“Sei ancora lì?” mormorava Ernesto, attraverso
la porta del bagno. Lui era lì che attendeva già da un bel pezzo: erano entrati
in quella camera d’albergo da circa una mezz’ora, quando lei si era allontanata
per andare in bagno a rinfrescarsi un po’, così gli aveva detto, e lui a
malincuore s’era sciolto da quell’abbraccio di fuoco. Si erano sposati quella
mattina, un matrimonio in grande stile, tutto in regola, cerimonia in chiesa
con più di cento invitati e poi al termine dei festeggiamenti erano partiti per
il viaggio di nozze; non avevano mai viaggiato da soli, quanto avevano
fantasticato su quel momento! Erano occorsi cinque anni di fidanzamento per
compiere il grande passo, lei aveva dovuto completare gli studi, s’era anche
iscritta alla facoltà di architettura, ma lui premeva: non voleva più viverle
lontano, la voleva tutta per sé, temeva che qualcun altro gliela portasse via.
Ernesto
aveva trovato lavoro in un’altra cittadina, da giovane scriteriato, per amor di
lei, era divenuto un ragazzo retto e gran lavoratore. Dopo la laurea in ingegneria
era entrato nelle grazie di un costruttore importante che gli aveva affidato la
direzione dei lavori, e lui si faceva in quattro per adempiere al suo dovere,
per non essere scavalcato da altri giovani laureati che si affacciavano in quel
cantiere rinomato in tutta la città: il tal imprenditore aveva costruito
residences importanti che erano un vanto per la zona. Partiva la mattina presto,
la località aveva una distanza di un’ora di macchina, ma lui voleva tenersi stretto quel lavoro,
lo faceva anche per Giovanna: lei gli aveva detto che se non si realizzava e
non la smetteva di vivere alle spalle del padre, non l’avrebbe mai sposato.
Eppure ne avrebbe potuto avere altre cento come lei, erano quasi tutte pronte a
cascargli fra le braccia, non badavano al fatto che facesse il perdigiorno,
anzi questa figura gli donava più fascino, eccetto al delicato passerotto dai
capelli color del sole, gli stessi capelli ramati di sua figlia Marilena. Per
conquistare Giovanna aveva ripreso gli studi e andava avanti come un treno, neanche
una deviazione, tutte fermate in perfetto orario: s’era laureato con il massimo
dei voti e non aveva perso un esame. Quando andava a far visita alla sua fidanzata
entrava trionfante con il libretto universitario fra le mani e glielo
sventolava come un trofeo. I genitori di lui stavano vivendo uno stato di
grazia: avevano passato momenti di seria preoccupazione per quel figlio, quando
conduceva soltanto una vita di stravizi. Essi avevano provato a minacciarlo di
tagliarli i viveri, se non avesse ripreso a studiare o perlomeno impegnarsi nella
ricerca di un lavoro, visto che non avrebbe mai fatto il farmacista e non
desiderava raccogliere l’eredità paterna: sembrava quasi che godesse a farli
soffrire e loro, per non perderlo del tutto, attendevano che lui maturasse o
che per amore si compisse il miracolo. E quel miracolo fu la dolce Giovanna,
ragazza educata con la testa sulle spalle.
“Allora che ti
sembra?” esclamò lei, dopo essere uscita silenziosamente dal bagno. Lui le
rispose stringendola forte a sé: dopo cinque anni di fidanzamento, lei lo
turbava ancor di più della prima volta
in cui montò in sella sulla sua moto.
Ernesto si fermò un
attimo: quella prima notte sembrava andare diversamente dalle sue aspettative. Giovanna non si
rilassava, sembrava quasi che dovesse andare al patibolo; appena lui tentava
l’approccio, lei si poneva in uno stato di agitazione e si lamentava di un
dolore inesistente: lui non l’aveva ancora penetrata. Giunse a pensare che avesse
subito violenza e che non ne avesse voluto mai parlargliene; invece, poi, seppe
che aveva ascoltato storie di mogli che, durante il primo rapporto, erano state
vittime di lacerazioni emorragiche, quindi lei aveva sempre creduto che la
prima volta fosse sempre un’immolazione al dolore.
“E me lo dici ora?” chiese lui frastornato.
“Tante volte ti ho parlato della bellezza dell’amore e del piacere che si
prova. Avrei voluto farlo prima con te, ma poi ti ho rispettato quando ti
ritraevi, adducendo il fatto che non eravamo sposati.”
“Non potevo
confessartelo, mi vergognavo e ancora è una fatica per me parlartene. Perciò
ora che sai, aspetta, io non voglio soffrire.”
“Ma cara, l’amore
non è sofferenza, vedrai. Quelle signore hanno raccontato il falso. Appena
avvertirai dolore, io ti lascerò stare, non potrei diversamente, mi sembrerebbe
di usare violenza.”
Giovanna era ostinata e si irrigidiva, lui perseverò in dolcezza e
preliminari che alla fine stancarono la sposa; era esausta e stordita quando
lui la fece sua e lei raggiunse le vette del piacere, non voleva smettere e
alla terza notte divenne un’amante straordinaria che spontaneamente imparò
l’arte dell’amore. Ernesto ancora oggi la cercava con passione e lei gli
rispondeva con altrettanto desiderio.(continua)
ciao Annamaria,
RispondiEliminaè sempre un immenso piacere leggere i tuoi racconti
Grazie, carissimo dalla eccelsa penna.
EliminaBuon primo giugno
un abbraccio
annamaria
Un altro bel capitolo, cara.
RispondiEliminaFelice serata.
Grazie mille, cara Alessandra.
EliminaLieta giornata
affettuosità
annamaria