Siamo nell’atrio dell’Ateneo per le rituali foto di gruppo con parenti
ed amici, indosso ancora la toga pregna delle sensazioni emozionali e
paradisiache vissute da questa mattina, dal momento in cui nell’aula Magna in
fila ad altri candidati Dottori della Legge, attendevo la convocazione alla discussione
della tesi di Laurea.
Alle mie spalle ci sono tutti coloro che hanno condiviso questo percorso
di studi e anche coloro che ne erano solo informati. Mi giro un attimo e saluto
con lo sguardo carico di gratitudine i miei genitori che hanno permesso la
realizzazione della mia aspirazione, i miei cari genitori che con il loro
sostegno, appoggio morale ed economico mi hanno consentito di sudare sui libri
anziché sudare sulla terra.
“Rodolfo”, ricordo ancora il tono di
voce e l’espressione di mio padre, dal volto bonario arrossato dal sole. “Oggi
ti sei diplomato, continua a studiare!” lo disse con parole semplici così
com’era la sua conoscenza. “Sei bravo con le parole, tu devi fare l’avvocato,
devi difendere noi lavoratori e tutti quelli che subiscono!”
Papà! Tu hai desiderato per me un avvenire diverso dal tuo, hai voluto
che io non mi sporcassi le mani con la terra, che non mi spezzassi la schiena
chino sui campi sotto i vari cambiamenti climatici, dicevi : “Mio figlio farà il signore e combatterà i
signori e tutti quelli che si approfittano di noi onesti lavoratori!”
Sin da piccolo avevo mostrato inclinazione allo studio, in seconda elementare
sbalordii la maestra con un componimento dalle riflessioni profonde e alle
scuole medie i miei temi venivano letti in classe: la mia passione era
l’italiano, ma non per questo tralasciavo le altre materie, le studiavo tutte, più
vedevo mio padre sudare sulla terra e più lo ricompensavo applicandomi sui
libri. Questo fu il mio motto “studiare e poi studiare” per pareggiare i
sacrifici del mio genitore che mi tenne lontano dal suo lavoro per fare di me
un acculturato dalle mani pulite e carezzevoli.
Non ci furono dubbi, il classico fu la seconda tappa di studi e io al
mattino presto salivo sul treno per raggiungere il capoluogo di provincia dove
frequentavo il liceo più rinomato della città, rinomato per l’insegnamento
serio e professionale e per la disciplina; i migliori laureati avevano conseguito
la maturità classica presso quell’istituto, era un fiore all’occhiello, un vanto
personale il diploma di quel liceo che portava il nome di un illustre filosofo.
Dalla pubertà alla prima giovinezza feci lo studente pendolare mai con
rincrescimento, ma con soddisfazione d’appagare la mia sete di cultura e inorgoglire
i miei genitori che a differenza di altri del loro ambiente, non mi chiesero
mai di continuare il lavoro agreste di famiglia che per quanto faticoso e vincolato
alla bontà del cielo, era comunque un’occupazione che non lasciava a bocca
asciutta. Con le giornate corte, mio padre e io rientravamo quasi assieme, io
ben vestito e curato e lui sporco di terra e sudato. Lo osservavo e dentro di
me provavo sofferenza, eppure l’avevo visto sempre così: il suo aspetto non era
cambiato, ma dopo la mia fanciullezza sentii nascere sensazioni nuove e meditazioni
diverse.
Non provavo vergogna per i suoi abiti da lavoro e per la sua mancanza di
cultura, al contrario cresceva in me il dolore per non poterlo aiutare ad
alleviare le sue fatiche, mi sentivo un opportunista che sfruttava l’occasione
donata, mettendomi comodo davanti alla scrivania al riparo della mia camera. Ci
riunivamo intorno al tavolo verso sera, per l’unico pasto del giorno e i miei
genitori chiedevano solo di me e della mia giornata scolastica, appena accennavo
un riferimento su di loro eludevano la domanda, volevano che io parlassi
esclusivamente del mio studio.
“Rodolfo”, esordì in tono perentorio una sera mio padre. “La devi
smettere di pensare a me! Sei tu quello che mi dà la forza di lavorare sempre
di più, lo studio è ugualmente faticoso, ti impegna con la testa!”
Che genitore… quanta saggezza, quanta bontà d’animo! Egli sin da
ragazzino aveva lavorato nei campi con mio nonno, corrugandosi la fronte
battuta dal sole e sciupandosi le mani sempre nell’onestà più assoluta,
rispettando le regole del padrone, del proprietario terriero che esigeva e
sfruttava con sfacciata acrimonia, calpestando i lavoratori mansueti, senza
voce.
Durante l’estate non cercavo la distrazione, la mia vacanza ce l’avevo a
portata di mano … la campagna. Seguivo mio padre nei campi mettendomi a
disposizione: era una vera gioia rendermi utile quando le scuole erano chiuse, dall’alba
al tramonto a contatto con la natura e con mio padre che veneravo. Adoravo quei
momenti tutti nostri e quel dolce conversare, mentre sbocconcellavamo i panini
imbottiti preparati da mia madre nella pausa veloce; seduti al fresco della
quercia secolare eravamo in due ad asciugarci il sudore con i fazzoletti
colorati: quella condivisione era per me qualcosa di speciale! Il volto
sorridente e tranquillo di mio padre mi penetrava il cuore, pendevo dalle sue
labbra: quei racconti puri, semplici di un vissuto alla luce del sole, erano
più interessanti di tanti sciocchi dialoghi giovanili. Ritornavamo a casa su di
un modesto treruote che arrancava ad ogni salita e faticosamente riprendeva la
corsa sul rettilineo, ma la stanchezza non ci impediva di cantare le canzoni
del momento, come fossimo stati entrambi ragazzi: lui per me era un amico,
molto più che amico.
“Come è andata oggi?” esordiva mia
madre che ci accoglieva sempre con il sorriso, mentre i profumi della cucina
giungevano alle nostre narici. Noi al lavoro e lei in casa ad attenderci. Queste
erano le nostre estati, bisognava sacrificarsi e risparmiare in nome della
cultura, in nome del mio avvenire.
Il primo traguardo era raggiunto:
avevo conseguito la maturità classica con la massima valutazione. Fu
organizzata una festicciola all’aperto dinanzi alla nostra casa situata alla
periferia del paese, una di quelle abitazioni a piano terra dotate anche di un
piccolo spazio verde: un giardino ridotto, simile ad un cortile. Per
l’occasione furono invitati anche i miei amici e parenti stretti, tutto si svolse
in armonia a suon di musica, e fra una leccornia e l’altra…
“Rodolfo, che farai ora? Andrai all’università?” rispondeva mio padre al
posto mio: “Farà l’avvocato!”
“L’avvocato?” riprendeva mio zio. “Ce
l’ha lo studio? Solo i figli degli avvocati fanno la professione, gli altri
sono solo servi dei legali, servi non pagati!”
“Rodolfo è bravo, lui ce la farà con le sue forze!”
Era questa la certezza di mio padre e non ammetteva repliche!
Ricordo ancora oggi il mio primo esame: Diritto Privato! Questo fu il
primo approccio con la Facoltà di Giurisprudenza, questo fu il mio esordio. Studiai
con interesse e passione le norme giuridiche di quella materia, assimilandola paragrafo
per paragrafo e la sera precedente all’esame, restai sino a tardi con il libro
fra le mani, passeggiando avanti e indietro nella mia camera parlando a voce alta,
mentre i miei genitori bisbigliavano fra loro:
“Povero figliolo… che la Madonna l’accompagni, domani!”
Tornai a casa fiero e soddisfatto, di aver ricevuto la ricompensa per me
stesso e per i miei genitori: sul libretto universitario immacolato e intonso,
compariva segnata ora la prima riga, con la dicitura, “Diritto privato- trenta
e lode” , seguita dalla firma del docente d’esame che aveva elogiato e premiato
la mia preparazione.
Fu un susseguirsi di successi: in tre anni bruciai tutte le tappe. Studiavo
costantemente non concedendomi distrazioni e il mese in cui la facoltà era
chiusa, preparavo un piano di studi per la sessione successiva. Avevo fretta di
arrivare, mi dicevo: “Avrò più chance con la mia giovane età!”
Mia madre era preoccupata, voleva che
mi concedessi delle pause, che alleggerissi la mente.
“Rodolfo, vai al mare con gli amici, ti farebbe bene un po’ di sole!”
“Va tutto bene mamma… va tutto bene!” le dicevo, mentre la stringevo a
me fortemente. Che donna: tutta la sua vita era stata un sacrificio! Da
ragazzina aveva dovuto occuparsi dei suoi quattro fratelli, quando mia nonna
morì per un epatite e poi con mio padre, brava persona, aveva combattuto la miseria
ed in seguito i sacrifici economici, senza mai lamentarsi e incoraggiando
sempre tutti. La forza di mio padre era lei, solo lei!
La tesi in “Diritto del Lavoro” è stata un successo, mentre la esponevo
oltre che dal mio Relatore ricevevo sguardi di compiacimento anche dai Docenti presenti,
nessuna interruzione: tutti in religioso silenzio! Nelle mie orecchie risuona ancora :
- Le conferiamo il titolo di Dottore in Legge:
votazione“110 su 110 con Lode e Plauso”!
Sto per lasciare l’Aula Magna, i miei
parenti mi attorniano, quando il mio Relatore, rinomato avvocato, mi indica di
raggiungerlo.
“Prenditi tutto il tempo che vuoi.” mi dice cordialmente. “Ne hai
bisogno, ti aspetto poi nel mio studio per il praticantato!”
E’ il mio primo giorno da Dottore praticante, prima di uscire di casa i
miei genitori mi guardano con soddisfazione.
“Auguri Rodolfo, te lo dicevo io che avresti fatto l’avvocato”, aggiunge
mio padre. “Sono fiero di te… ricordati di noi lavoratori sfruttati!”
“Papà, per ora devo fare solo il tirocinio, ma terrò sempre a mente ciò
che mi hai insegnato. I tuoi ideali, sono anche i miei!”
Entro nello studio megalattico con circospezione, mi viene incontro il
Docente Avvocato.
“Ti aspettavo Rodolfo.” si era instaurato un rapporto familiare: il suo
tono era pressoché paterno. “Ho già predisposto la tua scrivania, sono sicuro
che questi due anni voleranno in fretta, poi… resterai con me come
collaboratore, non posso lasciarmi scappare un genio come te!”
Mi sento al settimo cielo, prendo possesso della mia postazione e senza
perder tempo comincio a visionare alcuni fascicoli, ora devo mettere in pratica
ciò che ho acquisito con la teoria, la voglia di fare è tanta, non dovrò
deludere me stesso, i miei genitori ed il mio Dominus che credono in me.
Trascorro i due anni di tirocinio fra
il tribunale e lo studio, dove in quest’ultimo sono il primo ad arrivare e
l’ultimo ad uscire, porto anche il lavoro a casa per studiare ogni minuzia,
ogni strategia processuale: il mio obbiettivo è sempre lo stesso imparare per
raggiungere la meta.
“Papà hai davanti a te l’Avvocato che desideravi, sono abilitato! Ho
superato gli esami a pieni voti! Sono terminati i tuoi sacrifici e potrò
finalmente incominciare a guadagnare anch’io! Il professore mi ha chiesto di
restare con lui, gli sono indispensabile!”
Occupo un’altra stanza più consona al mio ruolo: sono un professionista
a tutti gli effetti, dotato anche di computer personale; mi accomodo sulla
nuova sedia in pelle imbottita e per un attimo mi lascio andare mentalmente.
“Potrò comprare la nuova auto al papà che va in giro ancora con quel vecchio
catorcio, e alla mamma che continua a lavare i panni ancora a mano
faticosamente, le farò consegnare la lavatrice, poi… ci sono anch’io, ma per
quello c’è tempo, l’importante è che non peso più sulle spalle di mio padre,
unico lavoratore d’una famiglia monoreddito!”
Lavoro da sei mesi come professionista abilitato, sostituisco il mio
Dominus in alcuni processi civili e recentemente in un caso particolare ho
firmato al suo posto con il mio cognome (non ho potuto esimermi, quando mi ha
chiesto di fargli da prestanome), tutto va alla grande meno che… per un particolare
decisamente rilevante, sono ancora a carico di mio padre: lo stimato Docente
Avvocato non mi ha ancora gratificato economicamente, mi attendevo almeno una
modesta somma di incoraggiamento: nulla, neanche un centesimo e neanche una
parola al riguardo.
Mi dicono : “Gli inizi sono così non si può arrivare subito, sei già
fortunato a far parte del suo staff. Ti pagherà, ti pagherà e ti farai anche la
clientela!”
Sto perdendo la pazienza, il tempo passa e l’unico compenso ricevuto è
stato il contentino natalizio lasciato in una busta sulla mia scrivania, con
tanto di biglietto augurale “ Buon Natale:
questo è solo l’inizio!”... assieme al biglietto fanno capolino 500 Euro! 500
modeste euro, dopo tutto il lavoro sbrigato solertemente e instancabilmente…
non ho neanche il coraggio di dirlo a mio padre! Comunque andrò avanti, persevererò,
ho dalla mia la giovane età: riuscirò a spuntarla!
Un giorno una brutta notizia mi giunge allo studio, sono io a prendere
la telefonata.
“Rodolfo”, mi dice mia madre angosciata. “Tuo padre ha avuto un
collasso, stiamo per accompagnarlo al pronto soccorso!”
Non ho avuto neanche il tempo di udire la sua voce per l’ultima volta,
la sua anima è già volata in cielo; non ha sofferto mi dice la mamma
abbracciandomi e io sento più che mai di non aver esaudito il desiderio di mio
padre, risuonano ancora nelle mie orecchie le sue convinte parole:
“ Mio figlio farà l’avvocato, per difendere
noi lavoratori sfruttati!”
“Mamma, devo andare.” le dico sommesso, tenendo a freno tutta la rabbia
che ho in corpo. “Devo farlo per papà,
io sarò quello che lui voleva! Quel relatore tanto magnanimo mi sfrutta e
basta, non posso neanche accattivarmi i suoi clienti perché essi non vengono da
noi, il mio Dominus si occupa di società.”
Lascio la mia terra con rimpianto, ma combatterò affinché il mio
sacrificio e quello dei miei genitori venga considerato, per dare voce a coloro
che non ce l’hanno e per contrastare sopra ogni cosa le ingiustizie… le
prevaricazioni perpetrate dai potenti.
“Ce la farò papà, vedrai… in futuro sarò l’Avvocato dei tuoi sogni!”
Chi non ti legge non ti merita! Questo racconto è stupendo, emozionante. Un abbraccio, cara.
RispondiEliminaTroppo buona, cara Ale.
EliminaTi ringrazio tantissimo, o mia affezionata amica.
Ricambio di cuore
annamaria
Un racconto che sa tanto di realtà, purtroppo! Quanti giovani ci sono che pur dando tutto sé stessi rimangono a spasso! :-( E quanti genitori faticano per dare un futuro a un figlio che rimane disoccupato!
RispondiEliminaMolto brava, scritto davvero bene e in modo scorrevole e coinvolgente: a metà lettura mi sono accorto di essere "rapito" nonostante la trama "semplice" ;-)
www.wolfghost.com
Ti ringrazio, caro amico, per l'apprezzamento lusinghiero che mi dà gioia. È una realtà molto presente, purtroppo.
EliminaTi auguro un buon proseguimento di giornata.
Un caro saluto
Annamaria
Un racconto bellissimo, mia cara amica!
RispondiEliminaSai, mi hai ricordato John Grisha.
Ti abbraccio.
Scusa: Grisham.
RispondiEliminaL'ho riletto proprio volentieri :-)
RispondiEliminaGrazie, troppo buona.
EliminaRicambio di cuore
annamaria
Grazie, troppo buona.
EliminaRicambio di cuore
annamaria