Un cenno e
comprese. Aveva atteso… quanto? Un tempo interminabile, un lungo scorrere
martellante che non gli aveva dato tregua, anche per il luogo, ciò che gli
premeva era quella risposta rassicurante, quel riportarlo in vita: diversamente
non ne avrebbe avuta una!
Si era corroso
nell’intimo, a cercare quelle risposte che sembravano tutte così superflue e
deleterie. Quelle domande erano lì per ricordargli che forse avrebbe potuto,
forse l’unico responsabile era lui dalla divisa impeccabile e sobria che incute
rispetto; lui dal portamento fiero esecutore della pulizia etica, nulla e nessuno
doveva sbarrargli il passo.
“Un cane cento
pecore, cento pecore un cane”, quella inconsueta frase gli martellava nel
cervello, l’aveva udita da ragazzino quando suo padre soleva staccarsi la
cintura dei pantaloni e lo scudisciava a suon di cinghiate. “Un cane cento
pecore, cento pecore un cane”. Che cosa volesse dire, l’aveva compreso più avanti,
quella strana filastrocca suo padre la reiterava nei momenti di punizione per
ricordargli che il destino umano dei colpevoli è simile a quello degli animali:
il cane deve ubbidire e vigilare, altrettanto le pecore che devono ubbidire e
non smarrirsi, altrimenti il padrone punisce, riconducendole duramente all’ovile.
Che strano, perché
quei tormenti lo affliggevano proprio ora che cercava conforto? Ma egli, servitore
della legge, era da solo con le sue elucubrazioni che trovavano spazio in quel
frangente doloroso e anziché lasciarlo in pace, si compattavano con le ansietà
del momento. La natura umana è bizzarra: l’inconscio deleterio emerge negli
istanti strazianti, come se provasse gusto a instillare gocce brucianti su quelle
ferite aperte.
Era sprofondato
sulla poltroncina, era stanco, aveva consumato quel corridoio asettico e
cercava riposo sul sedile in eco-pelle, mentre quei pensieri gli scoppiavano
sempre nella testa; aveva appoggiato il capo alla parete come a cercare
refrigerio al fuoco esplosivo dell’angoscia. Le nocche conficcate nei palmi
delle mani che a tratti asciugavano il sudore della fronte bruciante; poi con
la mano destra di tanto in tanto scostava una ciocca di capelli, quei capelli
tanto accarezzati da colei che aveva saputo amarlo a tal punto da comprendere i
suoi strani turbamenti e complessi interiori.
Era divenuto un
uomo di giustizia proprio per sanare quelle conflittualità e dimostrare che con
la rettitudine si fa pulizia della sporcizia umana, ma la vita ha un prezzo e
il fango della società chiede un riscatto, se lo rimuovi torna per fagocitare
prima gli affetti del suo pulitore. E così era stato: esso, “il fango”, aveva atteso
e aveva sferrato l’attacco all’affetto più caro dell’esecutore della legge, un
colpo preciso in pieno petto e il sangue zampillante si era sparso sul selciato
con grande godimento del suo assassino.
Ora l'uomo di giustizia era in quell'ospedale e
sperava in un miracolo, aveva scostato il capo dalla parete e con occhi
supplichevoli guardava la vetrata in attesa di notizie confortanti. Un attimo,
e la sua vita si frantumò, dallo sguardo di dissenso del chirurgo … comprese.
Abbandonò il luogo intriso di disinfettante e si avviò a perdifiato al porto,
luogo magico per lui e per lei che non c’era più. Si erano conosciuti lì sul
molo, la nave stava salpando per portarli in crociera sul Nilo, da quel giorno
il loro viaggio non era mai terminato: sempre e poi sempre un crescendo
d’emozioni magiche e d’amore incommensurabile.
Crollò sulla
banchina e espresse tutto il suo dolore in un pianto
convulso e irrefrenabile. La disperazione lo divorava, avrebbe voluto farla
finita: la sua adorabile moglie non c'era più, strappata alla vita in modo atroce e solo perché lui difendeva la giustizia. Sentì d’improvviso due braccia robuste che lo stringevano, era il suo
compagno di lavoro, un omaccione grande e forte come una roccia, ma dal cuore tenero
e tanto umano. Fra quelle braccia con quel calore ebbe la forza di rialzarsi, si
abbracciò a lui e s’avviò. Avrebbe avuto giorni bui, giorni di rifiuto alla vita, avrebbe covato il desiderio di vendetta. Avrebbe, avrebbe, certo avrebbe, ma il tempo sa come dare una mano nel percorso della vita.
Di fortissimo impatto!
RispondiEliminaBrava, cara.
Buon giorno, cara Alessandra, ti ringrazio per il giudizio e ti auguro una buona giornata.
EliminaCon affetto
Annamaria
non so più come dirtelo Annamaria...
RispondiEliminasei una PENNA di alto livello
È bello sentirselo dire, tutte le volte che vuoi e io ti ringrazio infinitamente perché sai quanto io apprezzi te.
EliminaBuona serata caro amico e buon tutto di vero cuore.
Annamaria
Sono i momenti terribili della vita e li hai descritti benissimo, compreso l'attimo finale, perchè anche nella disperazione c'è sempre qualcuno che ci tende una mano. Starà a noi saper afferrare quella mano.
RispondiEliminaUn caro saluto, ciao.