Andare a ritroso nel tempo e soffermarsi nel primo ricordo che scandisce
l’inizio della nostra esistenza. Tutto secondo la memoria parte da
quell’evento, che assieme ad altri prendono corpo in un fotogramma a sbalzi,
che diviene sempre più cronistoria di noi stessi.
Quando nasciamo, nonostante sia un momento memorabile, non lascia
traccia nella memoria: non siamo in grado di richiamarlo dai meandri celebrali,
che pur conservandone il passaggio non riesce a restituircelo in immagini da
rievocare.
L’evoluzione dei primi anni di vita contiene momenti delicati e
fondamentali, ma pochi riescono a ricordare i loro primi passi, i primi sapori
graditi o le prime parole espresse di senso compiuto. Ci sono degli anni bui
che non ci appartengono e ne siamo a conoscenza tramite i nostri genitori o chi
per loro ha fatto le veci. La vita per noi incomincia da quel primo ricordo che
resta il più prezioso o il meno bello, dipende dalle situazioni vissute.
Io non avevo ancora quattro anni, per essere precisi mancavano cinque
mesi al compimento dei miei quattro anni quando nacque mio fratello, la mia
vita comincia da quell’evento che ricordo con dolore e tristezza mista a una strana
emozione che sento ancora tangibile.
Abitavamo in una piccola casa e c’era luce naturale nelle camere,
presumo fosse giorno, non ho mai approfondito questo particolare e ora non posso
più farlo: i miei genitori sono scomparsi già da tempo.
Nella camera, che aveva una finestra laterale, c’era un letto centrale
sul quale a sinistra era adagiata la mia mamma ricoperta da un lenzuolo bianco
come il suo viso, contornato da capelli neri sparsi sul cuscino. Sempre a
sinistra c’era una sagoma, non so dire a chi appartenesse, quello che so è che
mia madre sofferente si lamentava e reclinava il capo per la spossatezza. Io la
osservavo, per quanto tempo … non ricordo, come non so come fossi vestita: ero
piccina. Ma il ricordo che percepisco ancora è la tristezza che mi pervadeva nell'osservare la mia mamma: quella sofferenza mi apparteneva e mi penetrava
il cuore.
Questo ricordo doloroso si tramuta in qualcosa di diverso: compare mio
padre. Ricordo il suo sorriso e il suo richiamarmi a uscire dalla stanza, ci
appartammo in cucina e ci sedemmo intorno ad un tavolino d’emergenza, una
sedia, per giocare a carte: mio padre mi intrattenne con il gioco delle carte
napoletane. Presumo
che, anche non avendo quattro anni compiuti, sapessi riconoscere le figure e provassi
interesse per quel gioco, tanto da non tornare nella camera dove stava nascendo
mio fratello, proprio così: il parto avvenne in casa con l’assistenza di
un’ostetrica parente.
Di quella giornata non so più nulla, non ricordo d’aver sentito il
vagito di mio fratello, né cosa successe dopo o nei giorni seguenti, quindi non
posso rimembrare la crescita del fratellino o i suoi primi momenti: c’è un
vuoto, uno sbalzo ad altri episodi.
Ora riesco a rievocarlo, anzi lo faccio già da molto, ma per buona parte
della mia esistenza, quell’inizio temporale della mia memoria mi disturbava e
mi procurava tristezza e preoccupazione per il parto, al quale associavo il
volto diafano della mia mamma.
I ricordi che segnano, s’imprimono anche in tenerissima età: i dolori
hanno la precedenza sulle gioie!
Il terrore del parto era radicato
in me anche in seguito, la vita poi mi ha donato la gioia d’essere mamma, ma per un insorgere di
complicazioni non ho goduto della partecipazione in diretta della nascita: i
miei figli sono venuti al mondo con taglio cesareo, quasi che la natura temesse
di farmi provare le stesse sofferenze alle quali avevo assistito in diretta … precocemente.
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