lunedì 30 marzo 2015

La solitudine

   
                                                                      
   Mi piace correre con la mente, lasciarmi avviluppare dai pensieri che scorrono veloci per dar voce a quella smania che s’impossessa di me e fluisce dolce e arrendevole. Un turbinio, un rimestare la mia sete d'inchiostro, nero su bianco, che delizia, che passione!
   Tutto è bello e anche la modesta interpretazione potrebbe avere un volto dai caratteri interessanti. Dove mi porta questa consapevolezza? A prendere in esame un concetto, forse profondo, forse contestabile, ma pur sempre un’idea. La solitudine è in noi o intorno a noi? Vive con noi o fa parte del sistema?
    La società è fatta di persone con le loro problematiche che creano un cerchio, un alone invisibile che ci chiude dentro, divenendo barriera inaccessibile; difficile aprire un varco: ci circonda come un anello incorporeo. La solitudine scava e s’impossessa, noi miseri mortali siamo troppo fragili e a fatica vorremmo liberarcene. Nasce anche nelle famiglie, nelle case, nei cuori dello stesso habitat. Prendiamo in considerazione il nucleo familiare, quante remore, risentimenti, sciocchi fraintendimenti, non riusciamo ad aprire la nostra anima neanche ai nostri consanguinei e viviamo un rapporto di solitudine.
   Case chiuse, non in quel senso ma appartamenti fatti di camere proibite: ogni appartenente si rifugia nella sua stanza e dialoga con il mezzo meccanico, che fastidio sarebbe un’intrusione! Molto meglio confidarsi con gli sconosciuti, un confronto vis à vis è una seccatura, non c’è più il coraggio di guardare in faccia chicchessia. In questi frangenti la solitudine l’abbiamo cercata noi o ci è stata imposta dal sistema?
   Rimpiango i salotti del passato, le tavolate amene fatte di convivialità serena, le scampagnate all’aria aperta, quel ruzzolare sull’erba spensierato quando i bacilli erano lontani dai nostri pensieri. Il germe della solitudine ha ammorbato le nostre menti e abbiamo igienizzato gli intelletti, presentando loro uno schermo ultrapiatto lindo e pinto, privo di batteri per noi.
   Siamo soli nelle nostre case, soli per strada, nei punti vendita fatto di sconosciuti che non ci rivolgono uno sguardo, soli nelle famiglie, soli sempre soli. Non ci conoscono e quando gli si chiede di noi, ci descrivono bene, come persone equilibrate, ma restie alla comunicazione. Ma loro, i narratori di noi stessi, dove sono o per meglio dire dov’erano? Quando accade l’irreparabile, sanno che c’eravamo? 
   Fatti di cronaca inquietanti nascono dalla solitudine, diversamente molti eventi sanguinari non avrebbero ragione di esistere. Ci sono situazioni difficili, precariato nel lavoro o mancanza di occupazione; malattie devastanti, crisi coniugali, rapporti difficili nelle famiglie, fra la gente, ma ciò che induce al gesto folle è sempre la solitudine: se l’uomo aprisse il suo cuore ne sarebbe alleggerito, il conforto nel liberare il proprio cuore dona sollievo.
   Forse non si risolvono le situazioni, ma perlomeno si ha la forza di continuare e di non aggravare una condizione già tanto pesante e opprimente. La notizia di quel giovane copilota che ha portato con sé centoquaranta persone schiantandosi contro le montagne, mi ha sconvolto e mi chiedo:  “Si sarebbe potuto evitare?” Sicuramente mi risponderete che se ci fosse stata più professionalità da parte della compagnia aerea, il pilota non avrebbe avuto il permesso di volare e sono d'accordo con voi. Ma la fidanzata, i genitori, gli amici dov'erano, hanno ascoltato le sue pene, gli sono stati accanto? Hanno saputo leggere nel suo cuore? 


lunedì 16 marzo 2015

Follia umana

Quando ho scritto questo post, non erano ancora morti i turisti del Bardo e i morti dell'Airbus non sapevano che sarebbero state vittime della follia di un pilota. Ma da questa follia possiamo difenderci? Al museo avrebbero dovuto mettere più sorveglianza, ora l'hanno fatto, e per quanto riguarda l'Airbus, ora in cabina non saranno più in due. Ecco da un tipo di follia così ci si può difendere.
                  Risultati immagini per terrorismo
 
   La follia umana è sempre patologica? Un tempo esistevano luoghi, case di cure riservate agli psicolabili, ai dementi, in definitiva i manicomi, luoghi in cui la vita si annullava, ma perlomeno non erano messe a repentaglio le vite di coloro che, per uno strano gioco del destino, divenivano bersaglio del folle. Al giorno d'oggi vi sono cliniche psichiatriche che a breve degenza supportano il malato con palliativi medici che donano solo un temporaneo benessere, fatto di torpore forzato e stato di alienazione, in definitiva una cura del sonno indotto. E sin qui c'è comprensione, anzi amarezza per i soggetti nati con un cervello incontrollabile che rende la loro vita, una non vita: la passività e l'irrazionalità creano un allontanamento dal mondo. Loro non hanno chiesto di nascere diversi e hanno tutta la nostra comprensione, certo accompagnato da timore; ma quando una persona, nata con un cervello superiormente dotato, sceglie di essere folle, sceglie di comportarsi da squilibrato assetato di sangue umano; quando un essere vivente, nella fattispecie umana, sceglie la strada della follia, allora verrebbe voglia di non voler far parte più del genere umano. Sono all'ordine del giorno i casi di follia omicida, le motivazioni: gelosia, timore dell'abbandono, rifiuto alle separazioni in atto, mancanza di lavoro, contestazioni di natura religiosa e politica; una società che, anche nascendo sana, sceglie la strada della follia, del terrorismo da brivido. 
   La storia ci racconta di efferatezze di ogni genere, i campi di concentramento ad Auschwitz non hanno avuto quel solo teatro, da tempo memorabile le atrocità perpetrate dall'uomo nei confronti dei suoi stessi fratelli sono agghiaccianti e a testimonianza, oltre agli scritti ,vi sono musei che espongono i metodi di tortura del periodo di riferimento. Di avvenimenti crudelmente cruenti ve ne sono tantissimi e ancora oggi anche nella nostra Italia, il folle per scelta compie uccisioni da film dell'horror. 
   Ma oggi vorrei rispolverare un po' di storia non molto lontana, siamo al tempo dell'Unificazione dell'Italia, migliaia di resistenti e soldati del Regno delle Due Sicilie, deportati al nord, morirono di stenti e per accelerare il lavoro, nei luoghi di segregazione furono tolte porte e finestre, il tutto a quasi 2000 metri, infine quei corpi furono sciolti nella calce viva! Migliaia e migliaia di meridionali fedeli al re furono deportati e subirono le più atroci torture, non furono risparmiati i civili, fra i quali donne e bambini. Infatti l'ex Presidente della Repubblica ricordando i fatti storici ha detto che si dovrebbe istituire un giorno della memoria per tutti quei meridionali che provarono Auschwitz anzitempo, vi sono anche foto di persone scheletriche in tutto simili a quelle dei deportati nei lager nazisti. 
   Ora tornando al discorso della follia e precisamente a quella improvvisa perdita d'identità e di razionalità, quella follia punita dalla legge: per questi folli si spalancano i cancelli dei manicomi criminali, veri lager senza ritorno e del resto l'omicida perdendo la ragione non potrebbe scontare la pena in un carcere normale. Ma la mia analisi mira a puntare il dito sui folli per scelta, sui quei folli plagiati da falsi ideali, folli che entrano a far parte di gruppi terroristici con ideali di conquista e asservimento, ideali che per i leader di questi movimenti sono giustificati dalla ribellione al potere che essi stessi hanno subito.
   Una follia così m'inquieta e anche molto, la minaccia è forse dietro l'angolo? Oppure occorre conviverci perché a detta di molti, la follia c'è sempre stata e l'animo malvagio è difficile da convertire. 

martedì 3 marzo 2015

Meravigliosa infanzia

                        

   Due occhioni scintillanti mi osservano radiosi, le guanciotte s'increspano compiaciute alla vista della mia presenza e poi una corsa veloce, un gioco già sperimentato, un gioco antico: il nascondino, cucù per te piccolino. E poi il soffio all'aperto su di un fiore che rilascia i pelati come piccole libellule.
   La tenerezza di un bimbo, la sua fresca ingenuità che vive della semplicità di un momento, nulla a che vedere con le elaborazioni di una mente adulta alla ricerca dell'impossibile. Una conta veloce, un fingere la ricerca che scatena gioia in una convinzione di bravura; ah, il mondo dei piccolini che meraviglia! La felicità e la soddisfazione di essere bravi a far compiere il volo ai piccoli ovattati petali. E quel mondo ci apparteneva, quel mondo fatto di timori e di gioie, di dipendenza e di affetti; un mondo in cui le responsabilità non gravavano sulle nostre spalle. Spalle fragili al tempo, spalle la cui crescita era affidata a chi ci aveva generato, e sentirsi leggeri e sicuri che nel momento del bisogno avremmo ricevuto aiuto e consolazione. Che sensazione di leggerezza!
   Quand'è che si cresce veramente? Quando ci si sente adulti e pronti ad affrontare le difficoltà, le decisioni e non avere ripensamenti, dubbi? Quando si è sicuri che sapremo cavarceli da soli e che riusciremo a camminare con le nostre gambe?
   Crediamo di essere autonomi, autosufficienti, anzi il solo fatto che la nostra gestione è affidata a noi stessi, ci fa sentire fieri e pensiamo che saremo forti per affrontare il mondo, il peso degli anni che scorreranno, le beghe, le complicazioni, i travagli, i malintesi, i dolori, ci piace tutto: saremo noi a gestire ogni cosa, che meravigliosa sensazione! Ma non è così: giunge un momento in cui ci accorgiamo che quelle mani che un tempo ci sostenevano e ci guidavano e delle quali non vedevamo l'ora di liberarcene, quelle mani ci mancano e vorremmo riafferrarle per avere quel sostegno, quel calore, quella sicurezza che scaturiva anche da una parola, da un ascolto.
   Dentro di noi non siamo mai completamente adulti: in un angolino del nostro cuore una piccolissima parte è sempre ancorata a chi ci ha messo al mondo. Il distacco, il taglio di quel cordone ce lo portiamo dentro come una cicatrice rimarginata sì, ma presente: questo lo si comprende quando quel collegamento affettivo si allontana per sempre. Ed è allora che diveniamo ADULTI, che parolona: quando perdiamo inevitabilmente quel contatto!
   Il mondo degli adulti è complicato, difficile, spesso cattivo: ingarbugliato  e intricato da sentieri bui. Il sospetto è dietro l'angolo, l'angoscia è dietro l'angolo, la crudeltà è dietro l'angolo, la sopraffazione è dietro l'angolo, come sarebbe bello fermare le lancette dell'orologio e vivere da piccolini sapendo che, nello standard di una società normale, l'unica paura sarà solo il rimprovero e lo sforzo di compiere il proprio dovere secondo le regole della buona educazione, e che qualunque cosa accadrà, saremo sorretti e guidati da chi ci ha messo al mondo.
   Ma esiste un'altra faccia della medaglia: vi sono bimbi, purtroppo, che, nascendo nei posti dove l'infanzia è calpestata, vivono come fossero adulti subendo la condizione del loro crudele e malvagio mondo. E poco possono i loro genitori ai quali è impedito di sostenerli, proteggerli e guidarli nel difficile cammino della vita: vita che in quei luoghi è al limite della sopravvivenza e dei pregiudizi inconcepibili. Nei luoghi ove vigono concezioni ataviche lontane dal rispetto, il cordone ombelicale viene reciso anche nel cuore di quei bimbi  sfortunati che hanno ancora l'età della scuola per l'infanzia.