Ho terminato da poco la lettura del romanzo intitolato L'Isola" di Sàndor Màrai, scrittore ungherese di culto, e ho ritrovato lo stesso stile, la stessa minuziosa e raffinata lessicità del romanzo "Le Braci" sempre dello stesso autore.
La storia comincia in un caldo pomeriggio estivo e presenta un gruppo di turisti ospiti dell'Argentina un hotel affacciato sul mare di Ragusa, la Dubrovnik degli anni trenta. Fra gli ospiti dell'albergo vi è il protagonista della storia, Victor Askenasi, professore di greco antico proveniente da Parigi e diretto in Grecia. Egli sembra distante dal gruppo dei turisti: non socializza e chiuso nel suo mondo pensa solo a raggiungere con ogni mezzo disponibile la sua meta, l'isola deserta, e a tale scopo chiede informazioni al portiere dell'albergo. Mentre lui è alla reception entra una donna vestita di bianco che pronuncia il numero della sua camera a voce alta, sembra lanciargli un invito che prosegue anche quando lei s'incammina ed entra nella sua camera.
Il professore sta vivendo un momento difficile a causa della separazione dalla moglie e dell'abbandono da parte della sua amante, Eliz, una giovane ballerina russa, per la quale non solo ha lasciato la moglie e la bambina, ma anche ha abbandonato la cattedra di greco antico. Egli è insoddisfatto e tormentato da un rovello unico d'una domanda sul "segreto della vita" e dopo l'abbandono da parte della giovane amante, situazione giudicata sconveniente dai suoi amici che lo ritengono un signore alle soglie della mezza età in cerca di emozioni, lui si metterà alla ricerca della risposta del segreto prima accennato.
La storia si snoda sulle vicende personali di Askenasi, sulle sue riflessioni squisite e colte intrecciate a riferimenti sulla letteratura greca e in un flashback il protagonista ci porta a conoscenza delle sue vicissitudini e della sua esistenza. Apprendiamo anche come si svolgeva la vita antecedente alla seconda guerra mondiale: le descrizioni dei personaggi e dell'interprete principale ci fanno entrare nel periodo degli anni trenta.
Il professore è un uomo stressato dal lavoro e dalle vicende personali, lui spera che sull'isola deserta troverà la risposta alle sue elucubrazioni, in solitudine sarà più vicino al Creatore al quale formulerà quella domanda. Askenasi è ossessionato dalla risposta all'interrogativo che gli dilania l'anima: "Che cos'é l'amore?". Il finale è infatti un monologo con il cielo, un monologo estremamente interessante per lo stile narrativo, per le metafore di classe e per la descrizione accurata. Askenasi, dopo le sue cogitazioni in solitudine sull'isola, dove si spoglia di ogni indumento e si mette a nudo in un gesto che vuol far comprendere anche la nudità della sua anima di fronte a Dio, giunge alla conclusione che a muovere l'universo è la sofferenza e che la felicità non è che uno spicciolo di poco conto: l'amore stesso è contrassegnato da violenza e aggressività e comunque l'amore non dà un appagamento duraturo, l'amore è fugace. Askenasi capisce anche di non aver trovato la risposta che cercava, nonostante il gesto più infame da lui compiuto. In un delirante finale rivolto sempre al Creatore, dopo non aver ottenuto la risposta, conclude che l'amore è solo un'invenzione divina. Lui si sente ingannato dal Creatore e allora sottovoce gli chiede: "perché mi hai abbandonato?"
Il "segreto della vita", la ricerca della felicità, ricerca che poi si rivelerà fatale per l'insoddisfatto professore. Un romanzo dal quale trarre spunti di riflessione: l'uomo la felicità l'ottiene se non si pone molti interrogativi pretenziosi!