Due occhioni scintillanti mi osservano radiosi, le guanciotte s'increspano compiaciute alla vista della mia presenza e poi una corsa veloce, un gioco già sperimentato, un gioco antico: il nascondino, cucù per te piccolino. E poi il soffio all'aperto su di un fiore che rilascia i pelati come piccole libellule.
La tenerezza di un bimbo, la sua fresca ingenuità che vive della semplicità di un momento, nulla a che vedere con le elaborazioni di una mente adulta alla ricerca dell'impossibile. Una conta veloce, un fingere la ricerca che scatena gioia in una convinzione di bravura; ah, il mondo dei piccolini che meraviglia! La felicità e la soddisfazione di essere bravi a far compiere il volo ai piccoli ovattati petali. E quel mondo ci apparteneva, quel mondo fatto di timori e di gioie, di dipendenza e di affetti; un mondo in cui le responsabilità non gravavano sulle nostre spalle. Spalle fragili al tempo, spalle la cui crescita era affidata a chi ci aveva generato, e sentirsi leggeri e sicuri che nel momento del bisogno avremmo ricevuto aiuto e consolazione. Che sensazione di leggerezza!
Quand'è che si cresce veramente? Quando ci si sente adulti e pronti ad affrontare le difficoltà, le decisioni e non avere ripensamenti, dubbi? Quando si è sicuri che sapremo cavarceli da soli e che riusciremo a camminare con le nostre gambe?
Crediamo di essere autonomi, autosufficienti, anzi il solo fatto che la nostra gestione è affidata a noi stessi, ci fa sentire fieri e pensiamo che saremo forti per affrontare il mondo, il peso degli anni che scorreranno, le beghe, le complicazioni, i travagli, i malintesi, i dolori, ci piace tutto: saremo noi a gestire ogni cosa, che meravigliosa sensazione! Ma non è così: giunge un momento in cui ci accorgiamo che quelle mani che un tempo ci sostenevano e ci guidavano e delle quali non vedevamo l'ora di liberarcene, quelle mani ci mancano e vorremmo riafferrarle per avere quel sostegno, quel calore, quella sicurezza che scaturiva anche da una parola, da un ascolto.
Dentro di noi non siamo mai completamente adulti: in un angolino del nostro cuore una piccolissima parte è sempre ancorata a chi ci ha messo al mondo. Il distacco, il taglio di quel cordone ce lo portiamo dentro come una cicatrice rimarginata sì, ma presente: questo lo si comprende quando quel collegamento affettivo si allontana per sempre. Ed è allora che diveniamo ADULTI, che parolona: quando perdiamo inevitabilmente quel contatto!
Il mondo degli adulti è complicato, difficile, spesso cattivo: ingarbugliato e intricato da sentieri bui. Il sospetto è dietro l'angolo, l'angoscia è dietro l'angolo, la crudeltà è dietro l'angolo, la sopraffazione è dietro l'angolo, come sarebbe bello fermare le lancette dell'orologio e vivere da piccolini sapendo che, nello standard di una società normale, l'unica paura sarà solo il rimprovero e lo sforzo di compiere il proprio dovere secondo le regole della buona educazione, e che qualunque cosa accadrà, saremo sorretti e guidati da chi ci ha messo al mondo.
Ma esiste un'altra faccia della medaglia: vi sono bimbi, purtroppo, che, nascendo nei posti dove l'infanzia è calpestata, vivono come fossero adulti subendo la condizione del loro crudele e malvagio mondo. E poco possono i loro genitori ai quali è impedito di sostenerli, proteggerli e guidarli nel difficile cammino della vita: vita che in quei luoghi è al limite della sopravvivenza e dei pregiudizi inconcepibili. Nei luoghi ove vigono concezioni ataviche lontane dal rispetto, il cordone ombelicale viene reciso anche nel cuore di quei bimbi sfortunati che hanno ancora l'età della scuola per l'infanzia.