C’era una vecchia
strada, polverosa e contorta ricoperta di sassi, era una stradina di campagna
che percorreva di nascosto. “Non andare in quella strada non asfaltata!” le
ricordava l’amabile zia “Dicono che ci sia uno strano vagabondo accampato fra i
cespugli.”
Giorgia aveva solo quattordici
anni e una curiosità fra le più fervide: l’incognita e il rischio la entusiasmavano.
Voleva guardare con i suoi occhi, non credeva alle raccomandazioni e la sua avveduta
sicurezza la portava a vivere ciò che le suggeriva il cuore.
Lo stretto viottolo non aveva nulla di
attraente, appariva desolato e sporco, l’unica bordura erano ciuffi d’erba
incolta e frastagliata da canne filiformi e secche. Ma Giorgia s’immaginava di
giungere in un posto bellissimo nascosto agli occhi di tutti, un luogo che
voleva esplorare per prima. Quell’anno i suoi erano partiti per un lungo
viaggio, non l’avevano mai fatto prima, e poiché quello era per loro il viaggio
di nozze mancato per insufficienza di denaro, avevano affidato la loro unica
figlia alla cara zia Giuseppina: l’aria di campagna sarebbe stata un toccasana
per la loro ragazzina. Nonostante fosse coraggiosa, Giorgia non si buttava allo
sbaraglio all’improvviso, lo faceva per gradi, valutava, agiva con
circospezione: quell’astuzia l’aveva ereditata da suo padre che non agiva mai
d’impulso, era un uomo intraprendente ma accorto.
La prima volta
percorse il viottolo sconnesso per un certo tratto: non proseguì sino in fondo,
giunse a metà percorso e si voltò indietro, uno strano fruscio fra le canne
l’aveva messa in allarme. Tornò a casa lievemente impaurita, ma non volle
menzionare l’accaduto, se accaduto era stato, piuttosto un rumore sospetto che
le aveva creato pensieri e paure.
Zia Giuseppina era
bonaria e briosa, la accolse col sorriso festoso e un succulento pranzo, vera
prelibatezza di sapori. La tavola in massello di noce era apparecchiata solo per
loro due e Giorgia, mentre sbocconcellava le tagliatelle al ragù, fingendo
naturalezza, chiese: “Zia, com’è che non ti sei mai sposata?”
Giuseppina non si
aspettava una domanda così privata, ma sorridendo con indulgenza rispose: “Il
vecchio zio, mio padre, allontanò il ragazzo che amavo. Nessuno più ha
conquistato il mio cuore. Non preoccuparti cara, io sono felice così, ho questa
fattoria che dirigo, le mie giornate sono piene.”
Il giorno dopo la
ragazzina tornò alla stradina polverosa e brulla e s’inoltrò, attraverso le
canne vide due occhi scuri che la scrutavano, stava per scappar via, quando una
voce la richiamò: “Non andartene, fammi compagnia!”
Giorgia si fece
largo fra i cespugli secchi e vide un uomo coperto di sporcizia, con una folta
chioma che, ondeggiando al vento, gli copriva il viso anch’esso annerito dalla
polvere. Non sapeva definire le fattezze di quella persona, l’unica cosa certa
era lo stato di trascuratezza che scaturiva da quello sconosciuto.
“Sei tu il
vagabondo che vive qui?” chiese Giorgia, tenendosi a debita distanza. “Mia zia,
mi dice di non venire qua a curiosare.”
“Io non so neanche
da quanto tempo sono qui, non ricordo. Non ho nessuno, questo lo so, ma perché
sono qui, non lo so. Ho paura degli altri e mi nascondo. Tu sei la prima alla
quale parlo.” Rispose lo strano tipo con voce roca e sguardo ferito.
Giorgia custodì il
segreto e tutti i giorni si recava nel posto celato, per conversare con lo
sconosciuto che faceva progressi di giorno in giorno. Capì che era una persona
colta, di nobili sentimenti e di bontà di cuore.
Viveva lì da un tempo non definito e si nutriva dei prodotti
spontanei della natura dei quali andava alla ricerca, mentre la sua dimora era
un cunicolo all’interno di una grotta. Una vita spartana, d’altri tempi, una
vita annullata da chissà quali pregresse sofferenze e tribolazioni.
“Non conosci
neanche il tuo nome?” annunciò Giorgia quella mattina “Ti chiamerò Cosimo, ho
un cugino che ti somiglia con questo nome.”
Erano trascorsi
svariati giorni e la ragazza pensò di convincere Cosimo a venire da sua zia,
glielo voleva presentare e chissà, avrebbe potuto lavorare lì come contadino.
“Ti ho portato
degli abiti che ho trovato nell’armadio di mia zia, andiamo a quello stagno, ti
lavi, ti cambi e poi andiamo! Non ti lascio più qui da solo!”annunciò la
ragazzina.
“Sei uno
spettacolo! esordì stupita, quando lo vide comparire attraverso le canne.
“Pensa un po’, come sarai dopo aver tagliato i capelli? Andiamo, farai un
figurone!”
Giuseppina, si
portò le mani al volto, non credeva ai suoi occhi, la sua faccia sorridente si
bagnò di lacrime e singhiozzava come se avesse visto un redivivo che credeva
sepolto in un luogo oscuro.
“Fratello mio, non
ho saputo più niente di te. Papà mi aveva detto che eri morto in Africa, in un
posto segreto durante un safari con i tuoi amici. Che grande pena! Ho passato
anni di tormento!”
Cosimo, come in un
lampo si riappropriò della sua memoria che giungeva a fiotti lenti e poi
improvvisi e rievocò quei momenti. Si vide con suo padre durante un alterco,
uno scambio d’idee, stava difendendo Mattia, il fidanzato di Giuseppina, un
bravo ragazzo con l’unica colpa d’essere povero, quando suo padre per farlo
tacere lo colpì sulla testa con un bastone. Ricordò d’essere fuggito come un
animale braccato e di essersi svegliato in quella radura nascosta nei campi e
lì era rimasto sino all’arrivo di quella curiosa nipotina. Ricordò la ferrea
disciplina del padre, la sua chiusura mentale, l’imposizione dei suoi comandi e
l’assoluto assoggettamento di Giuseppina.
Si abbracciarono e
si guardarono negli occhi, il tempo avrebbe sciorinato le loro confidenze, il
tempo avrebbe lenito i dispiaceri e steso un tappeto nuovo su quell’esistenza
recuperata.
Annamaria cara, non ti smentisci mai!
RispondiEliminaUn altro bellissimo racconto, ricco di pathos.
Buona domenica.
Grazie,cara Alessandra, per le gratificanti parole. Ti auguro una
Eliminabuona serata.
Un abbraccio
Annamaria
delicate immagini in una scrittura che cattura ,brava come sempre ...
RispondiEliminaChe piacere trovarti nel mio blog, cara Paola. Grazie per l'apprezzamento, ti auguro una buona serata.
EliminaUn abbraccio
Annamaria
Che bello! Sembra una delicata favola di Natale, di quelle che fanno bene al cuore.
RispondiEliminaTi abbraccio,
Marirò