Scendeva lenta come
fumo avvolgente, era candida e uggiosa e si appiccicava alla pelle; rendeva
umidicci gli indumenti, penetrava nelle ossa e bagnava i riccioluti capelli di
Ely. Che strano diminutivo, gliel’avevano coniato da piccola per guadagnare
tempo; non Eleonora, troppo lungo, cominciò con un Ele, poi si tramutò in Ely e
a distanza di anni, anche ora, che di piccolo aveva solo la statura, sempre e
solo per tutti Ely.
Lei amava la
campagna lucchese al sorgere del sole, non le importava che in quel periodo salisse
la nebbia; il medico le aveva consigliato di restare al caldo il mattino
presto: la sua artrite aveva bisogno di un ambiente caldo e l’umidità le era
deleteria.
Ma Ely soleva
penetrare nella natura anche con scarsa visibilità, i fumi nebbiosi la
invogliavano a immergersi nei suoi pensieri che cercava come una sorta di
panacea; ecco perché usciva da sola quando tutti dormivano: desiderava scavare
nella mente quel tempo passato che era solo suo e quel luogo le conciliava le rimembranze. Immaginava, anche, che una
fortuita conoscenza potesse emergere dalle dense brume per ridonarle
l’entusiasmo della passata gioventù. Se l’avesse saputo suo marito, Augusto,
l’avrebbe derisa. “Ma che cerchi ancora?” le avrebbe detto con aria
canzonatoria “Ancora le fregole giovanili!”.
E l’avevano assorbita
tutti la sua gioventù! In primis il marito che se l’era portata via quand’era
ancora un’adolescente. Oh, non le aveva mai fatto mancare nulla, d’accordo! Ma
la vita coniugale, con le sue priorità e responsabilità, non le aveva donato la
spensieratezza delle uscite pazze con gli amici, delle occhiate furtive al
ragazzo di turno, delle cottarelle che fanno vibrare il cuore. E la musica,
quei balli che lei amava, quel progettare le serate per recarsi nelle
discoteche, che furoreggiavano quando lei era fuggita con Augusto che le aveva
promesso, anche, una vita movimentata e mondana e, invece, di movimentato
c’erano state le sue gravidanze, una dietro l’altra e la gioventù se n’era
andata appresso ai figli, cinque per l’esattezza.
Ripensava ai suoi
momenti di vita che ripercorreva a ritroso in un excursus particolare: saltava
da un episodio all’altro e li collegava fra loro, anche se avevano una
datazione differente, lei li associava. In fin dei conti non aveva lamentele da
fare, il marito era sempre stato un gran lavoratore, forse troppo: il lavoro
prima di ogni cosa, quanta solerzia e attaccamento, tutto per le esigenze familiari.
Erano una famiglia numerosa che assorbiva, come una spugna, i guadagni del suo
capo e lui il timoniere della barca remava con più vigore. I figli crescevano
in buona salute, vivacissimi marmocchi che la sfinivano da mattina a sera; lei,
Ely, era uno scricciolo e le sue povere membra erano spossate per il gran da
fare; la voce, poi, s’era fatta roca a furia di richiamarli al dovere. Crebbero
quei rampolli, cinque figli maschi che divennero prestanti come dei bodyguard e
lei li guardava dal basso in alto; la vezzeggiavano, la circondavano di coccole
ma al tempo stesso erano esigenti. Una prelibatezza di qua, un’altra di là, non
un pasto normale, ma richiedevano fantasia culinaria. Poi c’erano gli
indumenti, sempre tanti, jeans magliette, polo, camice, ora anche abiti di
rappresentanza: un paio di loro s’erano impiegati negli uffici Statali, che
aveva da lamentarsi dunque?
Era stanca, stanca
di pensare sempre e solo ai suoi uomini, non aveva un suo spazio, una sua
realizzazione: aveva rinunciato agli studi che amava e al desiderio di
scrivere; era corsa appresso all’amore, non sapendo che l’amore in cambio esigeva
delle rinunce. Da qualche tempo, però, aveva preso l’abitudine di uscire presto
il mattino, proprio per non dar conto a nessuno; la sua famiglia, anche se era
tutta adulta, aveva orari differenti e se la ritrovava a casa a tutte le ore.
Si spazientì quella
mattina: il suo cantuccio preferito nella radura, al riparo del leccio, era occupato
da una distinta signora; dalla sua postazione la osservò minuziosamente, non
potendo meditare su se stessa lo fece per la sconosciuta di classe. Abiti
firmati e accessori altrettanto costosi, un portamento elegante e giovanile,
forse dimostrava meno dei suoi anni e vista la cura dei particolari, convenne
che non ci voleva poi molto a rendere l’insieme più gradevole. La vide sedersi
all’ombra del leccio e portarsi le mani al volto per lo sconforto, la sentì
piangere a singhiozzi e la disperazione che colse nei suoi gesti, le procurò
sincero rincrescimento.
All’improvviso la
signora si alzò e le passò accanto, Ely la riconobbe, l’aveva vista sulle
pagine della sua rivista preferita, era una giornalista-scrittrice di discreta
fama, quindi una donna realizzata e di successo, niente a che vedere con i suoi
problemi di donna soffocata dal proprio ruolo.
Ripensò spesso a
quella signora, a tal punto da cogliere i lati positivi della sua vita,
concluse che non è il ruolo a donare la felicità. Sperava d’incontrarla ancora,
le avrebbe parlato, avrebbe osato, confidava nella complicità della nebbia. E
la sconosciuta era nuovamente lì, al riparo del leccio, maestoso albero a forma
di ombrello; Ely si accostò e con voce dapprima stentata, poi più chiara le
parlò. La donna non s’infastidì, anzi s’illuminò quando seppe che era un’assidua
lettrice della sua rubrica, ma quella luce durò poco: si spense quando il bip
del messaggio sul cellulare le impose di leggere il breve comunicato.
“E’ finita!”
esclamò
“Cosa!”chiese Ely,
facendosi coraggio.
“Non ho nulla. Non
ho un marito, mi ha lasciato tempo fa e l’unica figlia se n’è andata per
sempre. Speravo che ci ripensasse e invece. Ho costruito un castello di carta!”
Ely, come le
piaceva ora il suo nomignolo, scordò le sue fatiche e i suoi strani desideri: lei aveva un uomo, anzi sei e tutti l’amavano e non l’abbandonavano. In una
frazione brevissima di tempo, considerò i lati positivi della sua esistenza e
si sentì mortificata di essere dovuta giungere alla conclusione attraverso il dolore
della donna che lei stimava. Ma la vita segue strane traiettorie e strane
coincidenze, quell’incontro stava per far nascere un’amicizia che avrebbe
giovato a entrambe. Ciò che mancava all’una avrebbe compensato l’altra, uno
scambio reciproco a fin di bene.
Fu Ely a prendere
l’iniziativa.
“Posso invitarla a
pranzo?”
Bravissima
RispondiEliminaGrazie!
Elimina