei non si capacitava, non tollerava
quell'insensibilità e quel disinteresse collettivo. Che strana gente viveva in
quel complesso, si chiedeva, come facevano a passare oltre, anche fosse stata
una schizofrenica andava aiutata: la persona in questione non aveva nessuno e
viveva da sola. Puntualmente la voce urlante riprese a esternare tutta la sua
rabbia, le richieste d'aiuto si fecero più sonore; la disperazione e la
sofferenza ammorbarono nuovamente quel complesso di case.
Gli abitanti erano
sempre più incuranti, giudicavano quella giovane signora una mentecatta e ne
avevano timore. I servizi sociali informati della situazione, quando
giungevano lì, non trovavano mai nessuno che gli aprisse la porta: lei non
rispondeva e fingeva di non esserci. La sensibile ragazza pensò di contattare
un amico carabiniere e gli chiese d'intervenire per disturbo alla quiete
pubblica. Le forze dell'ordine all'ora della molestia suonarono a quella porta
e la donna gentilmente, dopo averli fatti accomodare, mostrò loro un copione
teatrale ben conservato: in un passato non molto lontano era stata un'attrice
di discreta fama. Le urla erano una recita, davvero realistica, e lei una
povera attrice che non si rassegnava per non cadere in depressione.
"Ma davvero!" esclamò la ragazza
sensibile "Avrebbe potuto dirlo! Poverina, avrebbe bisogno di recitare sul
palcoscenico."
"E no!" rispose l'amico carabiniere e
attore dilettante in un teatro tenda del quartiere. "Non penserai di farla
venire da noi?"
Il complesso residenziale finalmente viveva giorni tranquilli,
solite beghe familiari, solite telefonate esterne o volumi assordanti di
televisori e stereo; si udivano anche strumenti veri che eseguivano quelle
belle evoluzioni musicali dilettantistiche o professionali, ce n'era per tutti
i gusti: era la quotidianità di una famiglia allargata.
La voce fragorosa
dell'attrice dimenticata risuonava ora nel teatro di quartiere, dove la
compagnia teatrale ottenne un discreto successo nella "Bisbetica
domata" di Shakespeare; il ruolo di Caterina, protagonista scontrosa
e irascibile fu affidato a lei, alla condomina urlante di quel ben noto
complesso residenziale.
giovedì 9 giugno 2016
Duplice ossesione
Elena era cresciuta e non si piaceva. Tutti dicevano di lei che era bellissima, ma con un carattere riottoso. Difficile starle accanto. Il malumore l'accompagnava, come anche l'insoddisfazione. Non le piaceva nulla di suo, ma ciò che apparteneva agli altri era per lei sempre migliore. Ed era per questo che le rodeva il cuore. Non era cresciuta interiormente: era rimasta allo stadio infantile, a quando apprezzava la bambola di sua sorella e la desiderava strappandogliela di mano, eppure le bambole erano simili. E la situazione non cambiò anche durante la giovinezza; la collanina, le scarpe, il golf, ogni cosa di sua sorella le piaceva, anche facendo acquisti simili desiderava ciò che indossava la sorella. Quando giunse l'amore, s'innamorò del fidanzato della sorella e poiché la situazione era delicata, preferì trasferirsi altrove. La vita, così generosa con lei sia per l'aspetto fisico che per le capacità intellettive, non fu vissuta allo stesso modo.
"Devi farti curare.", le disse un giorno una collega di lavoro che le era anche amica ed era dispiaciuta di cogliere quello sguardo carico di rabbia.
"Io non ho bisogno di cure." rispose Elena "Mi manca la comprensione."
"Vieni con me!" rispose quella collega "Ti porto in un posto speciale."
Acconsentì e si trovò in una realtà che mai avrebbe immaginato, certo si conoscono determinate verità, ma solo per sentito dire e non per contatto diretto. Un centro per disabili, giovani, tanti giovani. Chi in carrozzella, chi senza ma con andatura anchilosante, chi con una fissità sul volto e uno strano sorriso, chi si muoveva con movimenti irregolari e chi non riusciva a tenersi fermo, chi emetteva suoni gutturali e chi aveva una fisicità non propriamente umana. Ma tutti con una luce, strano a dirsi, serena, una luce lontana dal desiderio inconcepibile, una luce che non aveva nulla dell'insoddisfazione.
Ma come, si disse lei, loro avrebbero mille motivi per essere insofferenti dentro e non lo sono, loro amano la vita così come l'hanno ricevuta. Forse si è felici quando non si comprende? Ecco, convenne, il cervello umano meno comprende meglio è.
"No!" le rispose l'amica quando seppe. "Si desidera ciò che non ci appartiene. Quando esaudiscono sempre i nostri desideri: il rifiuto, il rimprovero sferzante unito alla dolcezza formano l'individuo."
E allora lei andò indietro nel tempo, a quando i suoi capricci erano esauditi, a quando le dicevano che era la più bella e la più brava e a quando era riservato un trattamento diverso a sua sorella: lei godeva di favoritismi e la sorella no. Ma perché? Doveva saperne di più, doveva comprendere.
"Tu me lo devi dire, mamma, perché mi concedevi tutto e a Monica no? Perché io ero coccolata e Monica sempre rimproverata aspramente? Ora ricordo il suo viso rigato di lacrime. Ma rammento anche come lei ostentasse sicurezza e soddisfazione, quasi una risposta al mio sguardo compiaciuto d'essere la privilegiata."
"Tu sei mia figlia, Monica non lo è." rispose la madre.
"Che vuol dire, siamo così simili, somigliamo tanto al papà."
"Tuo padre aveva una relazione con mia sorella che morì di parto, io vi ho cresciute insieme, ma non ho mai perdonato."
"Il tuo odio ha fatto di me una persona infelice."
I meccanismi della vita, quando si ottiene si finisce per essere insoddisfatti, mentre la mancanza d'attenzione e la durezza temprano lo spirito.
Che stupidità, si disse Giulia, mai letto un libro più banale, e poi chi gioisce e riceve affetto è infelice, ma valli a capire questi scrittori e noi che acquistiamo le loro scemenze; prese il libro e lo sbatté contro il muro; meno male che Gianluca non era uno scrittore di quel genere e stava per incontrarlo. L'aveva conosciuto alla presentazione del suo ultimo libro ed erano entrati subito in sintonia, era uno importante, vendeva centomila e passa copie, aveva un nome e appena pubblicava un libro, andava a ruba: la gente acquistava a scatola chiusa.
Gettò lo sguardo sul libro miseramente finito sul pavimento e vide la foto di Gianluca che spuntava dall'interno, non vi aveva fatto caso prima. Caspita, si disse, ma è lui, gli farò delle domande per comprendere il senso del libro sciocco che ho appena terminato. Non ricevette delle adeguate risposte: lui tergiversava e cercava di cambiare argomento, ma non solo tentava di essere fastidiosamente ironico, quasi a voler mettere in dubbio le sue qualità di lettrice. Giulia s'irritò e cominciò a insospettirsi, le avevano detto che tanti scrittori di successo, quando pubblicano con una certa consuetudine, hanno uno staff preposto che dopo aver preso visione del canovaccio sviluppano la storia; egli sicuramente non aveva neanche letto l'ultima stesura. Cosa fa il successo, una volta ottenuto è come una rendita in omne tempus.
Giulia era, anch'essa, una scrittrice ma anonima, aveva provato a inviare i suoi manoscritti, le rispondevano che per pubblicarli avrebbe dovuto comprarsi le copie. Figuriamoci, pagare il proprio lavoro; meglio restare in ombra e continuare a coltivare la sua passione. Un giorno lesse un brano dell' ultimo lavoro di Gianluca, col quale oramai aveva intrecciato una relazione, e lui le chiese di entrare a far parte del suo staff.
"Sai, si tratta di revisionare i miei lavori, di apportare qualche modifica o di elaborarla; servono varie riletture esterne. Tu hai stoffa da vendere e stando da noi potresti migliorare la tecnica di scrittura e imparare quegli accorgimenti necessari affinché un libro diventi appetibile."
Giulia accettò e cominciò a collaborare. Gianluca consegnava la bozza e i collaboratori la perfezionavano, lui neanche la rileggeva e il lavoro ultimato finiva alle stampe come lei aveva supposto. La cosa non le andava giù, perché doveva prendersi il merito che non gli spettava?
Nuova presentazione dell'ultimo libro di Gianluca Fortori dal titolo inquietante: "Duplice ossessione". Un folto pubblico occupava le poltroncine in plexiglass all'aperto di quella piazza rinomata, dopo i convenevoli e la recensione accattivante del critico di turno, una voce si levò dal pubblico: "Ci spieghi, signor Fortori, l'epilogo della storia e nel sesto capitolo perché quel flashback così inusuale?"
"Duplice ossessione" fece flop, e Giulia? Per ora possiamo solo immaginare: il futuro non rema sempre contro!
Giulia era, anch'essa, una scrittrice ma anonima, aveva provato a inviare i suoi manoscritti, le rispondevano che per pubblicarli avrebbe dovuto comprarsi le copie. Figuriamoci, pagare il proprio lavoro; meglio restare in ombra e continuare a coltivare la sua passione. Un giorno lesse un brano dell' ultimo lavoro di Gianluca, col quale oramai aveva intrecciato una relazione, e lui le chiese di entrare a far parte del suo staff.
"Sai, si tratta di revisionare i miei lavori, di apportare qualche modifica o di elaborarla; servono varie riletture esterne. Tu hai stoffa da vendere e stando da noi potresti migliorare la tecnica di scrittura e imparare quegli accorgimenti necessari affinché un libro diventi appetibile."
Giulia accettò e cominciò a collaborare. Gianluca consegnava la bozza e i collaboratori la perfezionavano, lui neanche la rileggeva e il lavoro ultimato finiva alle stampe come lei aveva supposto. La cosa non le andava giù, perché doveva prendersi il merito che non gli spettava?
Nuova presentazione dell'ultimo libro di Gianluca Fortori dal titolo inquietante: "Duplice ossessione". Un folto pubblico occupava le poltroncine in plexiglass all'aperto di quella piazza rinomata, dopo i convenevoli e la recensione accattivante del critico di turno, una voce si levò dal pubblico: "Ci spieghi, signor Fortori, l'epilogo della storia e nel sesto capitolo perché quel flashback così inusuale?"
"Duplice ossessione" fece flop, e Giulia? Per ora possiamo solo immaginare: il futuro non rema sempre contro!
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