Devo correre: ho il
controllo annuale senologico, prima incombenza il pagamento del ticket con
relativa attesa d'innumerevoli presenti e poi sosta obbligata in sala d’aspetto
del reparto. Entro con circospezione guardandomi intorno e mi scelgo un posto a
sedere in zona angolare che mi dà un senso di ampiezza, detesto gli spazi
ristretti, mi soffocano e mi alimentano maggiormente le mie preoccupazioni.
L’ambiente è surriscaldato, come buona parte degli ospedali, e mi sfilo il
soprabitino che ripiego ordinatamente sulla poltroncina alla mia destra, cerco
delle riviste da leggere e ne scorgo una, non è interessante, ma non posso
oziare guardando per aria, mi rimprovero di aver dimenticato il libro di
lettura a casa, se non avessi perso tempo nella ricerca dell’impegnativa medica,
avrei avuto quel romanzo di Pavese fra le mani.
Ho da poco aperto la pagina del quotidiano
locale e mi soffermo su di una notizia, la leggo con attenzione, odo un rumore
di passi ed alzo lo sguardo, incontro occhi femminili vivi e sorridenti. Ci
salutiamo con cortesia, come se ci conoscessimo da tempo e noto che la mia
vicina di sedia si accomoda allegramente e mi rivolge la parola con semplicità
e familiarità. Mi piacciono le persone così spontanee che cercano il dialogo:
la conversazione anche con persone mai viste prima, è per me gradevole e serve
ad ammazzare l’attesa. Inevitabilmente il dialogo scivola sul motivo che ci ha
condotto in quel luogo e sull’importanza della prevenzione, poi si affronta
anche il piccolo lato doloroso della mammografia: farsi spiaccicare una parte
del corpo non è una passeggiata!
La mia vicina,
nonostante l’età non giovanissima, anche se le avrei dato almeno dieci anni in
meno, mi confessa di avere ancora quella parte tonda e turgida non sciupata da
allattamenti. Le chiedo: “Per libera scelta?” mi risponde che non ce n’è stato
bisogno, non ha voluto avere figli per idiosincrasia alla maternità.
L’espansiva signora mi narra di aver fatto parte dell’epoca dell’emancipazione
femminile e nonostante si fosse sposata giovanissima subito dopo il diploma, ha
voluto perseguire la carriera per affermarsi e un figlio avrebbe rappresentato
un intralcio, uno stress quotidiano e sicuramente il suo matrimonio non sarebbe
stato così idilliaco: dopo più di trent’anni lei e suo marito tubano ancora
come due fidanzatini. E poi aggiunge che tante coppie con figli si separano,
mentre loro sono ancora in armonia e il marito non le aveva mai chiesto,
durante il periodo fertile, di dargli un figlio,tra l’altro quando le era
capitato di restare incinta, aveva abortito con il beneplacito del consorte.
La osservo e mi soffermo a pensare sul fatto
che tante coppie con problemi di sterilità o altro, si sottopongono a cure
mediche o all’inseminazione, procreazione assistita, e per ultima spiaggia
l’adozione, difficile per le lungaggini burocratiche, mentre questa nuova
conoscente ha rinunciato di sua sponte e non per problemi economici o di salute.
Ognuno è libero delle proprie scelte,
certamente, ma fin quando un adulto vorrà essere un fanciullo non assumendosi
le proprie responsabilità? Poi potremmo scivolare in un altro genere di
discorso in riguardo alla procreazione: le incertezze del futuro, la società e
i mille pericoli, le problematiche varie e alla fine ritrovarsi, dopo tanto
affanno, ad aver speso le proprie energie per figli immeritevoli che nonostante
gli sforzi compiuti, da adulti si ritorcono contro i genitori o li ignorano
irrimediabilmente. Ma la vita è così, la gioia di un figlio comporta dei rischi
e delle rinunce, credo che il desiderio di essere genitore sia insito in noi ed
esplode in un certo periodo della vita, ma che sia quello giusto per seguirne
la crescita con sprint e mentalità al passo con i tempi: un figlio ha bisogno di
un genitore o non di una figura attempata che fatica a stargli dietro.
I tempi cambiano,
ma per alcuni aspetti cambiano in peggio e le colpe non sono mai da una sola
parte, soprattutto per coloro che possono e rinunciano per partito preso!