lunedì 30 marzo 2015

La solitudine

   
                                                                      
   Mi piace correre con la mente, lasciarmi avviluppare dai pensieri che scorrono veloci per dar voce a quella smania che s’impossessa di me e fluisce dolce e arrendevole. Un turbinio, un rimestare la mia sete d'inchiostro, nero su bianco, che delizia, che passione!
   Tutto è bello e anche la modesta interpretazione potrebbe avere un volto dai caratteri interessanti. Dove mi porta questa consapevolezza? A prendere in esame un concetto, forse profondo, forse contestabile, ma pur sempre un’idea. La solitudine è in noi o intorno a noi? Vive con noi o fa parte del sistema?
    La società è fatta di persone con le loro problematiche che creano un cerchio, un alone invisibile che ci chiude dentro, divenendo barriera inaccessibile; difficile aprire un varco: ci circonda come un anello incorporeo. La solitudine scava e s’impossessa, noi miseri mortali siamo troppo fragili e a fatica vorremmo liberarcene. Nasce anche nelle famiglie, nelle case, nei cuori dello stesso habitat. Prendiamo in considerazione il nucleo familiare, quante remore, risentimenti, sciocchi fraintendimenti, non riusciamo ad aprire la nostra anima neanche ai nostri consanguinei e viviamo un rapporto di solitudine.
   Case chiuse, non in quel senso ma appartamenti fatti di camere proibite: ogni appartenente si rifugia nella sua stanza e dialoga con il mezzo meccanico, che fastidio sarebbe un’intrusione! Molto meglio confidarsi con gli sconosciuti, un confronto vis à vis è una seccatura, non c’è più il coraggio di guardare in faccia chicchessia. In questi frangenti la solitudine l’abbiamo cercata noi o ci è stata imposta dal sistema?
   Rimpiango i salotti del passato, le tavolate amene fatte di convivialità serena, le scampagnate all’aria aperta, quel ruzzolare sull’erba spensierato quando i bacilli erano lontani dai nostri pensieri. Il germe della solitudine ha ammorbato le nostre menti e abbiamo igienizzato gli intelletti, presentando loro uno schermo ultrapiatto lindo e pinto, privo di batteri per noi.
   Siamo soli nelle nostre case, soli per strada, nei punti vendita fatto di sconosciuti che non ci rivolgono uno sguardo, soli nelle famiglie, soli sempre soli. Non ci conoscono e quando gli si chiede di noi, ci descrivono bene, come persone equilibrate, ma restie alla comunicazione. Ma loro, i narratori di noi stessi, dove sono o per meglio dire dov’erano? Quando accade l’irreparabile, sanno che c’eravamo? 
   Fatti di cronaca inquietanti nascono dalla solitudine, diversamente molti eventi sanguinari non avrebbero ragione di esistere. Ci sono situazioni difficili, precariato nel lavoro o mancanza di occupazione; malattie devastanti, crisi coniugali, rapporti difficili nelle famiglie, fra la gente, ma ciò che induce al gesto folle è sempre la solitudine: se l’uomo aprisse il suo cuore ne sarebbe alleggerito, il conforto nel liberare il proprio cuore dona sollievo.
   Forse non si risolvono le situazioni, ma perlomeno si ha la forza di continuare e di non aggravare una condizione già tanto pesante e opprimente. La notizia di quel giovane copilota che ha portato con sé centoquaranta persone schiantandosi contro le montagne, mi ha sconvolto e mi chiedo:  “Si sarebbe potuto evitare?” Sicuramente mi risponderete che se ci fosse stata più professionalità da parte della compagnia aerea, il pilota non avrebbe avuto il permesso di volare e sono d'accordo con voi. Ma la fidanzata, i genitori, gli amici dov'erano, hanno ascoltato le sue pene, gli sono stati accanto? Hanno saputo leggere nel suo cuore? 


lunedì 16 marzo 2015

Follia umana

Quando ho scritto questo post, non erano ancora morti i turisti del Bardo e i morti dell'Airbus non sapevano che sarebbero state vittime della follia di un pilota. Ma da questa follia possiamo difenderci? Al museo avrebbero dovuto mettere più sorveglianza, ora l'hanno fatto, e per quanto riguarda l'Airbus, ora in cabina non saranno più in due. Ecco da un tipo di follia così ci si può difendere.
                  Risultati immagini per terrorismo
 
   La follia umana è sempre patologica? Un tempo esistevano luoghi, case di cure riservate agli psicolabili, ai dementi, in definitiva i manicomi, luoghi in cui la vita si annullava, ma perlomeno non erano messe a repentaglio le vite di coloro che, per uno strano gioco del destino, divenivano bersaglio del folle. Al giorno d'oggi vi sono cliniche psichiatriche che a breve degenza supportano il malato con palliativi medici che donano solo un temporaneo benessere, fatto di torpore forzato e stato di alienazione, in definitiva una cura del sonno indotto. E sin qui c'è comprensione, anzi amarezza per i soggetti nati con un cervello incontrollabile che rende la loro vita, una non vita: la passività e l'irrazionalità creano un allontanamento dal mondo. Loro non hanno chiesto di nascere diversi e hanno tutta la nostra comprensione, certo accompagnato da timore; ma quando una persona, nata con un cervello superiormente dotato, sceglie di essere folle, sceglie di comportarsi da squilibrato assetato di sangue umano; quando un essere vivente, nella fattispecie umana, sceglie la strada della follia, allora verrebbe voglia di non voler far parte più del genere umano. Sono all'ordine del giorno i casi di follia omicida, le motivazioni: gelosia, timore dell'abbandono, rifiuto alle separazioni in atto, mancanza di lavoro, contestazioni di natura religiosa e politica; una società che, anche nascendo sana, sceglie la strada della follia, del terrorismo da brivido. 
   La storia ci racconta di efferatezze di ogni genere, i campi di concentramento ad Auschwitz non hanno avuto quel solo teatro, da tempo memorabile le atrocità perpetrate dall'uomo nei confronti dei suoi stessi fratelli sono agghiaccianti e a testimonianza, oltre agli scritti ,vi sono musei che espongono i metodi di tortura del periodo di riferimento. Di avvenimenti crudelmente cruenti ve ne sono tantissimi e ancora oggi anche nella nostra Italia, il folle per scelta compie uccisioni da film dell'horror. 
   Ma oggi vorrei rispolverare un po' di storia non molto lontana, siamo al tempo dell'Unificazione dell'Italia, migliaia di resistenti e soldati del Regno delle Due Sicilie, deportati al nord, morirono di stenti e per accelerare il lavoro, nei luoghi di segregazione furono tolte porte e finestre, il tutto a quasi 2000 metri, infine quei corpi furono sciolti nella calce viva! Migliaia e migliaia di meridionali fedeli al re furono deportati e subirono le più atroci torture, non furono risparmiati i civili, fra i quali donne e bambini. Infatti l'ex Presidente della Repubblica ricordando i fatti storici ha detto che si dovrebbe istituire un giorno della memoria per tutti quei meridionali che provarono Auschwitz anzitempo, vi sono anche foto di persone scheletriche in tutto simili a quelle dei deportati nei lager nazisti. 
   Ora tornando al discorso della follia e precisamente a quella improvvisa perdita d'identità e di razionalità, quella follia punita dalla legge: per questi folli si spalancano i cancelli dei manicomi criminali, veri lager senza ritorno e del resto l'omicida perdendo la ragione non potrebbe scontare la pena in un carcere normale. Ma la mia analisi mira a puntare il dito sui folli per scelta, sui quei folli plagiati da falsi ideali, folli che entrano a far parte di gruppi terroristici con ideali di conquista e asservimento, ideali che per i leader di questi movimenti sono giustificati dalla ribellione al potere che essi stessi hanno subito.
   Una follia così m'inquieta e anche molto, la minaccia è forse dietro l'angolo? Oppure occorre conviverci perché a detta di molti, la follia c'è sempre stata e l'animo malvagio è difficile da convertire. 

martedì 3 marzo 2015

Meravigliosa infanzia

                        

   Due occhioni scintillanti mi osservano radiosi, le guanciotte s'increspano compiaciute alla vista della mia presenza e poi una corsa veloce, un gioco già sperimentato, un gioco antico: il nascondino, cucù per te piccolino. E poi il soffio all'aperto su di un fiore che rilascia i pelati come piccole libellule.
   La tenerezza di un bimbo, la sua fresca ingenuità che vive della semplicità di un momento, nulla a che vedere con le elaborazioni di una mente adulta alla ricerca dell'impossibile. Una conta veloce, un fingere la ricerca che scatena gioia in una convinzione di bravura; ah, il mondo dei piccolini che meraviglia! La felicità e la soddisfazione di essere bravi a far compiere il volo ai piccoli ovattati petali. E quel mondo ci apparteneva, quel mondo fatto di timori e di gioie, di dipendenza e di affetti; un mondo in cui le responsabilità non gravavano sulle nostre spalle. Spalle fragili al tempo, spalle la cui crescita era affidata a chi ci aveva generato, e sentirsi leggeri e sicuri che nel momento del bisogno avremmo ricevuto aiuto e consolazione. Che sensazione di leggerezza!
   Quand'è che si cresce veramente? Quando ci si sente adulti e pronti ad affrontare le difficoltà, le decisioni e non avere ripensamenti, dubbi? Quando si è sicuri che sapremo cavarceli da soli e che riusciremo a camminare con le nostre gambe?
   Crediamo di essere autonomi, autosufficienti, anzi il solo fatto che la nostra gestione è affidata a noi stessi, ci fa sentire fieri e pensiamo che saremo forti per affrontare il mondo, il peso degli anni che scorreranno, le beghe, le complicazioni, i travagli, i malintesi, i dolori, ci piace tutto: saremo noi a gestire ogni cosa, che meravigliosa sensazione! Ma non è così: giunge un momento in cui ci accorgiamo che quelle mani che un tempo ci sostenevano e ci guidavano e delle quali non vedevamo l'ora di liberarcene, quelle mani ci mancano e vorremmo riafferrarle per avere quel sostegno, quel calore, quella sicurezza che scaturiva anche da una parola, da un ascolto.
   Dentro di noi non siamo mai completamente adulti: in un angolino del nostro cuore una piccolissima parte è sempre ancorata a chi ci ha messo al mondo. Il distacco, il taglio di quel cordone ce lo portiamo dentro come una cicatrice rimarginata sì, ma presente: questo lo si comprende quando quel collegamento affettivo si allontana per sempre. Ed è allora che diveniamo ADULTI, che parolona: quando perdiamo inevitabilmente quel contatto!
   Il mondo degli adulti è complicato, difficile, spesso cattivo: ingarbugliato  e intricato da sentieri bui. Il sospetto è dietro l'angolo, l'angoscia è dietro l'angolo, la crudeltà è dietro l'angolo, la sopraffazione è dietro l'angolo, come sarebbe bello fermare le lancette dell'orologio e vivere da piccolini sapendo che, nello standard di una società normale, l'unica paura sarà solo il rimprovero e lo sforzo di compiere il proprio dovere secondo le regole della buona educazione, e che qualunque cosa accadrà, saremo sorretti e guidati da chi ci ha messo al mondo.
   Ma esiste un'altra faccia della medaglia: vi sono bimbi, purtroppo, che, nascendo nei posti dove l'infanzia è calpestata, vivono come fossero adulti subendo la condizione del loro crudele e malvagio mondo. E poco possono i loro genitori ai quali è impedito di sostenerli, proteggerli e guidarli nel difficile cammino della vita: vita che in quei luoghi è al limite della sopravvivenza e dei pregiudizi inconcepibili. Nei luoghi ove vigono concezioni ataviche lontane dal rispetto, il cordone ombelicale viene reciso anche nel cuore di quei bimbi  sfortunati che hanno ancora l'età della scuola per l'infanzia.
   

venerdì 27 febbraio 2015

Impressioni di lettura

(Vi ripropongo una recensione di un libro dalla lettura distensiva, ma interessante: a volte val la pena rispolverare anche post precedenti, magari per tornare a parlarne e rifletterci un po'.)

                                       

   Mi hanno regalato un libro di narrativa che tratta di filosofia. In chiave ironica vengono presentati i sommi maestri della filosofia, i filosofi antichi; in quarta di copertina è scritto: "Altamente istruttivo e altamente divertente, questo è un libro di etica narrata. Una cosa nuova sul mercato delle idee. Una cosa di cui si sente sempre più il bisogno..."
   Innamorarsi e restarne soggiogati, nella vita vi sono vari innamoramenti e non solo di tipo sentimentale: l'autrice dopo aver letto "Storia della filosofia greca", libro scritto da Luciano De Crescenzo, al quale dedica un particolare ringraziamento, subisce un colpo di fulmine filosofico. Ma l'innamoramento nasce in lei sin dalle scuole elementari è lì che il seme radica con la conoscenza di Pitagora, in seguito amerà Platone per il "Simposio", Aristotele per il principio di non contraddizione, Epicuro per la concezione dell'amicizia e Cartesio per il cogito. Lei dice che senza di loro la sua vita sarebbe stata vuota.
   Giovanna Zucca, è un'infermiera e lavora come strumentista e aiuto anestesista; è laureata in filosofia e tiene parecchi seminari. Avete già avuto modo di conoscerla, attraverso la mia presentazione del suo libro d'esordio "Mani calde" che tratta la storia di un bimbo scampato alla morte dopo il coma. Questo libro è la libera rielaborazione della sua tesi di laurea e nella parte conclusiva, dedicata ai ringraziamenti, l'autrice con umorismo si addossa ogni responsabilità della sua eventuale "cialtroneria intellettuale" (queste sono le sue precise parole).
   La narrazione comincia con alcune righe tratte dal Parmenide di Platone: "Zenone, che cosa vuoi dire? Che se la realtà è molteplice, i molti devono essere insieme simili e dissimili, ma questo è impossibile, perché le cose dissimili non sono simili, né quelle dissimili?..."
   Siamo a casa di Giovanna che con tanta buona volontà tenta di leggere il Parmenide, fa molto caldo e la concentrazione è  scarsa, le disquisizioni filosofiche fra Socrate e Zenone sono astruse e incomprensibili, l'ontologia è difficile da apprendere.
   La scena si sposta a casa di una famiglia romana, stessa serata calda, in televisione un evento importante, una serata speciale di "Porta a Porta" con ospiti illustri, i mitici maestri della filosofia chiamati lì per discutere il tema della virtù come bene comune. Si parla di un evento straordinario con collegamenti satellitari, seduti in studio ci sono già il "divino" Platone, Aristotele di Stagira ed Epicuro di Samo; seduti tra il pubblico altri illustri maestri contemporanei, Gianni Vattimo, Massimo Cacciari e Luciano De Crescenzo. La famiglia romana, come tante altre, ha il televisore acceso, lo speciale di Vespa incuriosisce il signor Nando che richiama sua moglie Grazia; sopraggiungono in un secondo momento la fidanzata del figlio ed in seguito il ragazzo. I coniugi romani, a digiuno totale di filosofia, attraverso le spiegazioni della ragazza s'incuriosiscono e decidono di seguire il programma con molto interesse anche per imparare qualcosa. La signora Grazia comprende che gli argomenti filosofici riguardano la quotidianità e che la filosofia aiuta nella comprensione degli stessi.
   La scena si sposta, poi, in Sicilia, un professore di filosofia in pensione  non crede ai suoi occhi quando vede sul palcoscenico di "Porta a Porta" i sommi maestri; finalmente trattano la sua amata materia insegnata con fervente passione; crede che il tutto sia un artifizio metafisico e si irrita soltanto quando scorge De Crescenzo seduto tra il pubblico. Entrambe le situazioni sono narrate nell'idioma di appartenenza, infatti i dialoghi sono in perfetto romanesco e in perfetto siciliano.
   I filosofi durante la trasmissione sciorinano acuti pensieri  e disquisiscono sul valore della virtù, si scatena una diatriba che porta i telespettatori a comprendere meglio gli avvenimenti contemporanei alla luce della filosofia antica. Vespa ha molta difficoltà a condurre il programma, il tutto sembra sfuggirgli di mano e spera di placare i sommi maestri con l'ultimo ospite: durante la puntata una poltrona è rimasta vuota, si attende il Grande Cartesio, che involontariamente è stato dirottato altrove.
   Questo è un libro non solo etico, ma anche pedagogico: trattare un argomento importante, sotto forma di narrazione, è particolarmente adatto per coloro che necessitano di un approccio ad una materia che migliora il modo di pensare e di ragionare sull'esistenza nella sua totalità. Tutti noi ci chiediamo il senso delle cose e perché esistiamo, e questa è "Filosofia"; Giovanna Zucca si pone come obiettivo insegnare la filosofia dei Grandi, ossia l'amore per il sapere.

domenica 22 febbraio 2015

Inatteso epilogo

                       
 

   Un giorno, mancava un giorno, solo ventiquattr'ore e avrebbe dovuto scrivere l'epilogo di quella storia nata per un'esigenza. Chiuse gli occhi e s'impose di dormire: durante la notte avrebbe elaborato il finale perfetto.
   Che fastidioso prurito, forse un molesto insetto era la causa del disturbo. La parte gli prudeva e cominciò a sfregarsi senza sollievo, ma non aveva la forza di accendere la luce e di alzarsi per andare in bagno: nell'armadietto dei medicinali ricordava di avere una pomata antistaminica proprio adatta al caso. Passò la notte agitato e insonne, una specie di dormiveglia tormentato, una lotta col prurito. Al mattino scese dal letto e si guardò allo specchio, una grossa macchia violacea ricopriva buona parte dell'avambraccio e fu tentato di strofinarsi ancora: il prurito era più acuto. Cercò la pomata e la spalmò sull'eritema, finalmente un po' di sollievo, ma durò poco, molto poco: passò l'intera giornata a ungersi con l'unguento e ad applicare cubetti di ghiaccio sulla parte infiammata. Sperava che il fenomeno regredisse, del resto altre volte era successo: stranamente da qualche tempo era divenuto allergico alle punture d'insetto, in particolar modo a quelle della zanzara tigre. 
   La vita scorreva alla meno peggio, il lavoro d'amministratore aziendale, nonostante il fastidio che non accennava a diminuire, riusciva a svolgerlo, anzi nei momenti di massima concentrazione finiva per non grattarsi molto. S'accorse del problema un collega di ufficio, era anche un caro amico che lo esortò a recarsi da uno specialista. 
   "Ma dai," rispose Fulvio "che vuoi che sia. E' solo un banale prurito!" 
   "Banale non direi, cocciuto che non sei altro. Sai che facciamo, domani vieni con me dal dermatologo, devo farmi controllare una cisti che ho qui sul collo." 
   "E da quando si è manifestato il prurito?" chiese lo specialista "Ma davvero! Va avanti così da un mese, e come ha fatto ad avere una vita normale?"
   "Non capisco, è solo un prurito che si attenua con la crema e di notte riesco ad addormentarmi."
   "No, non è solo un prurito, un brufolo, come lei l'ha denominato. Vede questa escrescenza e l'alone violaceo intorno al brufolo, ho il sospetto che sia qualcosa di grave."
   Fu prelevato un piccolo frammento e analizzato, il referto fu catastrofico: ogni speranza era abbandonata: e non aveva neanche il tempo per metabolizzare il tutto, essendo un male all'ultimo stadio.
   L'amico era scioccato, ma doveva trovare delle parole di conforto e visto mai di possibilità di diagnosi errata o di guarigione improvvisa e inspiegabile. Fulvio si lasciò guidare: non aveva parenti, era solo a questo mondo, dopo che i suoi genitori erano scomparsi in un tragico incidente; l'unico punto di riferimento era il suo caro collega che era come un fratello per lui. Nei momenti di solitudine, quando si ritrovava nell'intimità di casa sua, finì per apprezzare tutto ciò che prima non riteneva importante e la paura di morire gli dette un senso di rilassamento mai provato prima, come se non gli importasse più nulla degli eventi. "Non avendo un futuro," si diceva "vivo con calma gli istanti che ancora possiedo."
   Dove trovasse la forza era un mistero e ancora di più, dove trovasse quella filosofia di vita. L'amico se lo chiedeva e avrebbe voluto scuoterlo: non gli sembrava normale un tale distacco, era a due passi dalla condanna e non scalpitava neanche un po'.
   Cominciò il decorso ospedaliero, la routine da protocollo e Fulvio rassegnato non batteva ciglio: si sottoponeva con forza alla devastante terapia, chi ne soffriva maggiormente era il suo amico fraterno. Ci fu una leggera ripresa e poi un peggioramento, un ricovero d'urgenza fu indispensabile, quando al dolore acuto subentrò una crisi respiratoria.
   "No, non è giusto, perché i migliori devono andar via, un ragazzo d'oro, era lui a incoraggiarmi!"
   Si svegliò madido di sudore e si tastò, lui c'era e si guardò il braccio scoperto, nulla non c'era nulla e non aveva prurito, però che incubo che strano sogno, aveva un cervello che non si riposava neanche di notte. Ma sì la risoluzione al problema, a quella storia andata oltre e alla quale avrebbe dovuto mettere una pietra sopra: gli serviva un epilogo perfetto. L'incubo evidentemente scaturiva dalle sue preoccupazioni, la situazione che si era creata non era facile e ancora più complicato era uscirne senza danno.
   Oggi toccava a lui aprire lo studio perché la sua assistente sarebbe giunta più tardi: gli aveva chiesto quel permesso in via eccezionale per motivi di famiglia. Fulvio lesse l'agenda degli appuntamenti e vide che alla prima paziente avrebbe dovuto devitalizzare un canino. Era un medico dentista e doveva la sua veloce ascesa proprio a quella paziente: una persona di spicco in città che contava conoscenze di riguardo, peccato lui avesse imbastito una tresca amorosa, una relazione che gli stava stretta e alla quale stava per mettere la parola fine.
   "Giulia, accomodati, oggi sei la prima. Vedrai non te ne accorgerai nemmeno!"
   "Ma come, neanche un bacio prima dell'intervento, ho la bocca profumata." e si avvicinò a lui vogliosa.
   Fulvio la allontanò con delicatezza, fingendo un attacco di tosse.
   "Sei raffreddato, mio caro? Se non stai bene possiamo rimandare."
   "Non preoccuparti, non è così grave."
   La devitalizzazione si svolse nel migliore dei modi, Fulvio nel tempo era divenuto un dentista esperto e buona parte della città si rivolgeva a lui, ed essendo un piccolo centro abitato la parola d'apprezzamento si diffondeva in fretta. Ma lui non stava bene con se stesso: era stanco di quella relazione con una donna sposata e non tanto giovane. Lei era la moglie del sindaco e quando si erano conosciuti in palestra, lui, che non aspettava altro, aveva fatto il cascamorto con la bella signora proprio per accaparrarsi possibili clienti. E così era andata, in brevissimo tempo lo studio divenne frequentato dalla gente bene, Giulia spargeva la voce in fretta e lui sapeva essere un buon amante.
   "Giulia, accomodati, dovrei parlarti."
   "Oh che faccia seria! Ci vediamo nel pomeriggio al solito posto, mi dirai tutto dopo, ora c'è mio marito che mi aspetta per una colazione di lavoro."
   "No, quello che devo dirti non può aspettare. La nostra storia non può continuare, dobbiamo lasciarci. Io non ti amo più e ho diritto a rifarmi una vita, ad avere dei figli. Resteremo buoni amici, io ti stimo tantissimo e conserverò sempre un buon ricordo di te, oltre che la mia gratitudine sarà eterna."
   "Ma davvero!" esclamò lei accesa in volto. "Ti andavo bene all'inizio della tua professione, cosa credi che non l'avessi un po' intuito. Ma mi dicevo, forse non è così, diamogli una chance, io conosco tanta gente, posso dargli una mano e forse non è come sembra. Però essere messa da parte in fretta e in malo modo, no e poi no. Io decido quando e come, misero verme!"
   La macchia violacea sull'avambraccio, dovuta alla caduta, si ricoprì di sangue che zampillava dal cranio fracassato; così lo ritrovò l'assistente quando aprì la porta dello studio impregnato ora del solo odore della morte. 

giovedì 12 febbraio 2015

Vittime innocenti

                   Risultati immagini per vittime bambini                                                                  

   Non c’è mai fine al dolore: gli occhi lacrimanti dei bimbi vittime delle atrocità dell’uomo implorano aiuto, implorano pace. Il loro sguardo penetra il cuore: sono occhi di sofferenza e di condanna per un mondo esacerbato ancora dal potere di sopraffazione. La religione, sentimento di rispetto per una divinità, alimenta cuori al servizio del male. Il fanatismo religioso è, purtroppo, un’arma acuminata per gente invasata che, calpestando ogni diritto umano, assoggetta a sé con violenza e martirio persone innocenti nate per sbaglio in un posto ove la sopravvivenza è ancora una sfida. 
   Gli occhi di quei bimbi conoscono il terrore del nascondimento, della fuga: molti sono nati sotto le bombe, molti sono venuti al mondo mentre le loro mamme fuggivano dall’orco cattivo. I fanatici crudeli alimentano la loro sete di rigidità, di asservimento con il sangue e lo strazio delle loro vittime; i loro proclami nascono da una credenza esasperata d'intolleranza verso chi ha idee diverse dalle loro. 
   Dall’inizio dei tempi l’uomo ha lottato per la sopravvivenza, ha dovuto difendersi dalle avversità, lo faceva secondo la sua conoscenza e con i mezzi che la comprensione gli portava a reperire; man mano l’esperienza ha forgiato le capacità di intuizione, ha affinato le tecniche, ma ancora non è riuscita a usare l’intelligenza con rispetto e amore.  
   Sono dei nostri giorni le notizie di guerre fratricide che insanguinano i luoghi in cui nacque la civiltà umana, luoghi in cui le religioni stridono fra loro per differente scuola di pensiero. Sono dei nostri giorni notizie di barbare uccisioni di bambini appesi a delle croci, il solo pensiero mi stringe il cuore fino allo spasimo. Sono dei nostri giorni notizie di bambini e adulti obbligati a morire e sono dei nostri giorni  informazioni di pulizie etniche da parte di dittatori assetati di sangue.
    In occidente esiste una condizione di libertà decisionale: la fede non ci è imposta e ancora la dittatura non ci appartiene, ma la vita anche in un mondo libero dai fanatismi è oramai una lotta. Crisi economiche la stanno impoverendo, l’uomo è sempre più disperato; per di più, a causa di queste guerre nei paesi extra-comunitari, frotte in fuga cercano riparo in un'Europa esasperata dalla crisi e l'Italia, essendo la porta del Mediterraneo, è l'unico accesso disponibile.
   Esiste un ago della bilancia, un oscillatore di valutazione capace d’interagire positivamente: vari Stati democratici si adoperano per trovare una soluzione che accordi le fazioni contrastanti e a volte le soluzioni finiscono per essere armate, e anche qui ci sarebbe da disquisire in quanto le armi producono commercio. 
   L’età del ferro segnò l’inizio del cambiamento, dell’evoluzione nelle tecniche di lavorazione, ma caratterizzò anche la fabbricazione di armi nate per la difesa: l’uomo non è capace di dialogare, ancora oggi la parola non stabilisce l’intesa.
   La Vita dono meraviglioso in ogni sfaccettatura viene calpestata da credenze esasperate, follie, dittature, possesso, prevaricazioni, domini, umiliazioni e atrocità che vanno oltre l’immaginabile. Ma la vita, ancora mistero per chi da sempre ne studia le origini, è un dono superbo, un dono per cui lottare in armonia e senza spargimento di sangue: un sorriso ricevuto è ricchezza interiore!





martedì 10 febbraio 2015

Possibile risveglio

                        

   Si può scrivere un articolo partendo dal nulla assoluto? In questo momento non ho la più pallida idea di ciò che dovrò argomentare. Annaspo, volgo lo sguardo, ho una camera studio che mi permette di orientarmi intorno; cerco un'idea, una piccola increspatura, ma che vorrò dire? Avete presente quelle pieghe un po' sollevate che formano delle grinze, ebbene è fra quelle grinze mentali che cerco l'idea. Ma come, con tutti gli argomenti che vi sono, sto tanto a lambiccarmi e a confondervi a tal punto che state già decidendo di cambiare lettura.
   Il detto e ridetto non interessa, occorre cercare qualcosa di particolare o perlomeno riesumato dal passato, non so un qualcosa che possa stuzzicare l'interesse. Leggo di qua, leggo di là, spesso lo facciamo e con i mezzi attuali ne abbiamo di materiale da spulciare ed è proprio in questo mio tentativo che riesco a leggere una notizia attuale, ma che si rifà al passato: la mia mamma aveva la consuetudine, specialmente in tarda età, di raccontarmi l'evento spesso, molto spesso, evidentemente temeva che potesse capitarle.
   Fa freddo e i senza tetto non hanno un riparo, dormono all'addiaccio come le pecore che comunque hanno una coperta naturale. Un'anziana donna è ritrovata in stato di ipotermia e dopo i controlli del caso è dichiarata morta. Il suo corpo è collocato in una bara di plastica che durante l'attesa ha sviluppato calore all'interno dell'abitacolo, calore sufficiente a far riattivare il corpo dell'anziana tornata in vita.
   Allora mi chiedo, se è proprio vero che un cuore che cessa di battere, possa riprendere la sua corsa? Non siamo a novembre e non so perché sto affrontando quest'argomento che sicuramente vi sta facendo fare tutti gli scongiuri del caso, ma è ciò che ho letto e che mi ha colpito. Credevo che, con le nuove tecnologie e competenze, non capitassero più avvenimenti di questo genere, e invece pare che questo non sia un caso isolato, anche altri si sono svegliati post-mortem. Ma che succede, non siamo ancora all'altezza di riconoscere un estinto vero da uno falso o siamo soltanto frettolosi e poco responsabili al compito del caso?
   Errore umano, finiamo per dichiarare, e di errori umani se ne commettono, errori gravissimi che si ripercuotono non su di una sola persona ma hanno una reazione a catena e l'uomo si sa ha le sue problematiche dalle quali non si stacca e la sua mente finisce per deconcentrarsi, però in caso di ruoli di estrema responsabilità dovrebbero selezionare personale capace di non commettere errori, per così dire umani.
   E' vero non siamo infallibili, ma più attenti potremmo esserlo e forse nel caso del cuore che riprende la sua corsa ci sarebbe da disquisire, anche perché non sono un medico e ciò che conosco è per pura documentazione fruibile secondo le mie possibilità.
   Ho tergiversato e vi ho introdotti in un campo che se da un lato vorremmo arginare, dall'altro dovremmo cercare di comprenderlo, non per tutelarci ma solo per saperne di più.