S’intravedeva una striscia
luminosa, una fessura brillante, quasi uno squarcio in quel cielo cupo di fine
settembre. Alzò pesantemente il capo e volse lo sguardo come a voler penetrare
il punto più fulgido e si vide lontana in un mondo surreale privo di ogni
cattiveria e fini reconditi, privo di “paure”. Ali leggere l’avrebbero condotta
lì dove tutto è bellezza, purezza, gioia di un’esistenza beata. Avrebbe gioito:
nulla l’avrebbe scalfita, le paure non avrebbero più albergato nel suo cuore e
avrebbe assaporato la vita come mai le era stato concesso.
Difficile far comprendere
il perché di ogni cosa: chi vive in una sua dimensione non riesce a penetrarne un’altra,
se non dopo aver vissuto in prima persona quelle sensazioni. E la leggerezza
nel cuore le avrebbe concesso la beatitudine di esperienze comuni per altri, ma
non per lei che non poteva essere come loro: nel suo profondo io vivevano le
PAURE, quelle che non aveva cercato e che le erano state donate
inconsapevolmente.
E la vita scorreva: occorreva farlo; si va avanti e si cerca
una possibile convivenza con quelle angosce, che poi si diceva anche altri
provavano, non era la sola; ma quel pensiero la confortava solo un po’perché
doveva sempre fare i conti con quelle fobie.
Quando era cominciato, quando?
Ricordava… ma certo era una bambina e aveva trovato davanti un ostacolo così
improvviso che era corsa via, per lo spavento si era rifugiata nel suo nido
confortevole ma non terapeutico; quell’ostacolo era stato aggirato ed era
così rimasto nei suoi meandri celebrali:
non aveva potuto rielaborare quella paura che sicuramente si
sarebbe trasformata in una gioia appagante.
E quella strana fobia si era allargata a macchia d’olio: lei temeva
tutta la categoria appartenente a quel primo ostacolo, anche i più innocui
esemplari di ogni genere e specie erano giganti pronti a farla fuggire, a risvegliarle
quell’ansia frustrante, grosso handicap per chi non vuole isolarsi dal mondo.
A quella paura se ne erano
aggiunte altre che rientravano sempre nella sfera delle possibili minacce o pericolosità
che avrebbero messo a rischio la sua vita, perché il nocciolo della questione
era proprio questo: mettere in pericolo la sua vita! L’amore materno e il suo
patema d’animo di un’esperienza con un epilogo drammatico, aveva creato una
sorta di protezione eccessiva nei confronti di lei a tal punto da renderla insicura
e sulla difensiva.
E poi come darle torto, quale madre non farebbe lo stesso
dopo aver perso la sua creatura? Una madre dopo è sempre vigile e teme, vive
nell’angoscia e i suoi timori, anche se velati, finiscono per essere recepiti,
assimilati: l’amore protettivo è un’arma a doppio taglio.
Difficile essere genitore e
anche lei lo sapeva: era madre, e spesso si domandava che forse avrebbe potuto
fare di meglio, anche i suoi figli avevano delle mancanze, piccole, ma pur
sempre mancanze e un genitore desidera erroneamente la perfezione che un essere
umano mai possiederà.
Quella fessura luminosa stava
per allontanarsi, chinò il capo e si disse che dopo tutto quelle fobie non le avevano
impedito altre esperienze, altre emozioni e le avevano dato delle inclinazioni
forse più appaganti delle paure che, in fin dei conti, in alcune situazioni
riusciva ad arginare con la comprensione di chi le voleva bene.
Un brano molto complesso e molto bello, che infine porta una luce di consapevolezza.
RispondiEliminaCome sempre sei molto brava, cara Annamaria, anche in versione quasi mistico-filosofica.
Un abbraccio grande.
Ti ringrazio per l'attenta lettura e per l'apprezzamento gratificante.
EliminaUn caro abbraccio
Annamaria
Un racconto impegnativo che scava nei timori esistenziali, che abbiamo tutti, e va alla ricerca del coraggio, della forza.Le insicurezze ci affliggono, ci bloccano e spesso ci fanno assumere atteggiamenti aggressivi verso chiunque.
RispondiEliminaBravissima, Annamaria. un cordiale saluto,
Marirò
Grazie, per il gratificante commento. Ti auguro una buona serata festiva.
EliminaUn abbraccio
Annamaria