giovedì 28 maggio 2015
Sospensione si, sospensione no?
Quando esiste un luogo aperto a tutti e nessuno visita quel luogo, oppure entrano visitatori occasionali che non lasciano tracce del loro passaggio, occorre recintare quel luogo e apporvi un cartello con su scritto: "Sospensione momentanea del passaggio".
Se non vi è interesse, chi si occupa della manutenzione del luogo svolgerà con meno impegno il suo lavoro e preferirà avere cura di un posto diverso; non che desideri una frequentazione assidua e numerosa, ma almeno qualche sguardo al suo operato, giusto per avere voglia di continuare a curarlo.
Non tutti amiamo gli stessi luoghi: c'è chi preferisce frequentare i boschi, chi la montagna o le colline, chi passeggia lungo le coste marine o dei laghi e dei fiumi: sono gli amanti della natura così spesso vilipesa e trascurata. Poi vi sono i cultori dell'arte, di quella cultura che arricchisce. La nostra Italia straripa d'arte spesso non curata e poco valorizzata, in quanto ad arte siamo primi nel mondo a possedere bellezze artistiche di rara bellezza. Infine troviamo i viaggiatori, i desiderosi alla ricerca di città da visitare per ammirarne le fattezze e anche per entrare in contatto con le varie culture, tendenze, tradizioni. Ma da ultimo vi sono gli amanti di tutto ciò che stuzzica la fantasia, l'attenzione a quelle scabrosità che comunque hanno il loro fascino se ben presentate: chi sa occuparsi di un luogo, ove un tempo vi era il cartello off-limits, è degno di ricevere passaggi e nel mondo virtuale è molto facile accedervi.
Allora occorre cavalcare l'onda e pensare di adeguarsi? Occorre chiudere i vecchi luoghi e aprire posti che riscuotono successo se ben curati? Oppure è meglio perseguire le proprie inclinazioni e attendere che l'interessi si risvegli, magari la sospensione potrebbe anche produrre interesse o per lo meno il curatore del luogo potrebbe cercare di rendere più gradevole il posto migliorandolo e arricchendolo.
Sapete l'interesse umano ha le sue mode e sarebbe capace di portare in auge ciò che sembrava non così fortemente apprezzabile e degno d'attenzione. Per esempio chi l'avrebbe detto che l'estetica e l'arte culinaria avrebbero avuto i riflettori accesi ad ampio raggio, una illuminazione sempre più spettacolare che fa dei loro protagonisti divi con la D maiuscola, divi che occupano la scena di tutto il mondo.
E i nostalgici dei luoghi dell'anima, dei ricordi da coltivare? E' solo questione di tempo e forse di maggiore tenacia.
domenica 24 maggio 2015
Macchinazione (parte settima)
La tresca andava avanti e l'ignara Giuditta finì per divenire amica stretta dell'amante di suo marito il quale non perdeva un colpo: sesso sfrenato fuori e dentro casa con sua moglie, ecco perché lei non poteva supporre quanto Victor fosse traviato, ma ciò che non poteva immaginare era che stesse macchinando nei confronti di sua madre non ancora completamente anziana.
Un giorno lui comprò il silenzio di un medico compiacente che visitò la suocera per un presunto attacco di panico. La donna in passato aveva avuto sporadiche crisi di tachicardia, ma il tutto si risolveva con un tranquillante e vita serena, anzi era stato lo stesso cardiologo del pronto soccorso a prescriverle la terapia, aggiungendo che qualche stravaganza avrebbe donato leggerezza alla sua vita troppo morigerata e ancorata ai cliché del controllo per abitudine e buona educazione.
"Signora Maddalena, " chiese il medico "cosa teme? Vive in compagnia con sua figlia e la sua bella famiglia, cosa l'angoscia?"
"Dottore, io sto bene, è stata la solita tachicardia, non panico. Non sono angosciata, non potrei stare meglio qui. Mio genero è gentile e affettuoso, mia figlia e i miei nipoti lo sono altrettanto. E' un vecchio disturbo giovanile."
"Ecco, dice bene, un vecchio disturbo che non ha approfondito. Domani l'aspetto in ospedale per un elettrocardiogramma."
Maddalena si recò a quella clinica e trascorse varie settimane; entrò in forma, ma più i giorni passavano e più peggioravano le sue condizioni mentali, il panico presunto divenne un disturbo più grave, un disturbo simile alla schizofrenia.
"Non capisco, dottore, mia madre non è mai stata così, ho come la sensazione che i farmaci che le somministrate abbiano un effetto collaterale devastante per la sua mente, ci sono giorni che non mi riconosce. Mio marito mi assicura che lei è uno stimato cardiologo che si avvale della collaborazione di un neurologo per curare casi di tachicardia da panico, ma a questo punto vorrei consultasse un altro specialista."
Maddalena ebbe degli sprazzi di miglioramento e sua figlia pareva rincuorata.
"Mamma, ti porto a casa, vedrai con noi tornerai come prima."
"Ma no, qui mi trovo bene, sono carini, non avere fretta. Ho conosciuto delle signore tanto garbate, abbiamo fatto amicizia, sono in buona compagnia."
Giuditta non riusciva a comprendere, un giorno sua madre era lucida e un altro non la riconosceva, ma ciò che non si spiegava era perché non avesse voglia di tornare a casa, lei così legata agli affetti e alla casa pregna della storia della sua vita; quella casa che non aveva mai voluto abbandonare: ogni angolo le ricordava il caro marito scomparso anzitempo per un infarto, spesso la madre le diceva con infinita tenerezza che le pareva di sentirselo ancora accanto.
"Le cose cambiano, cara moglie, non preoccuparti. Devi rispettare le decisioni di tua madre, in quella clinica sta bene e poi dopo una vita passata a occuparsi di tutti voi, avrà deciso di riposarsi, di stare con le nuove amiche, anzi sai che potremmo fare per lei, farla dimettere e farla trasferire in quella casa di cura ben organizzata dove la vita è un paradiso per gli anziani; riunioni, gite, giochi, spettacoli, altro che vita familiare lavorativa!"
"Ma sei matto, mia madre in una casa di riposo!" esclamò con rabbia "Mia madre non ha ancora settant'anni e vorresti farla rinchiudere?"
"Ma che dici, sarà lei stessa a scegliere e se vorrà andarci di sua sponte, che male c'è. Sei antiquata, anche perché Maddalena quando vorrà potrà sempre tornare da noi. Ritienilo un soggiorno temporaneo a cinque stelle!"
(continua)
martedì 19 maggio 2015
Macchinazione (parte sesta)
Tutto
sembrava scorrere nella normalità, il matrimonio non le dava problemi e la sua
vita poteva dirsi appagata, ma a tratti le tornava in mente il volto avvilito
della sua amica, lei la conosceva troppo bene non era mai stata capace di
architettare qualcosa ai danni di chicchessia, né tantomeno nei suoi confronti:
avevano condiviso momenti importanti, erano cresciute insieme come sorelle. E i
sogni, le promesse, la fedeltà assoluta all’amicizia? Possibile che, si chiese, l’amore non corrisposto
possa mutare una persona a tal punto da trasformarla in un essere diffamatore
che passa sopra agli affetti di una vita trascorsa insieme? Decise di far domande
a sua madre, senza farle intendere a chi fosse rivolto il suo dubbio, non si
capiva perché non ne facesse menzione, in qualche modo voleva tenere per sé le
sue inquietudini sofferte, come se a priori desse per scontata l’innocenza del
marito.
“Ma certo,
figlia mia, conosco storie di sorelle che si son rubate il marito, figuriamoci
un’amica! Come anche mariti perbene che hanno saputo gestire tresche e
relazioni mai scoperte. Una volta seppi di un uomo talmente scialbo, timido, ben
educato, sai di quei tipi a testa bassa che si fanno da parte con rispetto,
bene… lui era uno stupratore a livello familiare: violentò la cognata, la
cugina e l’amica intima della moglie, ma la cosa assurda è che le vittime
mantennero il segreto, pare che fosse un amante eccezionale e che le stesse divennero
succube di lui. La passione fa perdere i lumi della ragione, fa passare sopra
ai principi morali; la carne è debole e fa fare pazzie, ma c’è chi sa dove fermarsi
e mai farebbe del male a chi gli sta a cuore, perché chi si comporta subendo e
reiterando il momento, in fondo in fondo è amorale e non sa controllarsi, mai
perdere il controllo di se stessi!”
Giuditta
prese a controllare il marito fuori di casa, a spiarlo; si appostava dinanzi
all’atelier di moda, oppure compariva all’improvviso all’interno della casa di
moda con la scusa di voler dare uno sguardo all’ultima collezione o con l’intento
di voler scegliere quel tale capo che ancora le mancava. Giungeva senza
preavviso e con disinvoltura si recava all’improvviso nell’ufficio del marito e
se non lo trovava, percorreva tutti i corridoi dell’immenso atelier per
cogliere di sorpresa Victor che astutamente, anche in assenza della moglie,
ebbe un comportamento irreprensibile: aveva immaginato che sicuramente messa al corrente del tentativo di
violenza, come gli bruciava la sconfitta, avrebbe tacitamente indagato.
E i mesi
passavano, il matrimonio non s’incrinò e dell’amicizia stretta con Marisa e
genitori non se ne parlò più, tutti sembravano accettare quell’allontanamento,
anzi nella mente della madre di Giuditta si fece strada l’idea che i loro amici-parenti
sicuramente fossero talmente gelosi del matrimonio ben riuscito di sua figlia
da giungere a troncare ogni rapporto.
“Morto un
papa, se ne fa un altro! Figlia mia.” disse una mattina quando colse lo sguardo
malinconico di sua figlia che osservava una di quelle vecchie foto di gruppo
esposte sul cassettone.
“Che vuol
dire, mamma?”
“Mi
riferisco ai nostri amici, alla tua amica del cuore, non ci vediamo più,
neanche una telefonata come se avessimo fatto loro uno sgarbo. Anni insieme
cancellati così, senza una spiegazione, per questo ti dico non ci pensare più e
frequenta quella coppia tanto a modo che ti ha fatto conoscere Victor.”
Eleonora
stretta collaboratrice di Victor all’interno dell’atelier era da qualche tempo la
di lui pupilla, ma Eleonora era anche la moglie di Eugenio, amico storico, di Victor,
erano loro la coppia che faceva visita a Giuditta, recalcitrante a voler
instaurare un rapporto stretto.
“Io e mio
marito ce la faremo, amore, a divenire amici stretti di tua moglie. E allora
avremo più occasioni, ora dobbiamo continuare ad accontentarci della toilette
della tua casa di moda.”
“Comunque è
più eccitante.” replicò Victor “La rapidità e il nascondimento aumentano la passione.”
(continua)
domenica 10 maggio 2015
Macchinazione (parte quinta)
“Che significa, Victor è stato qui? E perché mai
avrebbe lasciato il laccio delle sue scarpe? Non ha senso!”
“Ascolta,
cara amica, non avrei mai voluto che lo sapessi così, ho fatto il possibile per
tenertelo nascosto, ma tuo marito una mattina ha tentato di violentarmi e ha
colto il momento in cui ero da sola. Il laccio gli è servito per legarmi i
polsi delle mani.”
Giuditta
annichilita non riusciva a comprendere, le sembrava che quella non fosse la sua
realtà, credeva di vivere un incubo e di risvegliarsi. Osservò l’amica e colse
la sua espressione mortificata, per cui non stava raccontando frottole, ma al
tempo stesso lei avrebbe messo la mano sul fuoco per suo marito. Non le aveva mai
dato modo di dubitare: il suo comportamento era impeccabile e tra l’altro
nessuno aveva fatto supposizioni sgradevoli o perlomeno critiche sulla fedeltà
di Victor. Allora come doveva comportarsi? si chiese frastornata. Lei per chi
doveva propendere, chi avrebbe dovuto salvare o a chi avrebbe dovuto credere?
Uscì dalla
stanza di corsa, richiamò la mamma e i bambini e si congedò frettolosamente, adducendo la scusa dell’appuntamento dal dentista per una visita di controllo.
Per strada non dette spiegazioni alla madre che non riusciva a capire, ma non
solo, si mostrò infastidita e le fece presente che dovevano tornare a casa e che avevano
fatto male a far visita ai loro amici-parenti e ai bambini disse che il loro
papà stava per rientrare, non sarebbe stato bello farlo attendere tutto solo.
Nei giorni
successivi spiò il marito, voleva cogliere qualche nota stonata nel suo modo di
agire, anche un piccolo segno di apatia sarebbe stato l’input per metterlo con
le spalle al muro. Lui non crollò, era sempre amorevole nei confronti della
moglie, anzi divenne più affettuoso che mai e a letto carico di passione come
mai era stato; pareva quasi che nessun’altra donna l’avesse eccitato come lei,
l’avesse appagato come lei che raggiungeva vette di piacere mai provate prima.
I dubbi pian
piano si dileguarono e nella mente di Giuditta nacque l’idea che la sua amica
avesse inventato ogni cosa per screditare il marito, in due parole ne era segretamente
innamorata e non riuscendo a resistergli aveva pensato bene di allontanarsi e
rivelare false accuse su di lui, che se avesse saputo sicuramente avrebbe
reagito in malo modo e lei questo non lo voleva, era pur sempre l’amica della
sua infanzia, della sua adolescenza e inizio giovinezza, il suo cuore era
ancora con lei, nonostante tutto.
Pazienza si disse, avrebbe cercato di dimenticarla, avrebbe messo una pietra sopra a tanta maldicenza dettata dall’amore non corrisposto. E il laccio, come giustificava la sua presenza nell’appartamento di Marisa? Ma certo, non poteva aver nessun significato, in quanto di recente ne avevi visti di simili in vendita, una bugia raccontata ad hoc ai genitori inconsapevoli della verità, inconsapevoli del tormento che la loro figlia stesse passando; quindi l’allontanamento era l’unica soluzione: si sarebbero rassegnati e avrebbero voltato pagina, del resto non tutto è eterno e anche le amicizie più salde finiscono.
Pazienza si disse, avrebbe cercato di dimenticarla, avrebbe messo una pietra sopra a tanta maldicenza dettata dall’amore non corrisposto. E il laccio, come giustificava la sua presenza nell’appartamento di Marisa? Ma certo, non poteva aver nessun significato, in quanto di recente ne avevi visti di simili in vendita, una bugia raccontata ad hoc ai genitori inconsapevoli della verità, inconsapevoli del tormento che la loro figlia stesse passando; quindi l’allontanamento era l’unica soluzione: si sarebbero rassegnati e avrebbero voltato pagina, del resto non tutto è eterno e anche le amicizie più salde finiscono.
(continua)
venerdì 1 maggio 2015
Macchinazione (parte quarta)
“Non mi sfuggirai, ti desidero dal primo momento che ti ho vista. Fai la
preziosa per non fare un torto alla tua amica, ma sotto sotto vorresti far
l’amore con me, chissà che particolari piccanti ti ha svelato Marisa e tu non
ne puoi più. Tu sei femmina più di lei! Ora ti libero la bocca, se urli non ti
sentirà nessuno, ho controllato citofonando a tutti e non mi hanno risposto.”
Velocemente
le immobilizzò entrambe le braccia con un laccio delle sue scarpe sportive e la
sollevò di peso: cercava la camera matrimoniale e la trovò, scaraventandola sul
letto.
“Brutto schifoso, io glielo dirò, tua moglie saprà che razza di verme
perverso sei, perderai la tua credibilità!”
“Ma davvero? Lei mi ama, crederà a me. Le dirò che è tutta una tua
invenzione e ti toglierà l’amicizia.”
“Non andrà così, vedrai.” e mentre parlava si dimenava come un’ossessa,
non smise un attimo di pensare a una soluzione. Lui le alzò la gonna e le
strappò la mutandina; si accese di desiderio, gli occhi lampeggiarono come fari
nella notte ed emise un suono gutturale animalesco.
Con
una mano e tutto il braccio continuava a tenerla bloccata, le braccia di lei erano
legate e quindi inoffensive, doveva solo mobilizzarle il corpo, con l’altro
mano questa volta aprì la cerniera dei suoi pantaloni e fu in quella frazione
di secondo che Marisa alzò un ginocchio e lo colpì violentemente sui testicoli.
Lui lanciò un urlo di dolore e si accovacciò sul letto, la ragazza balzò giù
dal giaciglio dei suoi genitori, aveva scelto la camera dei suoi genitori lo
schifoso uomo. Lei corse verso la porta, con la bocca spinse in giù la maniglia e l’aprì; scese di corsa le scale e incontrò un ragazzino al quale chiese di scioglierle il laccio, non rivelò nulla
al bambino, gli disse di fare in fretta e che quello era solo un pegno da
pagare di uno stupido gioco.
Corse affannosamente a tutta velocità: temeva di essere ripresa dallo
stupratore e si rifugiò in parrocchia; entrò nella sacrestia e trovò il parroco
che si stava spogliando degli abiti sacerdotali.
“Che ti succede, sei tutta rossa e scapigliata? Vieni, accomodati e se
vuoi parlamene.”
“Don Franco, mi faccia fare una telefonata, la prego, sono appena
sfuggita a una violenza.”
“Devi chiamare la polizia?”
“No! Non voglio che si sappia in giro, farei
del male, troppo male se si spargesse la voce. Tanto so già che non tornerà più
e io cercherò di stare in guardia. Le chiedo un favore, mi faccia stare qui
sinché non giungono i miei genitori che ora sono dai nonni.”
La famiglia di Marisa quando seppe avrebbe voluto affrontare subito Victor,
il padre andò su tutte le furie e si precipitò con rabbia verso la porta, ma fu
fermato dalla figlia che non voleva dare un dispiacere alla sua amica e alla
madre di lei.
“Ma come, così le fai più male, non devi tacere. Per il suo bene devi
parlare e raccontare ogni cosa!”
“Non posso papà, penso a quei bambini. Forse seguirebbe una separazione,
sarebbe dolorosa per loro.”
“E a lei non ci pensi? Comunque da oggi cessiamo ogni rapporto con loro,
mi dispiace per la nostra parente, ma non voglio vedere più la faccia di
quell’uomo.”
“Certamente,
papà, io già da tempo avevo ridotto al minimo le visite e voi non sapevate
il perché. Io avevo capito che si è invaghito di me, nel senso che avrebbe
voluto aggiungermi alla lista delle sue conquiste.”
Era passato più di un mese e a Giuditta mancava la sua preziosa amica,
si confidò con la madre che attribuì quell’assenza allo studio, anche se non
riusciva a spiegarsi la mancanza dei suoi genitori che non erano più passati in
visita.
“Sai che facciamo, cara, andiamo noi da loro e ci portiamo i bambini che
saranno felicissimi di rivedere la zietta preferita. Uno di questi pomeriggi,
quando tuo marito è al lavoro, noi andremo a trovarli.”
“Possiamo? Dov’è la mia amica che si è scordata di me? Fa la preziosa da quando studia
medicina, è vero tesoruccio del mio cuore?” cantilenò Giuditta entrando dalla
porta d’ingresso e avviandosi alla camera della sua amica con fare scanzonato.
“Ma
che t’è successo, non stacchi neanche un attimo? Possibile che non senti il
bisogno di venirmi a trovare? Io non so quando va bene per te e poi ci sono i
bambini, ho mille cose da fare, meglio se vieni tu come hai sempre fatto.”
Marisa non sapeva che fare e prese tempo. Le raccontò dei suoi studi
intensi, non usciva neanche al sabato sera e la domenica mattina riprendeva a
studiare: l’esame prossimo era tanto ostico e corposo.
“Ok,
ok, ma perché non rispondi al telefono? Risulta libero ma non risponde nessuno.”
“Ma
no, è colpa dell’azienda telefonica, dicono che c’è un guasto e che
provvederanno.”
Nell’altra stanza la madre di Marisa cercava di barcamenarsi come poteva,
nell’inventarsi scuse più o meno attendibili, i bambini cominciarono a giocare in
corridoio con una palla che era lì apposta per loro e mentre scalciavano, fecero
cadere il portaombrelli e si rovesciò tutto il suo contenuto. Venne fuori anche un
laccio di scarpe, uno strano laccio di scarpe che essi riconobbero subito: era
diverso dagli altri e il loro papà gli aveva spiegato che custodiva ancora
molte cose acquistate nel Regno Unito ai tempi del viaggio di nozze.
Cominciarono a sventolarlo per richiamare l’attenzione e lo mostrarono
alla mamma che non riusciva a capire, il padre di Marisa stanco e sotto
pressione sbottò:
“E’
di tuo marito!” e uscì dalla camera della figlia trascinandosi i bambini.
(continua)